Trasporti, Pedaso (Land): “Con Fili aree dismesse rinascono in chiave innovazione”
"Per la Lombardia, Fili rappresenta un’occasione unica: ridare vita a molte aree dismesse trasformandole in motori di innovazione capaci di coniugare sviluppo economico, tutela ambientale e valorizzazione del paesaggio". Lo afferma l'architetto Matteo Pedaso, partner e senior director di Land, parlando del progetto 'Fili', promosso da Regione Lombardia, Fnm, Ferrovienord e Trenord.
"Fili -spiega Pedaso- rappresenta uno dei progetti più emblematici a livello europeo, che riguarda la grande regione urbana milanese, crocevia dei più importanti sistemi urbani del continente. Un cuore pulsante dove milioni di persone abitano città, che sono i luoghi d’eccellenza del cambiamento". Il progetto rappresenta "una rilettura dell’esistente che ripensa i rapporti con la città-capoluogo guardando alla macroregione urbana, una realtà ricca di opportunità spesso sottovalutate. In questo contesto, la superciclabile Cadorna - Malpensa diventa un elemento di innovazione: attiva nuove relazioni nel continuum urbanizzato, promuove nuove forme di mobilità sostenibile, diventa piattaforma di collaborazione".
"Fili -sottolinea- chiama a raccolta gli stakeholder, supera i confini amministrativi e ispira nuovi progetti in sinergia tra loro che possono incidere sulla qualità della vita delle persone. Una strategia che crea una nuova immagine di un territorio liberandone il potenziale e innescando un cambiamento nella percezione delle città, garantendo qualità su vasta scala. Dalla riscoperta dei fiumi e del patrimonio ambientale e culturale fino all’introduzione di un nuovo modo di muoverci e relazionarci, Fili rappresenta anche un grande laboratorio di rinaturalizzazione del territorio lombardo, che ricuce le ferite del passato e lo trasforma in un nuovo paesaggio urbano vitale, dinamico e interconnesso".
Cronaca
Addio a un gigante della neurologia: il professor Giancarlo...
C’è un vuoto enorme, immenso e non si riesce proprio a descriverlo. E sapete una cosa? Cercare di trovare le parole giuste è dura, anzi, quasi impossibile. Come fai a spiegare una perdita così grande? Come? Il professor Giancarlo Comi – uno di quelli che non dimentichi, che ti rimangono dentro per sempre, una di quelle menti luminose che nascono una volta ogni tanto, una di quelle anime che metteva il cuore in tutto quello che faceva, soprattutto nella battaglia contro la sclerosi multipla – se n’è andato. Il 26 novembre 2024. Così, senza preavviso. Un colpo secco, che ci ha tolto il fiato. Nessuno se lo aspettava, nessuno era pronto. E adesso? Adesso siamo qui: giornalisti, colleghi, pazienti, amici, tutti col cuore in frantumi, pieni di domande che, chissà, forse non troveranno mai risposta.
Perché Comi non era solo un medico, no. Era molto di più. Era uno che ci credeva davvero, uno che aveva il fuoco dentro. Un pioniere, un visionario, uno che ci metteva tutto, anima e corpo, senza mai, mai tirarsi indietro. Uno di quelli che, quando tutto va a rotoli, ti prendono per mano e non ti mollano. Per chi vive ogni giorno con la sclerosi multipla, quella malattia che è come un’ombra che non ti lascia mai, Comi era una luce accesa in mezzo al buio. Era un punto fermo, qualcosa a cui aggrapparsi quando tutto sembra scivolare via. Qualcuno che, anche nei giorni più neri, riusciva a farti credere che c’era una speranza. E ora, senza di lui? Sì, tutto sembra più buio. Ma sapete una cosa? Il suo spirito è ancora qui. Rimane. Resta in ogni piccola battaglia quotidiana, nelle storie di chi non si arrende mai, nelle mani che non smettono di lottare. Perché quello che ci ha lasciato non è solo un ricordo: è una fiamma viva, che continuerà a bruciare. Dentro ognuno di noi che ha avuto la fortuna di conoscerlo, di vedere da vicino quanto era grande, quanto era straordinariamente umano.
