Ue, von der Leyen bis in carica con 370 voti: minimo storico e gruppi spaccati
La maggioranza è del 53,77% sui voti espressi, la più bassa di sempre. Il voto sulla Commissione 'spappola' i gruppi parlamentari
Malgrado le trattative febbrili della vigilia, la Commissione von der Leyen bis non ha raggiunto la soglia dei 401 voti a favore, quelli che aveva preso la presidente poco più di tre mesi fa. Il pallottoliere a Strasburgo ieri si è fermato ben al di sotto: il nuovo esecutivo Ue è stato eletto dal Parlamento Europeo con 370 voti a favore, 282 contrari e 36 astenuti, su 688 votanti. La maggioranza è del 53,77% sui voti espressi, la più bassa di sempre, e appena del 51,46% se la si calcola sul numero dei componenti dell’Aula (719). Si tratta però di calcoli che lasciano il tempo che trovano, poiché bastava la maggioranza relativa, cioè un voto favorevole in più di quelli contrari (gli astenuti sono ininfluenti).
E’ un fatto politico, tuttavia, che dal 18 luglio scorso ad oggi, dopo l'apertura all'Ecr avvenuta nel frattempo, il collegio scelto dalla presidente rieletta ha preso ben 31 voti in meno. Trecentosettanta voti a favore sono il minimo storico, da quando la Commissione viene eletta dal Parlamento. La von der Leyen uno era stata approvata con 461 voti a favore, 157 contrari e 89 astensioni, nel novembre del 2019. Il numero di voti favorevoli ricevuti ieri è il più basso mai registrato: la Commissione Santer nel 1995 aveva ottenuto 417 sì; il collegio guidato da Romano Prodi ne aveva presi 510; la Barroso uno 478, la Barroso due 488, la Commissione Juncker 423.
Il voto sul von der Leyen bis 'spappola' i gruppi parlamentari
Come se non bastasse, il voto sulla nuova Commissione ha spaccato molti gruppi parlamentari, che si sono “spappolati”, secondo la definizione dell’eurodeputato Cinquestelle Gaetano Pedullà. Il Ppe ha votato massicciamente a favore, inclusi gli italiani di Forza Italia, ma ha perso il Pp spagnolo, impegnato in una ‘corrida’ contro la vicepresidente Teresa Ribera, del Psoe, e gli sloveni dell'Sds, il partito dell’ex premier Janez Jansa, che hanno votato contro, più 2 astenuti. Il grosso dei Socialisti e Democratici ha votato a favore della nuova Commissione, incluso il Pd, ma il gruppo ha registrato 25 contrari (tra cui due indipendenti eletti con il Pd, Cecilia Strada e Marco Tarquinio) e ben 18 astenuti.
Compatti i Patrioti, che hanno votato tutti contro, inclusa la Lega e gli ungheresi di Fidesz. Tutti no anche dai membri della Left, inclusi gli italiani del M5S e di Avs. Si sono schierati per il no anche i deputati dell'Europa delle Nazioni Sovrane, il gruppo di Alternative fuer Deutschland, la destra della destra. I Liberali di Renew hanno votato massicciamente a favore, con sei astenuti. I Conservatori dell'Ecr, come annunciato dal copresidente Nicola Procaccini che ha confermato la libertà di voto per i suoi eurodeputati (come era avvenuto nel 2019), si sono divisi: tra i favorevoli Fratelli d'Italia, i belgi dell'N-Va e i cechi dell'Ods; tra i contrari i polacchi del Pis; si contano anche 4 astenuti. Tra i Conservatori, sono più gli eurodeputati che hanno votato contro (39) la nuova Commissione rispetto a quelli a favore (33).
Spaccati i Verdi: tra i 27 favorevoli spiccano i Gruenen tedeschi, prima delegazione del gruppo; tra i contrari, una ventina, figurano anche gli italiani Ignazio Marino, Benedetta Scuderi e Leoluca Orlando. Ci sono anche sei astenuti. I voti di una stretta maggioranza degli ecologisti sono arrivati dopo che Ursula von der Leyen ha annunciato di aver nominato l’ex copresidente del gruppo Philippe Lamberts come proprio consulente per il Green Deal.
