Omicidio Thompson, killer ha lasciato New York e trovarlo è un’impresa
La caccia all'uomo si allarga ad altri stati, ma la corsa è in salita
Diventa nazionale la caccia all'uomo scattata quattro giorni fa dopo che Brian Thompson, Ceo di UnitedHealthcare, gigante delle assicurazioni sanitarie Usa, è stato freddato su un marciapiede di Manhattan. Secondo quanto riporta Abcnews, la polizia ritiene infatti che subito dopo l'omicidio il sospetto si sia recato in taxi al terminal della Port Authority sulla 178esima strada ed ha lasciato New York a bordo di un pulmann.
Il pullman ha fatto sei o sette fermate e gli investigatori stanno seguendo piste in diversi stati, nell'indagine a cui sta partecipando l'Fbi. Si ritiene inoltre che il sospetto sia arrivato a New York, sempre a bordo di un pullman, il 24 novembre, dal momento che una telecamera di sorveglianza del Port Authority Bus Terminal ha registrato il suo arrivo alle 21 di quel giorno.
Il pullman era partito da Atlanta, ma aveva fatto diverse fermate quindi non è chiaro dove sia salito il sospetto. Alcune fonti parlano di Washington Dc. La polizia, che non avrebbe ancora un nome per il sospetto, si sta concentrando sui dieci giorni da lui trascorsi a New York prima dell'agguato del 4 dicembre.
Perché le indagini sono complicate
La caccia all'uomo, in realtà, è estremamente complicata nonostante l'ampia presenza di telecamere a New York. Il killer, infatti, dopo l'omicidio si è allontanato attraverso Central Park, un'area più estesa del Principato di Monaco. Lì, ha abbandonato lo zainetto grigio, un elemento distintivo che avrebbe ovviamente agevolato le ricerche degli inquirenti.
La diffusione di un'immagine a volto scoperto di una 'persona di interesse' per le indagini, inoltre, potrebbe avere una rilevanza inferiore alle aspettative degli investigatori.
L'uso delle immagini può dare una svolta alle indagini se l'individuo in questione è schedato nello stato di New York. Altrimenti, trovare un 'match' positivo diventa estremamente più complicato, senza dimenticare che l'immagine disponibile è uno spunto, non un elemento chiave di per sé. Le forze dell'ordine stanno riavvolgendo il nastro e esaminando video registrati a New York dal 21 novembre: si cercano tracce del sospetto, ovviamente, con la speranza magari di verificare incontri con altre persone che potrebbero quindi fornire informazioni utili.
Le autorità di New York, d'altra parte, non hanno libero accesso alle banche dati di altri stati. Se la persona in questione non è nota alle autorità giudiziarie di uno stato e se non esistono foto segnaletiche, diventa un'impresa complicata trovare corrispondenze - ad esempio - negli archivi di una qualsiasi motorizzazione.
Inoltre, c'è un fattore umano che rischia di pesare enormemente. L'autore dell'omicidio, come si evince dall'analisi sui social nelle ore successive al delitto, per una notevole quantità di utenti è diventato una sorta di 'Batman' capace di colpire le assicurazioni sanitarie. Non sarebbe una sorpresa, quindi, se potenziali segnalazioni non arrivassero alla polizia.
Esteri
Cecilia Sala a Evin, lo stesso famigerato carcere di...
La storia della prigione dove attualmente si trova rinchiusa la giornalista italiana
Detenzioni arbitrarie, torture fisiche e psicologiche e abusi che si ripetono da decenni accompagnano la storia del famigerato carcere di Evin, dove attualmente si trova rinchiusa la giornalista italiana Cecilia Sala. Il penitenziario, che si estende su 43 ettari ai piedi delle montagne a nord di Teheran, è stato aperto nel 1972 e già da allora, quando era gestito dalla Savak, la polizia segreta che rispondeva al regime dell'ultimo Shah, Mohammad Reza Pahlavi, era il luogo dove venivano incarcerati oppositori e detenuti politici.
La storia del carcere
Con la rivoluzione islamica guidata da Ruhollah Khomeini, a Evin vennero rinchiusi filo-monarchici e dissidenti. Secondo Human Rights Watch, il periodo più buio nella storia del carcere fu l'estate del 1988, alla fine della guerra con l'Iraq, quando migliaia di detenuti furono giustiziati dopo processi sommari. Con le rivolte antigovernative del 2009, successive alla rielezione alla presidenza di Mahmoud Ahmadinejad, il carcere aprì le sue porte a molti giovani contestatori della cosiddetta Onda Verde.
La sezione 209, sospettata di essere gestita dal ministero dell'Interno, è l'ala del carcere dove è più dura la mano del regime. I detenuti che hanno vissuto quest'esperienza hanno raccontato di essere stati bendati e portati in un seminterrato dove si trovano una novantina di celle su più file. La luce rimane accesa 24 su 24 e in ogni cella c'è solo una piccola finestra. Qui, come spesso denunciato dalle organizzazioni per la tutela dei diritti umani, tra cui Amnesty International, gli abusi e le violenze sono all'ordine del giorno.
A Evin sono stati rinchiusi in questi anni tutti i più noti dissidenti nonché i cittadini con doppia nazionalità arrestati nella Repubblica islamica come, tra gli altri, il noto regista Jafar Panahi, che con uno sciopero della fame aveva denunciato le disumane condizioni di detenzione, la cittadina britannico-iraniana Nazanin Zaghari-Ratcliffe, l'attivista e premio Nobel per la Pace, Narges Mohammadi, l'avvocata per i diritti umani, Nasrin Sotoudeh.