Una vita al servizio della ricerca e dei pazienti
Comi non passava mai inosservato, mai. Era uno di quei nomi che, appena lo senti, ti fa fermare. Cioè, davvero, uno di quei nomi che ti fa dire: “Wow, questo qui fa la differenza“. Professore Onorario di Neurologia, Direttore Scientifico… certo, tutti quei titoli altisonanti, roba grossa, roba importante. Ma sapete cosa? Non erano i titoli a farlo chi era, per niente. Non erano quelle targhe lucide, quelle pergamene incorniciate. No. Comi era quello che ogni mattina si alzava, magari con il sonno ancora addosso, ma con un solo pensiero fisso in testa: come posso fare la differenza per chi oggi conta su di me? Come posso migliorare la vita di chi mi affida tutto? E ci metteva tutto. Non solo il cervello, ma il cuore, l’anima, ogni piccolo pezzo di se stesso. Ogni singolo giorno. E ce l’ha fatta. Alla grande. Non è facile dire questo, ma ce l’ha fatta davvero. Ha scritto più di mille articoli scientifici, roba che ti fa girare la testa solo a pensarci. Un h-index sopra il 100, numeri che sembrano quasi irreali. Ma alla fine, cosa contano quei numeri, veramente? Anche se non avete la minima idea di cosa sia un h-index, lasciate che vi dica una cosa: quei numeri parlano di uno che non si è mai fermato, che ha lasciato un segno indelebile. Uno che non si è mai girato dall’altra parte, mai, nemmeno una volta.
Ma, sapete, quello che lo rendeva davvero speciale non erano i numeri, non erano i titoli. Era la sua dedizione, così semplice, così pura. Era l’umanità che ci metteva, il modo in cui riusciva a farti sentire ascoltato, capito, come se fossi l’unico al mondo. Ogni paziente, ogni collega che gli è stato vicino, tutti hanno visto oltre lo scienziato. Hanno visto l’uomo. Quello vero. Quello che non si fermava alla malattia ma vedeva la persona dietro. E forse è proprio questo il più grande regalo che ci ha lasciato: far sentire ognuno di noi importante, nonostante tutto.
Riconoscimenti che raccontano una storia
Comi, nel corso della sua carriera, ha raccolto premi e onorificenze come pochi altri. E non parliamo di premi qualunque. C’era l’Ambrogino d’Oro che ha ricevuto dal Comune di Milano nel 2016 e poi il titolo di Ufficiale della Repubblica Italiana nel 2018, per i suoi meriti scientifici. Ma non è tanto per vantarsi. Non è di quei riconoscimenti che si mettono in vetrina per far bella figura. Sono la prova di quanto fosse grande il suo lavoro. Di quanto fosse cruciale. Perché Comi è stato davvero un leader. Uno di quelli che, quando ci sono, senti che tutto è possibile. Una guida vera, una luce che brillava per tutta la comunità scientifica. Non è un’esagerazione dire che quello che ha fatto lui ha cambiato tutto. Ha segnato un’epoca. Ha aperto strade nuove. E questo, alla fine, è quello che conta di più.
Il vuoto e l’eredità di un grande uomo
Con la sua scomparsa, la comunità scientifica ha perso un un punto di riferimento che ora non c’è più e fa male. Il Centro Studi Sclerosi Multipla di Gallarate, che ha avuto l’onore di averlo come guida, ha espresso tutto il suo dolore, ricordando quanto lui fosse una fonte di ispirazione inesauribile. Non solo per i medici ma per tutti, pazienti compresi. Accettare che una persona così fondamentale se ne sia andata non è per niente facile. Però c’è una cosa che possiamo dirci per consolarci un po’: il suo lavoro, la sua eredità, continueranno a vivere. Nei suoi studi, certo, ma anche nelle vite di tutte quelle persone che ha toccato, nei ricercatori che seguiranno le sue orme.
La lotta contro la sclerosi multipla e altre malattie neurodegenerative non finisce qui. Non può fermarsi qui. Le prossime generazioni raccoglieranno il testimone. L’impegno di Comi, la sua passione, quella forza indomabile… tutto questo resterà vivo. E così, il professor Comi sarà per sempre parte di questa battaglia, un esempio da seguire, una presenza che, anche se invisibile, continuerà a fare la differenza. Non è facile dire addio ma è confortante sapere che, grazie a persone come Giancarlo Comi, il mondo è un po’ migliore. Grazie, professore.
Cronaca
G7, Gemmato: “Antibiotico-resistenza è criticità, 40...
All’evento conclusivo del G7 Salute in corso a Bari
"L’antimicrobico-resistenza è una minaccia: in Europa si stima che sia responsabile di circa 35.000 decessi all’anno, di cui un terzo solo in Italia (circa 12.000). Le cause di questa emergenza sono numerose e complesse e necessitano un impegno di tutti. Ecco perché il Governo, attraverso il Piano triennale di contrasto all'antimicrobico-resistenza, ha investito 40 milioni di euro l'anno: quindi un investimento strutturale di 120 milioni di euro". Così il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato nel suo intervento di apertura della seduta plenaria 'Antimicrobico-resistenza: la strada da seguire' nell’ambito dell’evento conclusivo del G7 Salute oggi e domani a Bari. Tema della due giorni, l’urgenza di contrastare l'antibiotico-resistenza.
