Consulta, Finocchiaro nel toto-nomi ma candidatura a rischio. L’ex presidente della Corte Mirabelli: “Manca il requisito”
"Non ha esercitato funzioni in Cassazione", ma c'è un precedente del 1977
Continua il tam tam sul nome di Anna Finocchiaro come possibile giudice della Corte Costituzionale. L'ipotesi di una sua candidatura in quota Pd, però, potrebbe essere a rischio. Il ruolo che ha ricoperto fino al 1987 da magistrato, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania, potrebbe infatti non essere sufficiente a garantirle l'ingresso a palazzo della Consulta, nonostante il trascorso politico di alto spessore che la ha incoronata per ben due volte ministro, nonché icona per lunghi anni del centrosinistra. L'articolo 135 della Costituzione prevede infatti che "i giudici della Corte costituzionale sono scelti tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni di esercizio". L' i ncarico da magistrato presso il Tribunale di Catania potrebbe non essere quindi sufficiente, non trattandosi di giurisdizione "superiore" come lo sono la Corte di Cassazione, il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti. Del resto, gli stessi problemi si potrebbero porre nella ipotesi in cui fosse candidato il ministro della giustizia Carlo Nordio, che pure ha esercitato funzioni di grado superiore ma non della Cassazione.
"La Corte, a cui è rimessa la verifica degli eletti come per ogni organo di questo tipo, potrebbe ritenere che manca il requisito previsto dalla Costituzione. Nonostante l'alta qualità della persona, per i magistrati di Cassazione vale la regola dell'esercizio effettivo della funzione che la ex ministra non ha svolto, salvo che non si ritenga che abbia esercitato funzioni da ritenere equivalenti a quelle della Cassazione", spiega all'Adnkronos il presidente emerito della Corte Cesare Mirabelli. "In base alla Carta, bisogna distinguere lo sviluppo della carriera economica e di grado dall'esercizio delle funzioni. Quando la Carta parla di magistrati di Cassazione, si riferisce a magistrati che hanno fatto parte della Corte suprema di Cassazione, che hanno esercitato funzioni di Cassazione. La carriera dei magistrati è aperta a scorrimento ma l'articolo 135 della Costituzione richiede al magistrato che contribuisca con la competenza di quell'alto collegio".
Nella storia della Corte dal 1956 ad oggi c'è stata tuttavia un'eccezione alla regola: quella di Brunetto Bucciarelli Ducci, deputato Dc e presidente della Camera dal 1963 al 1968. Divenne giudice della Corte costituzionale dal 1977 al 1986 "legittimato per esercizio di funzioni ritenute equivalenti a quelle di un consigliere di Cassazione", spiega Mirabelli. Se ci sarà un Bucciarelli Ducci bis, in caso di candidatura e vittoria di Anna Finocchiaro in Parlamento, sarà la Corte costituzionale a deciderlo, verificando i titoli necessari per essere eletta giudice costituzionale. "Ma sono problemi che si evitano prima in informali consultazioni con la Corte", suggerisce il presidente emerito. (di Roberta Lanzara)
Politica
Canone Rai, Tajani: “Coalizione solida, nessuno...
Il vicepremier e leader di Forza Italia: "Avanti fino a fine legislatura"
Dopo l'attrito tra Forza Italia e Lega sul canone Rai e i toni alti delle scorse ore, la coalizione di centrodestra resta "una coalizione solida, il governo va avanti, continuerà a lavorare per fare le riforme, per affrontare una situazione economica che non è sempre semplice, andrà fino alla fine della legislatura". Ad assicurarlo è stato il leader azzurro, vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, intervenendo a 'Mattino 5 News'.
"Meloni ha le sue idee, io sono sempre stato leale. Berlusconi diceva sempre 'meglio leale che fedele' e sulla mia lealtà e sulla lealtà di Forza Italia non ci sono dubbi. Sosterremo sempre con grande determinazione il governo, volendo collaborare'', ha aggiunto, per poi "rassicurare tutti i cittadini e gli elettori. Il centrodestra è una coalizione politica fondata da Berlusconi solida, il governo andrà avanti fino alla fine della legislatura".