A Evin venne rinchiusa anche Alessia Piperno, la giovane romana arrestata a Teheran il 28 settembre 2022 e rilasciata il 10 novembre dello stesso anno. Durante il periodo della sua detenzione scoppiò un incendio nel carcere, probabilmente innescato da una rivolta, che causò la morte di diversi detenuti.
Spettacolo
Tv, docuserie ‘Las Leonas’: Coppa Mondo calcio...
Otto squadre di donne provenienti da vari angoli della Terra, quattro a Roma e quattro a Torino, si fronteggiano in un campionato di calcio femminile per vincere la Coppa del Mondo. La docuserie "Las Leonas. La coppa del mondo” di Isabel Achaval e Chiara Bondì, prodotto da Sacher Film con Rai Cinema e ispirata al documentario omonimo, andrà in onda domani e sabato 4 gennaio su Rai 3 alle ore 15.
Una storia di riscatto sociale attraverso la competizione sportiva, vitale e poetica l'opera spalanca una finestra sulla vita privata di tate, badanti e non solo, donne che hanno lasciato la loro terra per lavorare o studiare in Italia. Indossare la maglietta del proprio paese d’origine o del paese adottivo diventa per ognuna delle giocatrici motivo di orgoglio. "La posta in gioco è molto alta. La palla passa da dentro il campo da calcio a fuori, dove le vicende esistenziali, i percorsi e le storie di vita delle protagoniste s’intrecciano all’evolversi del campionato. Il calcio diventa così un mezzo per raccontare le storie di queste donne, leonesse nella vita e sul campo!", si legge in un comunicato.
Dalla gioia di una vittoria alla delusione bruciante di una sconfitta ma che le liti negli spogliatori e la competizione viscerale, il racconto tesse una trama tra lo sviluppo del campionato e la vita delle protagoniste che trovano nel calcio un'evasione dalla routine quotidiana dove ogni partita è metafora di quella partita ben più grande che è la vita.
Spettacolo
Aldo Grasso contro Alberto Angela, il giallo delle...
Il critico del 'Corriere' ha stroncato 'Stanotte a Roma', ma i fan del conduttore non ci stanno
Alberto Angela è ormai al pari di un tesoro nazionale. Guai a chi lo tocca. Lo sa bene chi prova a criticarlo e si trova di fronte, almeno virtualmente, una pioggia di fan che lo difendono sui social. È accaduto ancora in queste ore, quando Aldo Grasso sul 'Corriere della Sera' ha stroncato 'Stanotte a Roma', il programma con cui Alberto Angela ha fatto compagnia agli italiani la sera di Natale, e che si aggiunge a Napoli, Venezia, Firenze, Pompei, San Pietro e il Museo Egizio, degli speciali in notturna che hanno sempre attratto milioni di telespettatori. Quello sulla Capitale, al critico, non è piaciuto: gli "sembra un reperto della 'Tv dei ragazzi', con le spiegazioni retoriche di Giancarlo Giannini" e "le interpretazioni un po’ buttate via di Edoardo Leo", per citare due dei numerosi ospiti intervenuti durante il programma. E ancora: "Niente traffico, niente spazzatura, niente cantieri: una cartolina. Con i suoi viaggi nelle città italiane, Alberto Angela assomiglia molto a Baglioni: cerca di rendere poetico il luogo comune".
I fedelissimi del conduttore non ci stanno e così sui social arrivano commenti a non finire, in sua difesa. "Alberto Angela è una bellissima persona, quanto lo era il padre. Il suo successo sta nell'umiltà di acculturare tutti, senza saccenza, ma coinvolgendo un pubblico più vasto e non di nicchia", si legge in un commento su X. E poi: "Stupiscono queste parole di Grasso, molte fuori luogo", "Ultimamente a Grasso non va bene nulla". Qualcuno paragona Grasso a Nicola Pietrangeli, probabilmente per le sue frecciatine a Jannik Sinner. "Aldo Grasso è il Nicola Pietrangeli del giornalismo" e "Aldo Grasso il Nicola Pietrangeli dei critici", si legge sul social network.
C’è poi un ulteriore 'giallo' che accompagna la polemica social del giorno: quando ieri pomeriggio intorno alle 17 l’articolo di Aldo Grasso è apparso sul sito del Corriere.it, il testo era decisamente più duro nei confronti del presentatore rispetto alla versione pubblicata sul cartaceo di stamattina (anche sul sito ieri notte il testo è stato ammorbidito). Nella prima stesura, Alberto è definito "Angela junior" e poi "il piccolo Angela", due riferimenti che spariscono nella seconda. Il riferimento a Baglioni era più duro, "uno stornellatore, un cantore di luoghi comuni fintamente colti", al quale Angela assomiglierebbe molto. La frase "è un peccato che non guardi la tv", era seguita da "si accorgerebbe di fare la parodia di suo padre Piero", mentre nell’articolo addolcito diventa "si accorgerebbe che ci sono forme di racconto più moderne". Cambiata anche la 'chiusa del pezzo', in gergo giornalistico. Lapidaria la frase originale: "Era una Roma by night per zombi", decisamente meno quella andata in stampa: "Era una Roma by night che si vede solo in tv". Nonostante queste correzioni, i fan di Angela non perdoneranno presto il critico tv più famoso d’Italia.