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Malattie rare, ematologo Fattizzo: “Epn causa distruzione globuli rossi e anemia”

"Nuove terapie agiscono normalizzando livelli emoglobina"

Bruno Fattizzo, specialista ematologo al Policlinico di Milano

"L’Epn, emoglobinuria parossistica notturna è una patologia caratterizzata da una distruzione dei globuli rossi all'interno del torrente circolatorio a causa dell'attivazione aberrante del sistema del complemento, che è parte del sistema immunitario. Il risultato è che il paziente diventa anemico, manifesta emoglobinuria, l’emoglobina viene cioè persa nelle urine e, inoltre, ha un maggior rischio di trombosi, come della gamba, embolia polmonare e ictus. E’, pertanto, una patologia che può dare un grosso impatto sulla sopravvivenza del paziente oltre che sulla sua qualità della vita. Sono le parole di Bruno Fattizzo, specialista ematologo al Policlinico di Milano, in occasione del media tutorial "Emoglobinuria Parossistica Notturna: verso un controllo migliore della malattia”, organizzato a Milano da Novartis.

Illustrando le nuove terapie e il loro impatto sul paziente, Fattizzo afferma: "La terapia dell’Epn è stata fino ad oggi basata sull’inibizione terminale del complemento, quindi su farmaci che bloccano queste proteine del complemento. In particolare nella fase finale di attivazione, che prende il nome di C5. Questi farmaci hanno ridotto l'emolisi, aumentato i livelli di emoglobina, migliorato l'anemia e abbattuto il rischio di trombosi nei nostri pazienti, migliorando, così, la sopravvivenza. Sono adesso alle porte dei nuovi trattamenti che, oltre a far sopravvivere di più il paziente - chiarisce - riescono ad avere un effetto migliorativo anche sulla sua qualità della vita, in quanto sono in grado di aumentare ulteriormente i valori di emoglobina, risolvere anche l'anemia residua legata al funzionamento incompleto di questi inibitori del C5 e quindi permettere la quasi normalizzazione dei livelli di emoglobina e, di conseguenza, della qualità della vita dei nostri malati".

Inoltre, "abbiamo ad oggi dei nuovi inibitori prossimali del complemento, con diverse modalità di somministrazione - illustra lo specialista - Il primo farmaco ad essere attivato è un farmaco sottocute a somministrazione bisettimanale, ma adesso abbiamo all'orizzonte l'arrivo dei farmaci orali che permettono al paziente di essere del tutto libero dalla medicalizzazione. Fin dalle prime fasi, infatti, si potrà dare al paziente il farmaco così che possa autosomministrarselo. Sarà importantissimo in questo contesto educare il paziente all’aderenza terapeutica”, conclude.

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Cronaca

“Lo dico a Babbo Natale”, lo psichiatra boccia...

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Lo psichiatra Mencacci: "Ai piccoli meglio dare spiegazioni semplici e chiare su un comportamento sbagliato"

Un uomo vestito da Babbo Natale

Quando i bimbi di 2-5 anni fanno i capricci, ricorrere al ricatto emotivo per farli smettere, soprattutto 'mettendo in mezzo' Babbo Natale ("fai il bravo o niente regali"), non è una buona idea.

Perché può avere "delle conseguenze, può lasciare delle tracce anche più durature di quanto si pensi", incidendo "in primo luogo su un senso di insicurezza emotiva" nei piccoli. E in secondo luogo può "stimolare sensi di colpa piuttosto inappropriati, spingendo i bimbi a "sentirsi responsabili di alcune condizioni come appunto il mancato passaggio di Babbo Natale, che ha un peso molto grande nelle loro menti".

A mettere in guardia sui rischi di questa strategia, a cui ammette di ricorrere un quarto dei genitori di bimbi under 5, secondo un sondaggio condotto da ricercatori negli Usa, è Claudio Mencacci, co-presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia (Sinpf) e direttore emerito di Psichiatria all'Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano, commentando all'Adnkronos Salute i dati dello studio dell'università del Michigan.

Fra le ricadute possibili, avverte, "c'è quella di una repressione emotiva, reprimere quelle che possono essere anche emozioni come frustrazione piuttosto che rabbia, quindi una difficoltà nel gestirle. E poi - analizza - c'è il tema della dipendenza dall'approvazione altrui, che è molto grande". Significa che il bambino è portato a pensare che "il suo valore dipende dall'obbedienza e dal compiacere gli altri e non necessariamente dal suo modo di essere. Di fondo" si induce "anche una sorta di confusione emotiva, il non comprendere bene quello che accade. Tutto questo, se ci fermiamo a quell'età, è qualcosa di transitorio", ma se si porta un po' più a lungo "si possono instaurare alcune condizioni che poi nella vita possono un po' pregiudicare la propria realizzazione identitaria". Si può innescare infatti "da un lato la tendenza alla sottomissione, al sacrificare i propri bisogni per evitare conflitti. Dall'altro lato il non sentirsi mai abbastanza degno di essere amato, una paura e un'ansia del rifiuto come minaccia di delusione nei confronti degli altri".