Il voto dalla prospettiva italiana
Guardando al voto attraverso il prisma della politica italiana, che a queste latitudini può risultare ingannevole perché nel Parlamento Europeo le dinamiche sono diverse da quelle nazionali, si sono spaccate sia la maggioranza che l’opposizione. Nella prima, Fdi e Fi hanno votato sì, la Lega no; nella seconda, il Pd ha votato sì, tranne due indipendenti, gli altri hanno votato contro. Sia il capodelegazione di Fdi Carlo Fidanza che quello del Pd, Nicola Zingaretti, hanno negato che i voti contrari alla Commissione espressi, rispettivamente, dalla Lega e dal M5S costituiscano un problema politico per i rispettivi partiti. Von der Leyen, dopo il voto, ha fatto buon viso a cattivo gioco: oggi, ha detto, “è un buon giorno per l’Europa. Il voto dimostra che il centro tiene”. Per Letizia Moratti, di Forza Italia, non ci sono “rischi di instabilità” per la nuova Commissione e i numeri sono imparagonabili con quelli di cinque anni fa perché “il mondo sta cambiando rapidamente”.
Di fatto, però, la maggioranza è uscita numericamente indebolita dall’apertura all’Ecr decisa da Manfred Weber, leader del Ppe, e assecondata da Ursula von der Leyen, con la nomina a vicepresidente esecutivo di Raffaele Fitto. Ciò nonostante, c’è chi sostiene che l’obiettivo dell’operazione non sia numerico, bensì eminentemente politico: quello di dividere le destre, sottraendo a quel fronte una parte dell’Ecr, quella al governo e quindi dialogante per definizione, oggi costituita da Fratelli d’Italia, dai cechi dell’Ods e dall’N-Va, che dovrebbe arrivare al potere in Belgio con Bart de Wever. E’ anche un fatto, come ha ricordato Nicola Procaccini, copresidente dell’Ecr, che nel Parlamento Europeo “non ci sono vincoli di maggioranza”, dato che le maggioranze si formano di volta in volta sui singoli dossier.
Fitto, anche ieri attaccato ripetutamente in Aula da sinistra, ha affermato via social che ora occorre "lavorare" in modo unitario, per il bene dell'Ue. Il capodelegazione del Pd Nicola Zingaretti, dal canto suo, si è augurato un “radicale ripensamento” della strategia da parte di Manfred Weber, visto che la maggioranza, anziché allargarsi, si è ristretta, perdendo molti pezzi per strada. Il politico bavarese ha rivendicato in Aula la sua strategia, definendo AfD, Fidesz e il Rassemblement National dei “nemici politici”, e promettendo che non permetterà loro di distruggere “la mia Europa”. E’ un fatto, comunque, che nel Parlamento uscito dalle europee dello scorso giugno la destra pesa eccome e condiziona il processo legislativo: Zingaretti ha invitato a ricordare sempre che nell’Aula ci sono “duecento” deputati “di estrema destra”, che si fanno sentire.
E continueranno a farsi sentire, ha assicurato Carlo Fidanza, capodelegazione di Fdi: “Giocheremo la nostra partita su ogni singolo dossier, perché sappiamo che i numeri qui dentro sono cambiati”, ha detto. "I programmi, le lettere di missione, tutto quello che è stato fino ad oggi non dico che è come se non esistesse più, ma rimane un punto di riferimento che dovrà calarsi nella realtà democratica di un'Aula che ha dei numeri diversi”. E Procaccini, chiudendo un punto stampa dopo il voto, non ha nascosto la propria soddisfazione: “Andiamo a fare un brindisi: ce lo siamo meritato”, ha detto ai membri della sua delegazione.
