Cardiologo Grimaldi, ‘proteggere anche sportivi non agonisti’
La vicenda del calciatore della Fiorentina Edoardo Bove, colpito da malore durante il match con l'Inter, "sembra essere stata gestita bene: se il ragazzo, come è stato riportato, non ha alterazioni di tipo neurologico, vuol dire che hanno mantenuto efficacemente il circolo, perché altrimenti dopo un paio di minuti si iniziano ad avere danni cerebrali. Quindi sono stati tempestivi e bravi. Il problema è che questo tipo di situazione si può riscontrare su qualsiasi campo di calcio, di qualsiasi categoria, ma anche nei dilettanti, cioè anche in chi fa calcio o qualsiasi altro sport a livello amatoriale, non agonistico. Il mio pensiero dunque si rivolge all'enorme schiera di sportivi non agonisti". Lo evidenzia all'Adnkronos Salute Massimo Grimaldi, presidente designato dell'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco) e direttore Cardiologia dell'Ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti (Bari).
Cosa si può fare? "La cosa migliore è diffondere la cultura della rianimazione cardiopolmonare, una cosa che secondo me andrebbe insegnata nelle scuole, almeno per quanto riguarda i rudimenti di rianimazione cardiopolmonare - illustra l'esperto - E poi andrebbe curata particolarmente anche la diffusione dei defibrillatori automatici. Ora averli è obbligatorio nei centri sportivi, grazie ad una legge vera e propria. Ma la diffusione potrebbe essere anche più estensiva, e vi sono degli esempi virtuosi in Italia, come il progetto avviato a Piacenza con una capillare diffusione di questi strumenti. Un defibrillatore automatico tra l'altro - chiosa l'esperto - ha ormai un costo molto accessibile, dai 500 ai mille euro circa, meno di un telefonino di ultima generazione, ed è uno strumento che può salvare una vita".
Salute e Benessere
Farmaci, esperti: “Fentanyl essenziale per terapia...
A Roma convegno sugli oppioidi per pazienti affetti da dolore, oncologico e non
Gli oppioidi sono una classe di farmaci essenziale per garantire una migliore qualità della vita ai pazienti affetti da dolore, oncologico e non. Ben altra cosa è il loro utilizzo illecito come sostanze d'abuso, dunque al di fuori del contesto medico, correlato al mondo della criminalità organizzata. Una deviazione pericolosa, sotto i riflettori per via dell'emergenza Fentanyl d'oltreoceano, che merita grande attenzione, ma che non deve confondere la percezione dell'opinione pubblica rispetto al valore di un farmaco ampiamente consolidato e apprezzato nella pratica clinica, che rappresenta uno strumento insostituibile nella lotta contro il dolore. E' il messaggio unanime espresso da rappresentanti del mondo della politica, delle istituzioni e della comunità scientifica, intervenuti oggi a Roma al convegno 'Fentanyl, fra sicurezza e salute: oltre l'emergenza', organizzato da Formiche in collaborazione con Istituto Gentili.
"Il Fentanyl è una molecola con oltre sessant'anni di esperienza clinica. E' l'oppioide più utilizzato al mondo in ambito anestesiologico e rappresenta un presidio insostituibile per trattare il dolore moderato-severo, specialmente in oncologia - ha spiegato Arturo Cuomo, direttore Sc Anestesia, Rianimazione e Terapia antalgica, Istituto nazionale Tumori - Irccs Fondazione Pascale, Napoli - Oltre ai benefici sulla qualità di vita, la terapia del dolore rappresenta a tutti gli effetti una terapia adiuvante alla cura del tumore, perché contribuisce a migliorare l'aderenza alle terapie oncologiche e quindi ad aumentare la sopravvivenza. Si tratta davvero di un'arma indispensabile nelle mani del medico per garantire il meglio delle cure ai pazienti per cui questo farmaco è indispensabile".
"C'è assoluta consapevolezza dell'utilità dei farmaci oppioidi per la terapia del dolore. Il Piano Fentanyl non intende in alcun modo demonizzare questo farmaco insostituibile in medicina, né condizionare la filiera legale - ha dichiarato Ugo Taucer, prefetto e consigliere del sottosegretario di Stato con delega al Dipartimento delle politiche antidroga della Presidenza del Consiglio - L'azione del Governo è volta a prevenire la diffusione del Fentanyl nei canali illeciti per proteggere la salute della popolazione da un consumo distorto della sostanza. C'è la volontà di rafforzare la sinergia tra tutti i soggetti coinvolti nelle attività di monitoraggio e presidio della filiera, che si affianca all'attività di controllo dei trasferimenti illegali di queste sostanze a livello internazionale".
"E' doveroso distinguere tra l'utilizzo dei farmaci oppioidi in ambito sanitario, fondamentale per migliorare la qualità di vita dei pazienti oncologici e non solo, e l'uso illecito di queste sostanze nel contesto della tossicodipendenza - ha affermato Luciano Ciocchetti, vicepresidente della XII Commissione Affari sociali della Camera - E' importante mettere in campo azioni efficaci di prevenzione delle forme di abuso degli oppiacei e al contempo promuovere la cultura della lotta al dolore, sancita dalla legge 38/2010". Marta Schifone, membro della commissione, ha evidenziato che "l'Italia è stata tra le prime nazioni ad aver messo in campo un'azione di contrasto contro l'uso illecito del Fentanyl, che si fonda anche sull'importante ruolo della cooperazione fra Stati per contrastare il commercio illegale di queste sostanze".