"Abituarsi a subire ricatti", prosegue Mencacci, può avere come effetto quello di "stabilire delle relazioni difficili, dinamiche tossiche" che potrebbero poi essere perpetuate "anche sul fronte professionale. Questi modelli infatti purtroppo si 'trasmettono' e lasciano un senso di disregolazione emotiva, difficoltà anche a esprimere i sentimenti negativi". La questione dell'educazione, quindi, conclude l'esperto, "è complessa, soprattutto adesso" in un'epoca in cui "la pressione è alta" anche sui bimbi, "i genitori passano più tempo sui loro sistemi tecnologici", c'è un bisogno di "abbreviare i tempi e il ricorso al ricatto diventa un modo per risparmiare tempo". Cosa funzionerebbe di più? "Offrire delle spiegazioni semplici e chiare", risponde l'esperto. "esprimere quali sono i confini, perché certo i bambini hanno anche bisogno di essere limitati, di conoscere il limite, però all'interno di un sentimento di amore incondizionato. Non possiamo crescere dei piccoli dittatori, ovviamente, ma dobbiamo crescere delle persone che sanno gestirsi emotivamente, con un senso del limite e con capacità empatiche verso gli altri".

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Cronaca

Natale, occhio a stuzzichini e apericene: i consigli del...

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Vestita: "Rischio di mettere su qualche chilo c'è, verdure prima dei pasti per salvare la linea"

Cena di Natale - (f)

Tempo di brindisi prenatalizi, apericene - sempre più in voga- e incontri in cui non manca mai cibo o bollicine. Con tutto questo "ovviamente il rischio di ingrassare in queste feste c'è. Ogni anno lo sperimentiamo. Ma non si può nemmeno essere troppo estremisti. Una piccola 'dose' di bollicine o bontà natalizie, condivisa con gli altri, è importante: la convivialità, lo stare insieme, è un elemento fondamentale in questo periodo. Ed è benefica sul piano della salute psico-fisica", spiega all'Adnkronos Salute il nutrizionista e fitoterapeuta Ciro Vestita che prova a sfatare qualche luogo comune.

Il primo è che il digiuno possa aiutare ad affrontare meglio cene e cenoni. "Personalmente non credo che un digiuno preventivo possa essere molto utile, perché quando si arriva poi alla cena con gli amici affamati si mangia il doppio, sentendosi persino giustificati. Meglio mangiare in maniera sobria, usare molta frutta e verdura. Per esempio sgranocchiare finocchi prima del pranzo e prima della cena per spezzare la fame. E poi ogni tanto concediamoci pure un po' di bollicine perché ovviamente l'alcol va preso un'estrema moderazione ma è anche vero che un pochino per brindare con gli amici migliora il nostro umore".

Una particolare attenzione va riservata alle apericene, "un aperitivo con tante patatine, con tante noccioline, con tante olive può alzare veramente tanto l'introito calorico. Gli alimenti che contengono più calorie sono le patatine, sono ricche di grassi, vanno mangiate con moderazione. L'alternativa può essere rappresentata dalle verdure crude e (poca) frutta secca".

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Cronaca

Natale, la storia segreta delle luminarie: tutte le...

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Tutte le curiosità sulla tradizione che fa brillare le città

Particolari luminarie a Lecco - Fotogramma

Ogni anno, a dicembre, le principali metropoli globali s’illuminano in vista del Natale. Uno spettacolo luminoso che, puntualmente, si rinnova e che affascina miliardi di persone. Molti meno, però, sono quelli che conoscono le lontane origini di questa tradizione che ha una storia che parla, soprattutto, d’inclusione e riscatto.

L'idea di un giovane migrante turco

Sebbene pochi lo sappiano, infatti, la diffusione dell’usanza di decorare ambienti e alberi con le luci in occasione della principale festività cristiana, partita dagli Stati Uniti, si deve a un migrante adolescente. Il suo nome era Albert Sadacca e, quando prese la decisione che avrebbe cambiato il volto di tutte le città del mondo durante il Natale, aveva solamente 15 anni. La vera storia di Sadacca, però, comincia in Turchia, a Çanakkale, sulla sponda asiatica dello stretto dei Dardanelli, dove nacque nel 1901 all’interno della locale comunità sefardita. Immigrato in America con la famiglia, Albert aveva altri cinque fratelli.

Nel 1917, mentre in Europa infuriava la Prima guerra mondiale, un tragico incendio scoppiato a New York provocato dalle candele posizionate su un albero di Natale (come era costume fare, visto che le luci elettriche, sebbene già esistenti, avevano un prezzo troppo elevato per la maggior parte delle persone) ispirò il giovane Albert, allora adolescente, ad adattare le economiche lampadine vendute in un negozio dai suoi genitori agli abeti natalizi, realizzando delle vere e proprie corde di luci. Il primo anno furono vendute solo circa 100 corde, ma una volta che Sadacca dipinse i bulbi di rosso, verde e di altri colori, l'attività decollò. Nel 1926 Sadacca fondò un gruppo commerciale composto da diverse piccole imprese che divennero poi la più grande azienda di illuminazioni natalizie al mondo fino alla metà degli anni Sessanta.