"Siamo partiti differenti - ha detto - ma non c'è nessun pericolo. Dove c'è stato un confronto, è accaduto sul canone Rai. Noi, come annunciato, non abbiamo votato un emendamento proposto dalla Lega'', quello sul taglio del canone di 20 euro. Una ''proposta che alle casse dello Stato sarebbe costata 430 milioni di euro, perché bisognava ripianare il buco della Rai, che sarebbe fallita senza quegli introiti. Una scelta insomma che non avrebbe provocato alcun beneficio ai cittadini. Quei 430 milioni invece possono essere utilizzati per tagliare le tasse, le pensioni minime. Si trattava di spendere meglio questi soldi. Non c'è nessuna polemica, nessun scontro politico'', ha sottolineato Tajani.
Politica
Canone Rai, Forza Italia contro il...
Nevi lancia affondo contro il leader della Lega, poi corregge il tiro. Il segretario azzurro: "Chiariremo, conta unità coalizione"
Non c'è pace nel centrodestra. Dopo le forti fibrillazioni registrate mercoledì al Senato sul decreto fiscale, con Forza Italia che ha votato con l'opposizione contro l'emendamento della Lega sul taglio del canone Rai, il clima interno alla maggioranza resta teso. Stavolta è il 'paraculetto gate' a scuotere il governo.
Il 'paraculetto gate', mea culpa di Nevi dopo le polemiche
A dar fuoco alle polveri, infatti, ci pensa il portavoce nazionale azzurro, Raffaele Nevi (classe '73 da Terni, una lunga gavetta politica nella sua Umbria prima dell'approdo in Parlamento nel 2018), uno dei fedelissimi di Antonio Tajani, che prima invita l'alleato Matteo Salvini a ''darsi una calmata'' per poi lanciare l'affondo: ''Salvini fa un po' il paraculetto e dice che nel programma c'è anche la riduzione del canone Rai...''.
Un giudizio che in tanti tra gli azzurri a mezza bocca condividono ma i vertici del partito devono smentire per spirito di coalizione, perché è arrivato il momento di abbassare i toni. Berlusconi ci ricordava sempre che l'unità della coalizione è e resta il nostro bene più prezioso, avrebbe ammonito Tajani. Tant'è che Nevi a stretto giro di posta corregge il tiro: ''Ho visto che la sinistra non vede l'ora di mettere zizzania all'interno della coalizione, mi dispiace che sia stato completamente travisato il mio pensiero ed estrapolato ad arte". Il vicepresidente vicario dei deputati forzisti fa mea culpa: ''Salvini porta avanti una legittima proposta politica in assoluta trasparenza e onestà intellettuale, ci tenevo a scusarmi se le mie parole sono risuonate come offensive nei suoi confronti".
Il bene della coalizione e i dubbi azzurri sulla gestione della pratica Rai
Quel che conta, dunque, è il bene della coalizione, ma in casa Forza Italia, raccontano, restano i dubbi, l'amarezza e il forte malcontento, se non la rabbia, per come è stata gestita la pratica Rai. Che da alcuni viene considerata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. C'è chi guarda con sospetto il ruolo e l'attivismo al centro di 'Noi Moderati' (basti pensare al ritorno all'ovile di Mara Carfagna e Mariastella Gelmini fuoriuscite da 'Azione'), chi, invece, si chiede come mai Fdi era pronta a trovare oltre 430 milioni di euro per compensare il taglio del canone a 70 euro che costa solo 50 centesimi al cittadino italiano, invece di impiegare quei soldi per abbassare davvero le tasse e non per una mera partita di giro.
L'input di Tajani: stop alle polemiche
Non solo, c'è chi poi ricorda che esiste un'altra partita delicata, quella sulle deleghe di Raffaele Fitto, e i rumors su una presunta ipotesi di affidarle a Elisabetta Belloni avrebbe fatto arricciare il naso a più di un forzista. Insomma, ci sarebbero tante ragioni di malessere che spingerebbero gli azzurri a mettersi di traverso. Ma l'input di Tajani è stato preciso: ora stop polemiche, andiamo avanti, anche perché al prossimo Cdm ci sarà modo per un confronto e chiarire con gli alleati.
Intanto, al termine della serata, arriva la risposta di Salvini al "paraculetto": "Peace and love...", la conclusione dell'azzurro.
Politica
Fitto pronto per Bruxelles, l’addio domani in Cdm....