"E' fondamentale promuovere una maggiore conoscenza su questi temi - ha detto Elena Murelli, membro della X Commissione permanente Affari sociali del Senato - da un lato per rimarcare gli importanti benefici dei farmaci oppioidi per i malati oncologici, dall'altro per evidenziare le problematiche correlate all'utilizzo illecito di queste sostanze e la necessità di contrastare il mercato illegale nel dark web a cui accedono soprattutto i più giovani".
Francesco Saverio Mennini, capo del Dipartimento della programmazione, dei dispositivi medici, del farmaco e delle politiche in favore del Ssn del ministero della Salute, ha rimarcato che "la terapia del dolore va vista sotto 3 aspetti fondamentali: l'impatto sul miglioramento della qualità della vita dei pazienti e sulla riduzione dei costi economici e sociali a carico delle famiglie e del sistema previdenziale; l'accesso alle terapie, che deve essere garantito a tutti i pazienti che possono trarre beneficio da questi farmaci, e infine il contrasto all'illegalità. L'introduzione totalizzante della ricetta dematerializzata ci consentirà, inoltre, di tracciare il percorso dei farmaci utilizzati per trattare il dolore e di intervenire in caso si anomalie, a tutela dei pazienti e per evitare un utilizzo inappropriato di queste terapie".
Salute e Benessere
Aids, infettivologo Guaraldi: “Con terapie long...
‘Sono 140mila italiani con virus Hiv. L’idea di un’iniezione ogni 2 mesi ha cambiato lo stigma associato all’infezione’
“In Italia sono 140.000 le persone che vivono con Hiv. Grazie alle terapie antiretrovirali questa malattia adesso è divenuta cronica, le persone con Hiv hanno la stessa speranza di vita delle persone Hiv negative, questo almeno per quei pazienti che iniziano la terapia antiretrovirale in una condizione immunologica buona. Inoltre, abbiamo a disposizione terapie long acting, con somministrazione intramuscolare ogni 8 settimane: farmaci che avevamo già sotto forma di compresse, essenzialmente appartenenti a classi già disponibili da almeno dieci anni. Tuttavia, l’idea di una somministrazione long acting, in cui il paziente non deve più assumere una compressa quotidianamente, ma riceve un’iniezione ogni 2 mesi, ha completamente trasformato il livello di percezione. Ha cambiato lo stigma associato all’infezione da Hiv, percepita dal paziente stesso”.
Lo ha detto Giovanni Guaraldi, professore di malattie infettive all’Università di Modena e Reggio Emilia, uno tra i maggiori studiosi di clinica metabolica e immunosenescenza, intervistato da Mondosanità in occasione del World Aids Day 2024, la giornata mondiale dedicata ad accrescere la coscienza dell'epidemia mondiale di Aids dovuta alla diffusione del virus Hiv, che si celebra il primo dicembre di ogni anno.
“Le terapie attualmente disponibili – spiega Guaraldi – sono combinazioni di due o più principi attivi. Esistono studi comparativi che analizzano l’efficacia di associazioni di due e tre farmaci. Le attuali linee guida riconoscono come caposaldo la classe degli inibitori dell’integrasi, che possono essere associati a varie altre classi, come i farmaci nucleosidici o gli inibitori delle proteasi. L’obiettivo della terapia antiretrovirale non è più semplicemente quello di ‘uccidere’, in pratica neutralizzare il virus, ma punta a salvaguardare la salute del paziente nella sua complessità. Pertanto, una terapia efficace deve essere orientata verso il benessere complessivo del paziente. In passato, eravamo principalmente preoccupati per le tossicità dei farmaci, e la scelta terapeutica si concentrava nell’evitare la tossicità renale, la tossicità cardiaca o il rischio di dislipidemia. Oggi, piuttosto, ci si aspetta una terapia che consideri l’intero stato di salute del paziente, integrando gli antiretrovirali, a seconda dei casi con statine, con farmaci GLP-1, con antipertensivi o con gli antidepressivi”.
La scelta della terapia, secondo lo specialista “è dettata da criteri spefici”. Quando “valutiamo il beneficio della terapia e il suo impatto sulla salute – sottolinea Guaraldi - cercherò di comprendere quali sono i patient reported outcome, le condizioni che fanno sì che una specifica terapia, per un paziente specifico (non esisterà mai una terapia adatta a tutti), ottenga il miglior successo. Oggi questa condizione è stata analizzata attraverso un approccio mirato, che non solo consente di ridurre il carico farmacologico a una singola compressa, ma soprattutto offre la possibilità di terapie somministrate in modo dilazionato”.