"Secondo una stima Ocse, fra il 2015 e il 2050 se le attuali tendenze non cambieranno, il trattamento delle infezioni resistenti nei Paesi del G7 comporterà in media una spesa straordinaria, ogni anno, di circa 7 milioni di giorni di degenza ospedaliera in più – ricorda Gemmato - e l’Italia contribuirà a questo calcolo con circa 1,3 milioni di giorni di degenza ospedaliera in più ogni anno. Vi è la necessità di investire in ricerca su nuovi antibiotici così come la ricerca va avanti per altre patologie ritenute invincibili".
Per il sottosegretario alla Salute il tema centrale resta quello degli incentivi. "Segnalo l’ingresso per la prima volta dell’Italia a livello internazionale nel sistema strutturale di incentivi per favorire lo sviluppo di nuovi antibiotici attraverso i 21 milioni per il finanziamento della partnership globale no profit CarbX. In questo modo promuoviamo gli incentivi push per incoraggiare gli investitori privati ad allocare risorse nella fase di ricerca di nuovi antibatterici".
"Le cause dell’antibiotico-resistenza sono numerose e complesse e necessitano un impegno di tutti. Ecco perché a livello nazionale con le misure in Legge di Bilancio 2025 il Governo intende destinare fino a 100 milioni di euro del Fondo farmaci innovativi per lo sviluppo di agenti antinfettivi per infezioni da germi multi-resistenti".
"Il 50% del consumo di antibiotici in Italia è nella filiera zootecnica e dobbiamo essere fieri che tale utilizzo, contrariamente al settore umano, è in sensibile riduzione (oltre il 46% rispetto al 2016) e questo grazie ad un rigoroso sistema di tracciatura dei medicinali reso possibile dalla ricetta elettronica veterinaria e all’applicazione di precise stewardship previste dal Piano nazionale di contrasto all’antibiotico-resistenza (Pncar), sul quale non a caso abbiamo destinato un finanziamento di 40 milioni di euro annui, 120 milioni totali".
"La strategia veterinaria di contrasto all’antibiotico-resistenza è ad oggi tra le più all’avanguardia. Basti pensare che grazie al sistema informativo Classyfarm siamo in grado di classificare gli allevamenti sulla base del rischio di sviluppo e diffusione di resistenza agli antibiotici – sottolinea Gemmato - premiando gli allevatori virtuosi con un fondo annuale di 376 milioni nell’ambito della Politica agricola comune (Pac 2023-2027)".
È "importante anche parlare delle buone pratiche" e "soprattutto ringraziare chi ne è fautore, ovvero i medici veterinari che svolgono un lavoro eccezionale di sorveglianza e prevenzione, nel nostro Sistema sanitario nazionale pubblico come in quello produttivo. Nessun Governo prima del Governo Meloni aveva investito in antibiotico resistenza con incentivi push and pull. Tuttavia, accanto alle risorse è necessario agire per un loro corretto impiego ed è quanto immagino sarà maturato dai tavoli tematici di oggi".
Cronaca
L’Udu contro la riforma del test di medicina:...
L'Unione degli Univesitari critica il ddl, 'il rischio è che si aggravi la situazione degli atenei italiani'
"Questa riforma, pur sembrando un cambiamento positivo, rischia di illudere gli studenti e aggravare ulteriormente le difficoltà delle università italiane." Così Noemi Cottone, membro dell'esecutivo dell'Udu, l'Unione degli universitari, sul disegno di legge, approvato ieri in Senato, che modifica l'accesso ai corsi universitari di Medicina.
Nella nota dell'Udu, si sottolinea come ogni anno circa 60.000 studenti affrontano il test di ingresso in Medicina. Un numero in aumento. Le università, prosegue Cottone, "non sono in grado di gestire un aumento delle immatricolazioni. Il rinvio del numero chiuso non affronta i problemi strutturali alla base del sistema. I tagli al Servizio Sanitario Nazionale e la carenza di medici aggravano una situazione già critica, e il cosiddetto 'turismo universitario' non dipende solo dal numero chiuso, ma da una visione più ampia, legata alla mancanza di opportunità e di un futuro stabile per i professionisti della sanità".
L'idea che il numero chiuso premi il merito è 'fallace' e non considera le disuguaglianze sociali, economiche e culturali degli studenti. Il sistema attuale aumenta le barriere per chi proviene da contesti svantaggiati e favorisce chi ha maggiori risorse. Per garantire un accesso equo a Medicina, è necessario - conclude - investire nelle infrastrutture accademiche e nel sistema sanitario. Solo dopo, quando le risorse saranno adeguate, si potrà davvero parlare di un accesso meritocratico."