Esteri
Ucraina-Russia, Kim produce altri missili per Putin
Le immagini satellitari documentano lo sforzo di Pyongyang per aumentare la produzione di armi utilizzate da Mosca
Dopo le munizioni e i soldati, Kim Jong-un promette altri missili a Vladimir Putin. Il sostegno della Corea del Nord alla guerra che la Russia sta conducendo da oltre 1000 giorni contro l'Ucraina è sempre più ampio e sale di livello. Da oltre un anno, Pyongyang fornisce munizioni e artiglieria alle forze armate russe. Da circa un mese, migliaia di militari nordcoreani combattono accanto ai russi nella regione di Kursk, invasa sin da agosto dall'Ucraina.
I missili di Kim per Putin
La Corea del Nord adesso lavora per ampliare un impianto utilizzato per la fabbricazione di missili impiegati dalla Russia. E' quanto emerge da una ricerca di un think tank con sede negli Stati Uniti rilanciata dalla Cnn, da immagini satellitari che indicano come i nordcoreani stiano 'allargando' uno stabilimento nella città di Hamhung con la costruzione di un secondo edificio per l'assembleggio finale dei missili e di alloggi per i dipendenti. Tutto mentre continua a rafforzarsi l'asse Mosca-Pyongyang e mentre arrivano le notizie su una visita in Corea del Sud del ministro ucraino della Difesa in cerca di aiuti per Kiev.
Secondo i ricercatori del James Martin Center for Nonproliferation Studies del Middlebury Institute of International Studies, il sito in questione fabbrica sia missili Kn-23 (Hwasong-11A e la Russia, evidenzia la rete americana, ne ha lanciati circa 60 quest'anno contro l'Ucraina) che missili Kn-24 (Hwasong-11B). Qui è stato spesso in visita il leader nordcoreano Kim Jong-un. I nordcoreani lo chiamano 'Stabilimento 11 Febbraio'.
"Sembra sia un tentativo di aumentare la capacità su questa linea di produzione", ragiona con la Cnn Sam Lair del Center for Nonproliferation Studies, che racconta come la 'crescita' dell'impianto sia iniziata nel 2020 e come il nuovo edificio, probabilmente per l'assemblaggio dei missili, indichi che "non stanno solo migliorando un elemento della linea di produzione, ma piuttosto stanno cercando di ampliarla".
Le foto satellitari
Secondo Lair, che si basa sull'analisi di immagini satellitari di ottobre di Planet Labs, la Corea del Nord starebbe anche aumentando la forza lavoro. "Appena fuori dal perimetro di sicurezza dell'impianto, vediamo quelli che sembrano essere nuovi appartamenti in costruzione - dice - Nelle immagini satellitari vediamo le fondamenta". Il sito, sottolinea, fa parte del complesso Ryongsong Machine Complex che fabbrica anche armamenti per i militari nordcoreani.
I media ufficiali nordcoreani avevano immortalato qui Kim durante una visita dell'agosto 2023, ma quelle immagini - evidenzia la Cnn - sono sparite dalle pagine dei siti web nordcoreani. E intanto Kim continua a insistere sul potenziamento dell'arsenale del Paese eremita. Dall'inizio di quest'anno, secondo le denunce delle autorità ucraine raccolte dalla rete americana, gli attacchi con missili nordcoreani hanno fatto almeno 28 morti e 213 feriti. Nel mirino di attacchi missilistici, gli ucraini affermano che un terzo degli armamenti utilizzati dai russi per colpire il loro Paese sono nordcoreani.
Ucraina-Corea del Sud, contatto
Intanto, scrive l'agenzia Yonhap, il ministro ucraino della Difesa Rustem Umerov, alla guida di una delegazione scelta per i colloqui con il presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol, mantiene il riserbo dopo le indiscrezioni su una presunta richiesta di aiuti militari alla Corea del Sud. E l'ufficio di Yoon conferma un incontro con la delegazione ucraina guidata da Umerov per condividere informazioni d'intelligence sulla "crescente cooperazione militare" tra Russia e Corea del Nord, con il conflitto in Ucraina che va avanti da oltre mille giorni, innescato dall'invasione russa avviata il 24 febbraio di due anni fa.
Esteri
Italia-Francia, celebrato terzo anniversario Trattato...
