Rivoluzione fiscale per le famiglie italiane, tra quoziente familiare e nuove detrazioni
Il 2025 si prospetta un anno di rivoluzione fiscale per le famiglie italiane: la Manovra introduce il quoziente familiare, stringe le maglie per i redditi elevati e limita le agevolazioni per figli over 30. Cambiamenti che promettono di riscrivere le regole della fiscalità familiare, con effetti che variano a seconda del reddito e della composizione del nucleo.
Il quoziente familiare
Il quoziente familiare è il cuore della riforma fiscale, un sistema che tiene conto del numero di componenti della famiglia e del reddito complessivo per calcolare le agevolazioni fiscali. In pratica, più numerosi i membri del nucleo e più basso il reddito, maggiori saranno i benefici. La misura sembra favorire famiglie numerose con redditi inferiori a 50.000 euro, ma penalizza single e coppie senza figli, oltre a chi ha redditi medio-alti.
Con il quoziente familiare, le detrazioni non sono più una somma “fissa”, ma si modulano in base al rapporto tra reddito e composizione familiare. Una novità che divide: per alcuni è un passo avanti verso un sistema più equo, per altri una penalizzazione per chi non rientra nei parametri.
Stop ai figli over 30 a carico
Addio detrazioni per i figli over 30: una novità che, secondo il governo, vuole incentivare i giovani a raggiungere l’indipendenza economica. Dal 2025, le detrazioni saranno riconosciute solo per i figli tra i 21 e i 30 anni, mentre per i più piccoli queste sono già integrate nell’assegno unico.
La misura fa eccezione per i figli disabili, che continueranno a beneficiare delle agevolazioni fiscali senza limiti di età, in linea con la Legge 104.
Stretta sui redditi alti
Le famiglie con redditi oltre i 75mila euro si troveranno a fare i conti con nuovi limiti. Per chi guadagna tra 75mila e 100mila euro, il massimo detraibile sarà 14mila euro (con più di due figli o un figlio disabile). Questo tetto si riduce sensibilmente per i redditi oltre i 100mila euro, dove il limite scende a 8mila euro con più di due figli e a soli 4mila euro senza figli a carico.
I calcoli si fanno ancora più complessi con l’introduzione dei coefficienti moltiplicativi: dal 0,5 per chi non ha figli a 1 per chi ha nuclei familiari più numerosi.
Genitori stranieri esclusi dalle detrazioni
Una decisione destinata a sollevare polemiche riguarda i lavoratori stranieri non europei: dal 2025 non potranno più usufruire delle detrazioni per i figli a carico. La misura sembra colpire duramente chi, pur essendo in regola con fisco e previdenza, sarà escluso dal beneficio.
Genitori separati e divorziati
Anche per i genitori separati o divorziati le novità non mancano. In mancanza di accordo, le detrazioni spettano al genitore affidatario, ma in caso di affidamento congiunto si dividono al 50%. La Manovra introduce però la possibilità di assegnare il 100% al genitore con reddito più basso, un dettaglio che potrebbe alleggerire le tensioni economiche nelle famiglie separate.
Come calcolare le nuove detrazioni
La formula per calcolare le detrazioni figli a carico diventa più articolata:
Detrazione teorica x [(95.000 – reddito complessivo) / 95.000].
Per chi ha più di un figlio, il reddito complessivo considerato aumenta di 15.000 euro per ogni figlio successivo al primo, offrendo così un ulteriore incentivo alle famiglie numerose.
Queste modifiche sembrano voler tracciare una linea netta tra il sostegno alle famiglie in difficoltà e la riduzione di benefici per chi, secondo il governo, può permettersi di rinunciare. Ma la domanda resta: quanto questa manovra riuscirà a sostenere davvero le famiglie, in un Paese dove il tasso di natalità è già ai minimi storici?
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Francia, Gisèle Pelicot da vittima a icona contro la...
Nel cuore della Provenza, nella tranquilla cittadina di Mazan, si è consumata una delle vicende più sconvolgenti della storia giudiziaria francese. Dominique Pelicot, un uomo che per quasi un decennio ha drogato e permesso a decine di uomini di abusare di sua moglie Gisèle, è stato condannato a vent’anni di carcere dal tribunale di Vaucluse. Un verdetto che non solo segna la fine di un orrore, ma accende i riflettori su un sistema culturale e legale che necessita di cambiamenti urgenti.
Un incubo lungo un decennio
Tra il 2011 e il 2020, la tranquilla facciata di un matrimonio nella piccola città francese nascondeva un inferno inimmaginabile. Gisèle Pelicot, operaia in pensione, ha scoperto solo anni dopo l’orrore a cui era sottoposta: drogata dal marito, veniva regolarmente violentata da lui e da uomini da lui invitati, contattati su internet: 50 uomini imputati per stupro aggravato, una collezione di oltre 20mila foto e video archiviati in modo meticoloso e almeno 72 abusatori identificati nei materiali raccolti dalla polizia.
Lo scandalo è emerso quasi per caso: Dominique Pelicot era stato notato, nel settembre 2020, da una guardia di sicurezza mentre filmava di nascosto le gonne delle donne in un supermercato. Ma questa scoperta ha aperto le porte di un vero e proprio girone infernale. Le indagini hanno rivelato un sistema criminale agghiacciante, in cui Pelicot agiva come un “orchestratore” di stupri seriali, non solo contro la propria moglie ma anche contro la moglie di un coimputato.