Il pranzo di mercoledì al Quirinale della premier con Mattarella, rivelano fonti di Palazzo Chigi, non è stato sulle "fibrillazioni in Parlamento", ma ha avuto come "focus la manovra e l'Ue"
In tarda mattinata, quando la notizia del pranzo al Quirinale tra la premier Giorgia Meloni e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella rimbalza, c'è chi teme, nella maggioranza, e chi spera, nell'opposizione, che i 'fuori pista' di Matteo Salvini e Antonio Tajani abbiano provocato una slavina, col rischio concreto che venga giù tutto. Ma a stretto giro di posta fonti di Palazzo Chigi mettono in chiaro che l'incontro -avvenuto mercoledì e rimasto coperto per 24 ore- "non c'entra assolutamente nulla con le fibrillazioni che ci sono state ieri in Parlamento", era infatti "programmato da almeno una settimana" e "non a sorpresa".
La telefonata a Tajani e Salvini
Nel 'menu' "i viaggi internazionali, un excursus sull'Europa, dopo l'ok alla Commissione Ue con la nomina di Raffaele Fitto come vice presidente esecutivo e, naturalmente, la manovra". Che poi tra le portate non sia entrato anche lo sgambetto di Fi e il fallo di reazione della Lega -con il governo andato giù per ben due volte- resta difficile crederlo, di fatto però nel 'day after' si rafforza a Palazzo Chigi la volontà, emersa già ieri, di lasciarsi tutto alle spalle e tirare avanti. Meloni, oggi in Sardegna e domani a Bari per gli ultimi accordi di coesione da siglare, avrebbe sentito in giornata sia Salvini che Tajani, per normalizzare e ripartire dopo l'incidente. "Certo, fino al prossimo inciampo...", la convinzione che serpeggiava nei capannelli di deputati e senatori di Fdi questa mattina riuniti a Montecitorio per l'ennesima fumata nera sulla Consulta. A riprova che tra alleati resta una certa diffidenza. Anche oggi è stato disinnescato in extremis un incidente tra Forza Italia e Lega, con il 'paraculetto', affibbiato da Raffaele Nevi al leader leghista.
I saluti a Fitto va in Ue
Domani, viene assicurato, in Cdm non si farà parola sull'accaduto, nessun appello a evitare frizioni -"il messaggio è già passato forte e chiaro", la convinzione- mentre ci sarà spazio per un saluto, "come merita", al ministro uscente Raffaele Fitto, pronto a fare le valigie per Bruxelles. Un addio, quello del ministro salentino, che genera interrogativi e ragionamenti su quale sia il modo migliore per sostituirlo, ma anche innegabili 'appetiti'. "Il mantra è: lasciare ogni cosa al suo posto. E, se proprio necessario, toccare il meno possibile", ribadiscono fonti vicine alla presidente del Consiglio all'Adnkronos. Vale a dire che il superdicastero guidato da Fitto -Affari europei, Sud, Politiche di coesione e Pnrr- "è stato cucito addosso a Raffaele, dunque non avrebbe senso mettere qualcun'altro al suo posto", la convinzione.
L'idea della premier resterebbe, dunque, quella di tenere l'interim e 'ripartire' il pacchetto di deleghe che fino ad ora Fitto ha gestito in solitaria puntando innanzitutto su Palazzo Chigi, dove la presidente del Consiglio può contare su due sottosegretari come Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari, con il primo in funzione di 'regista'. E giocando più avanti la carta di un sottosegretario ad hoc - due i posti venuti meno nel sottogoverno con le dimissioni di Vittorio Sgarbi e Augusta Montaruli - creandone uno agli Affari europei.
"Di nuovi ministri - assicurano le stesse fonti - al momento non se ne parla", e questo nonostante continui a circolare il nome di Elisabetta Belloni, "se poi più avanti cambieranno le cose è chiaro che un ministro di Fdi va sostituito con un ministro che veste la stessa maglia". Vale a dire, nessuna concessione per Fi e Lega, tanto più alla luce degli affondi tra i due alleati.
La convinzione, nonostante tutti sostengano che "per fare un Fitto ce ne vogliono tre", è che si possa reggere la baracca anche senza una nuova nomina. A facilitare le cose il fatto che i dirigenti che attualmente lavorano per il ministro uscente e neo vicepresidente della Commissione Ue, impegnati in prima linea sul Pnrr e sui fondi di coesione, resterebbero al loro posto. Per loro ben poco cambierebbe, se non che, dopo il trasferimento del ministro a Bruxelles, a leggere lo spartito e dirigere l'orchestra sarà di fatto Palazzo Chigi.