Il 'Trattato di cooperazione rafforzata tra la Repubblica francese e la Repubblica italiana' ha l'obiettivo di definire un quadro stabile per la cooperazione tra i due Paesi in diversi settori:
Le università Luiss Guido Carli e Sciences Po, in collaborazione con The European House – Ambrosetti e con la Cattedra BNL - BNP Paribas 'Relazioni italo-francesi per l'Europa', hanno celebrato oggi il terzo anniversario del Trattato del Quirinale all’Ambasciata di Francia in Italia, a Palazzo Farnese.
Firmato a Roma il 26 novembre 2021, il 'Trattato di cooperazione rafforzata tra la Repubblica francese e la Repubblica italiana' ha l'obiettivo di definire un quadro stabile per la cooperazione tra i due Paesi in diversi settori: dagli affari esteri ed europei alla sicurezza e difesa, dalle politiche migratorie alla cooperazione economica, industriale e digitale, dalla governance dello spazio alla formazione, ricerca e innovazione. Nell’ambito del Trattato, sono stati citati i Dialoghi italo-francesi per l'Europa: iniziativa accademica lanciata nel 2018 da Luiss e Sciences Po in collaborazione con The European House Ambrosetti, come esempio positivo e modello di promozione della cittadinanza europea.
“In un momento di crescenti tensioni geopolitiche, celebrare l’anniversario del Trattato del Quirinale, che rafforza la cooperazione tra Italia e Francia nella promozione dei valori condivisi di pace, libertà, rispetto dei diritti e sviluppo socioeconomico, assume un significato di particolare rilevanza”, ha dichiarato la professoressa Paola Severino, Presidente della Luiss School of Law. “La Luiss è impegnata in prima linea nel formare una nuova generazione di leader europei, consapevoli e responsabili, come dimostra la promozione dei Dialoghi italo-francesi per l’Europa con Sciences Po. Iniziative come questa testimoniano la vitalità e l’importanza di questo percorso comune”, ha continuato.
“Il Trattato del Quirinale è molto più di un simbolo. È uno strumento per collaborazioni concrete, non solo per i nostri due paesi ma per l’Europa, che resta la nostra bussola e dove abbiamo interessi convergenti. A tal riguardo, l’evento di oggi è molto significativo: mira proprio a far dialogare le forze vive dei nostri paesi su un tema decisivo per il nostro futuro comune”, ha sottolineato l’Ambasciatore francese, Martin Briens.
“Di fronte alle ‘fratture’ - ecologica, digitale e geopolitiche - del mondo contemporaneo, la cooperazione universitaria tra la Francia e l’Italia è un asset indispensabile in Europa”, ha affermato Luis Vassy, Direttore di Sciences Po. “I Dialoghi del Trattato del Quirinale sono una dimostrazione di questa ambizione. Ringrazio i partner impegnati al nostro fianco in questo progetto, Luiss e The European House - Ambrosetti, con i quali condividiamo i valori di eccellenza e l’obiettivo di formare dei cittadini consapevoli perché siano i protagonisti del mondo di domani”.
Nel corso dell’evento dal titolo: 'Il Trattato del Quirinale e la competitività delle imprese nell’era della transizione ecologica', si sono articolate due sessioni di lavoro dedicate a tematiche di grande attualità: da una parte, la transizione energetica e il suo impatto sui mercati, dall’altra le competenze e la centralità del sistema dell’istruzione per la formazione professionale. L’incontro è stato aperto dai messaggi del Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, del Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, seguiti dai saluti dell’Ambasciatore di Francia in Italia, Martin Briens, dell’Ambasciatrice d'Italia in Francia, Emanuela d’Alessandro, del Presidente della Luiss, Luigi Gubitosi e del Direttore di Sciences Po, Luis Vassy.
Le due tavole rotonde hanno visto la partecipazione di esponenti dal mondo accademico e delle imprese, impegnati nel proficuo dialogo tra Italia e Francia nei rispettivi ambiti: Stefano Buono, CEO di Newcleo, Marc Lazar, Professore emerito di Sciences Po e titolare della cattedra BNL-BNP Paribas “Relazioni franco-italiane in Europa” alla Luiss, Stefano Manzocchi, Professore di Economia Internazionale e Prorettore per la Ricerca della Luiss, Lorenzo Mottura, Executive Vice President Strategy, Corporate Development & Innovation, Edison, Paola Severino, Presidente Luiss School of Law. All’evento, concluso dall’intervento del Rettore della Luiss Paolo Boccardelli, sono state coinvolti anche i rappresentanti degli studenti e degli Alumni dei due Atenei.