“Attualmente, abbiamo a disposizione terapie long acting, con somministrazione intramuscolare ogni 8 settimane ma già sappiamo che avremo terapie long acting orali, con una compressa a settimana, e ultra long acting, che rappresentano il nostro grande obiettivo futuro, in cui potrò gestire la terapia antiretrovirale essenzialmente con un’iniezione ogni sei mesi. Questo rappresenta un cambiamento significativo, che si avvicina a quello che teoricamente mi sarei aspettato da un vaccino terapeutico, nel quale avrei sicuramente dovuto effettuare anche dei booster vaccinali”.
Infine, sul fronte prevenzione dell’infezione. “In Italia siamo un po’ un fanalino di coda rispetto al resto dell’Europa – sottlinea l’infettivologo - è soltanto da un anno che il nostro Ssn ha riconosciuto la profilassi pre-esposizione (PrEP) come strumento di sanità pubblica per la prevenzione delle infezioni da Hiv. È importante chiarire che le strategie di prevenzione dell’Hiv non vanno in una unica direzione, ma offrono un ventaglio di possibilità per consentire a ogni persona di tutelarsi, soprattutto nel contesto delle malattie a trasmissione sessuale, essendo l’Hiv una malattia principalmente di questo tipo”.
“Noi sappiamo di avere a disposizione una terapia antiretrovirale, una combinazione di soli due farmaci, in grado virtualmente di azzerare il rischio di infezione per le persone che, pur avendo avuto comportamenti sessuali a rischio, non si infettano se assumono questa terapia in modo continuativo, con una compressa ogni giorno, oppure nella modalità on demand, ossia solo in occasione di un comportamento sessuale a rischio. Questa terapia - conclude Guaraldi - è uno degli strumenti di prevenzione basilari. Ricordiamo che il condom è un altro strumento efficace di prevenzione, così come gli stili di vita rientrano nella prevenzione”.
Salute e Benessere
Cardiologi, ‘anche atleta sano può avere anomalie...
La vicenda del centrocampista della Fiorentina Edoardo Bove, crollato a terra privo di sensi durante il match contro l'Inter, ripropone importanza della prevenzione delle malattie cardiovascolari, prima causa di morte a livello globale. Il tema, che interessa anche il mondo dello sport professionistico ma anche amatoriale, è tra le priorità della Fondazione Cesare Bartorelli per lo sviluppo della ricerca e della terapia cardiovascolare. "Anche un atleta, amatoriale o professionista, pur apparendo sano, può essere affetto da anomalie cardiache celate, potenzialmente pericolose durante l'attività fisica". Lo spiega il vicepresidente della Fondazione Cesare Bartorelli, Daniele Andreini, ordinario all'Università degli Studi di Milano, responsabile della Cardiologia clinica ed Imaging cardiaco e di Cardiologia dello sport presso l'Irccs Ospedale Galeazzi - Sant'Ambrogio di Milano.
In Italia lo sport viene praticato da più di una persona su 4 (25,5%), valore che ha superato i livelli pre-pandemici (nel 2019 era pari al 23,4%). Anche sulla scorta di queste premesse la Fondazione, riconosciuta come Ente del terzo settore, ha posto tra le sue priorità quella di finanziarie studi avanzati in una branca specialistica che interessa milioni di cittadini. "La Federazione medico sportiva italiana ha attivato il modello italiano del 'Preparticipation screening' sulla popolazione, anche giovanissima, per indagare sulla natura degli incidenti cardiaci specialmente in ambito sportivo; una strategia che ha contribuito alla riduzione delle morti improvvise da sport in Italia rispetto al resto del mondo in un rapporto di 1 a 1 milione e mezzo versus 1 a 100mila", ricorda la Fondazione Cesare Bartorelli.
'Le anomalie di origine delle coronarie pur rimanendo spesso inosservate possano avere implicazioni critiche negli atleti'
"Indagare vicende come quella avvenuta ieri - sottolinea il presidente della Fondazione, Antonio Bartorelli, ordinario all'Università degli Studi di Milano e responsabile della Cardiologia interventistica universitaria presso l'Irccs Ospedale Galeazzi - Sant'Ambrogio di Milano - è cruciale per l'intera disciplina cardiologica. Studi pubblicati dal nostro board scientifico hanno esplorato le anomalie di origine delle coronarie dimostrando come queste, pur rimanendo spesso inosservate nella popolazione generale, possano avere implicazioni critiche negli atleti". Da qui l'importanza di screening cardiaci mirati.
"Sostenere i progetti di ricerca nella cardiologia dello sport - evidenzia lo specialista - significa investire in una comprensione più approfondita della fisiologia cardiaca, della prevenzione e della cura delle malattie cardiovascolari. I progressi ottenuti hanno un impatto diretto non solo sugli atleti, ma anche sulla popolazione più ampia e contribuiscono a migliorare la salute cardiovascolare globale e a ridurre i rischi legati all’esercizio fisico. I progetti di ricerca nella cardiologia sportiva - conclude Andreini - hanno dimostrato come screening più specifici e tecniche diagnostiche avanzate siano in grado di rilevare queste condizioni. Tali conoscenze non solo migliorano la sicurezza per gli atleti, ma hanno applicazioni più ampie nella prevenzione precoce delle malattie cardiovascolari nella popolazione generale".