Il primo fu Martin Lutero

L’usanza di decorare abeti utilizzando delle luci, invece, è molto più antica. Un’idea forse partorita da Martin Lutero. Già, perché, secondo una vulgata condivisa, sarebbe stato proprio il padre della Riforma protestante del XVI secolo (1483-1546) ad avviare la tradizione di applicare delle candele a un abete: si dice infatti che, passeggiando di sera in una foresta, rimase così incantato dalle stelle che brillavano tra gli alberi che decise di portarne uno a casa propria e legò delle candele ai suoi rami.

Questa tradizione durò a lungo. Anche oltre l’avvento dell’energia elettrica, fino agli anni Venti del XX secolo. Il perché è presto spiegato: a lungo le luminarie natalizie sono state un privilegio per pochi. Ad allontanare le luci natalizie dalle case delle famiglie ci pensavano, come detto, i costi: ancora nel 1900, potevano servire fino a 300 dollari (l’equivalente di circa 10.000 dollari di oggi) per pagare le luci, un generatore e i servizi di un addetto ai cavi per illuminare un albero di Natale all’interno della propria abitazione. Ecco perché, fino alla 'scoperta' di Sadacca, la maggior parte delle famiglie continuava a decorare i propri alberi di Natale con candele, come ai tempi di Lutero. Una scelta sicuramente elegante, ma decisamente poco sicura.

Edison e l'incanto delle luci a New York

L’esordio delle luci elettriche a Natale non potevano però che essere legate al genio di Thomas Alva Edison. Il celebre inventore delle lampade a incandescenza era determinato a elettrificare il centro di Manhattan. Così, in occasione del Natale del 1880, cercò di attirare l'attenzione sulla sua lampadina. Edison posò 8 miglia (pari a 12 chilometri) di filo sotterraneo per alimentare stringhe di luci attorno all'esterno del suo laboratorio nel New Jersey. I pendolari dei treni che viaggiavano tra New York e Filadelfia erano così stupiti dai campi luminosi che un giornalista etichettò Edison come l’Incantatore.

Fu solo nel 1882 però che queste luci furono utilizzate per scopi decorativi. Sempre durante le festività natalizie, il socio di Edison, Edward Hibberd Johnson (1846-1917), appese 80 luci elettriche colorate attorno a un albero di Natale nel laboratorio dello stesso Edison.

Il primo albero alla Casa Bianca

La residenza prescelta come sede per il presidente degli Stati Uniti d’America aveva un proprio albero di Natale fin dal 1889. Tuttavia fu solo 13 anni dopo l’esperimento di Hibberd Johnson, nel 1895, che, nello Studio Ovale, fece la sua comparsa il primo abete illuminato con le lampade di Edison: a volerlo fu il presidente Grover Cleveland (1837-1908). All’epoca l’illuminazione elettrica era arrivata nell’abitazione della 'first family' americana solamente da quattro anni. A Cleveland si attribuisce così il merito di aver avvicinato il pubblico americano all'idea delle luci elettriche. A quel tempo, molte persone diffidavano dell'elettricità e pensavano che vapori pericolosi potessero entrare nelle loro case attraverso le luci e i fili.

A contribuire al costo elevato delle prime luminarie natalizie era il fatto che, ai tempi, fossero cablate a mano e realizzate con preziose e delicate lampadine di vetro. Fu solo durante la presidenza di Calvin Coolidge (1872-1933) che prese il via la tradizione dell’accensione ufficiale di un albero di Natale nazionale. Nel 1923 un abete alto 15 metri e proveniente dal Vermont, stato natale di Coolidge, fu adornato con 2500 lampadine elettriche rosse, bianche e verdi.

La gara tra vicini

L’uso esterno? Solo dal 1927. Sebbene Sadacca avesse contribuito a diffondere la tradizione delle luminarie il loro utilizzo in ambienti all’aperto da parte delle famiglie non sarebbe stato sicuro fino al 1927. Per aumentare le vendite e diffondere sempre di più le luminarie elettriche, le principali società di distribuzione hanno sponsorizzato concorsi di quartiere, mettendo i vicini di casa in competizione tra di loro. Anche questa tradizione continua anche ai giorni nostri.

I record. Il primato mondiale per il maggior numero di luminarie posizionate in una sola proprietà appartiene a una famiglia di New York che, nel 2014, installò 601.736 luci intorno alla sua abitazione. Per quanto riguarda gli alberi di Natale, il record per il più decorato spetta agli Universal Studios di Osaka, in Giappone, con 612mila lampadine (novembre 2022).

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