Esteri
Israele ricorrerà in appello contro mandato d’arresto...
L'anticipazione del giornalista di Axios Barak Ravid, poi la conferma dell'ufficio del primo ministro israeliano
Israele ricorrerà in appello contro la decisione della Corte penale internazionale sui mandati d'arresto per il primo ministro Benjamin Netanyahu e l'ex ministro della Difesa, Yoav Gallant. Ad anticipare la notizia su X è il giornalista di Axios Barak Ravid, spiegando di averlo appreso da un funzionario israeliano. L'indiscrezione è stata poi confermata dall'ufficio di Netanyahu in una nota, secondo cui la richiesta di Israele alla Cpi è di sospendere i mandati di arresto nei confronti del primo ministro e Gallant in attesa dell'esito dell'appello.
Nel comunicato si spiega che il ricorso di Israele "espone nel dettaglio quanto sia stata assurda l'emissione di mandati di arresto e quanto sia priva di qualsiasi base fattuale o legale". Si aggiunge, inoltre, che se la Cpi respingesse il ricorso ciò non farebbe altro che "sottolineare agli amici di Israele negli Stati Uniti e nel mondo quanto la Corte penale internazionale sia faziosa nei confronti di Israele".
Accuse di crimini di guerra e crimini contro l'umanità
La Cpi ha emesso giovedì 21 novembre scorso tre mandati di cattura per crimini di guerra nei confronti del primo ministro israeliano, il suo ex ministro della Difesa oltre che per il capo del braccio armato di Hamas, Mohammed Deif.
I tre giudici hanno deciso all'unanimità sulla base delle accuse di crimini contro l'umanità e crimini di guerra: sia Netanyahu sia Gallant saranno passibili di arresto se si recheranno in uno degli oltre 120 Paesi che fanno parte della Cpi. La Corte ha invece emesso anche il mandato per Mohammed Diab Ibrahim Al-Masri, noto anche come Mohammed Deif, per il massacro del 7 ottobre 2023. Israele afferma di aver ucciso Deif in un attacco aereo ad agosto, ma Hamas non ne ha mai riconosciuto formalmente la morte. Le implicazioni pratiche della decisione potrebbero essere limitate, dal momento che Israele e il suo principale alleato, gli Stati Uniti, non sono membri della Corte.
"Ci sono ragionevoli prove per credere che entrambi abbiano intenzionalmente e coscientemente privato la popolazione civile di Gaza dei mezzi indispensabili per la loro sopravvivenza, compreso cibo, acqua, medicine e forniture mediche, insieme a carburante ed elettricità" scriveva nelle motivazioni la Corte penale internazionale.
I giudici, che hanno accolto la richiesta che era stata presentata lo scorso maggio dal procuratore capo della Corte, Karim Khan, hanno scritto inoltre di credere che vi siano ragionevoli prove che entrambi "abbiano responsabilità penale per i seguenti crimini, come co-autori per aver commesso gli atti insieme ad altri: il crimine di guerra dell'utilizzo della morte per fame come arma di guerra e i crimini contro l'umanità di omicidio, persecuzione e altri atti disumani". Viene considerato, inoltre, che "entrambi abbiano responsabilità penale come superiori civili per il crimine di guerra di aver intenzionalmente ordinato un attacco contro la popolazione civile".
Riguardo alle accuse di utilizzo della fame come arma di guerra, i giudici fanno riferimento al fatto che "le decisioni di permette o aumentare l'assistenza umanitaria a Gaza sono state spesso condizionate" e non per rispettare gli obblighi di Israele rispetto alla legge umanitaria internazionale, facendo riferimento anche "alle dichiarazioni di Netanyahu che collegavano lo stop dei beni primari e umanitari agli obiettivi della guerra".