Gisèle, che ha coraggiosamente rinunciato all’anonimato durante il processo, è diventata il volto della resistenza contro la violenza sessuale e il simbolo della lotta per il consenso. La sua testimonianza ha scosso profondamente l’opinione pubblica, trasformandola in un’icona femminista. Striscioni con la scritta “Grazie Gisèle” sono apparsi sulle mura medievali di Avignone, mentre migliaia di manifestanti hanno sostenuto la sua battaglia.
Un processo spartiacque
Durato oltre tre mesi, il processo non si è limitato a giudicare Dominique Pelicot e i suoi coimputati. Il caso Pelicot ha messo a nudo non solo l’orrore di un individuo, ma anche le falle di un sistema. Molti dei coimputati hanno cercato di giustificarsi, sostenendo di essere stati ingannati da Dominique Pelicot o di aver creduto che la moglie fosse consenziente. Questo ha sollevato un acceso dibattito sulla definizione legale di stupro in Francia e sulla necessità di includere una menzione esplicita del consenso.
I cinque giudici, chiamati a deliberare a scrutinio segreto, hanno condannato Pelicot a vent’anni di carcere, la pena massima richiesta dall’accusa. Ma, nonostante le prove schiaccianti, alcune sentenze sono state inferiori alle aspettative dell’accusa, scatenando polemiche e proteste. Jean-Pierre M., definito il “discepolo” di Pelicot, è stato condannato a dodici anni di carcere, cinque in meno di quanto richiesto.
Gli attivisti chiedono a gran voce un cambio di paradigma: il consenso non è mai implicito, né negoziabile. “Questo processo deve diventare un punto di svolta”, ha dichiarato un rappresentante del movimento femminista locale. “Non possiamo più tollerare che il silenzio o la manipolazione siano usati come alibi per giustificare l’abuso”.
Dominique Pelicot, nella sua ultima dichiarazione in aula, ha chiesto perdono alla famiglia, lodando il coraggio della ex moglie. Parole che suonano vuote di fronte all’entità dei suoi crimini.
Il caso Pelicot ha lasciato un segno indelebile sulla società francese. Il primo ministro Michel Barnier ha annunciato un rafforzamento delle misure di sostegno per le vittime di violenza domestica, inclusa la possibilità di sporgere denuncia direttamente negli ospedali entro il 2025. “Offriremo supporto sistematico in un luogo sicuro,” ha dichiarato Barnier, riconoscendo l’importanza di prevenire e affrontare questi crimini con strumenti più incisivi.
Mentre la Francia riflette sull’orrore, il nome di Gisèle Pelicot diventa sinonimo di coraggio e resistenza. Il suo esempio rappresenta non solo la denuncia di un sistema patriarcale complice, ma anche una chiamata collettiva all’azione.
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Educazione sessuale nelle scuole, arriva il fondo dedicato...
L’educazione sessuale arriva nelle scuole passando dalla Manovra. La società civile chiede da tempo un intervento della politica per ridurre i femminicidi e gli altri reati di violenza domestica (o comunque perpetrata dal partner), e il 2025 potrebbe essere l’anno della svolta.
L’emendamento accolto dal governo è stato proposto da Riccardo Magi, deputato e presidente di +Europa, e prevede un fondo da 500.000 euro dedicato a corsi sull’educazione sessuale, l’educazione affettiva e la prevenzione da inserire nei piani triennali dell’offerta formativa delle scuole secondarie di primo e secondo grado. La proposta mira a rendere l’educazione sessuale una componente stabile del corso scolastico, sostenendo percorsi formativi rivolti sia agli studenti che agli insegnanti.
L’obiettivo principale è sensibilizzare i giovani su temi quali la salute riproduttiva, la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, il consenso dell’altro e le pari opportunità uomo-donna.
“Un piccola ma importante passo”, commenta Riccardo Magi. D’altronde, i dati non lasciano spazio a interpretazioni.
Italia indietro rispetto all’Ue
L’Italia è tra i pochi Paesi europei dove l’educazione sessuale non è obbligatoria. Un recente rapporto Unesco ha sottolineato che solo il 9% delle scuole italiane offre programmi dedicati, contro una media europea del 60%. Questa lacuna si traduce spesso in una carente consapevolezza sui temi della sessualità, che può avere conseguenze negative, tra cui:
- Aumento delle gravidanze indesiderate tra le adolescenti;
- Maggiore diffusione di malattie sessualmente trasmissibili;
- Mancanza di informazioni sulle dinamiche del consenso e delle relazioni interpersonali.
Il fondo rappresenta dunque un tentativo concreto per colmare questo divario, fornendo agli studenti gli strumenti necessari per affrontare consapevolmente le proprie scelte.
Il finanziamento sarà utilizzato per:
- Formare il personale scolastico con corsi specializzati e aggiornati in collaborazione con esperti di salute pubblica e psicologia;
- Sviluppare materiali didattici innovativi che possano affrontare i temi della sessualità in maniera inclusiva, tenendo conto delle diversità culturali e di genere;
- Collaborare con associazioni e organizzazioni del terzo settore per l’attivazione di laboratori pratici e interattivi;
- Rafforzare le campagne di sensibilizzazione rivolte alle famiglie per favorire un dialogo aperto tra genitori e figli.
L’educazione sessuale come strumento di prevenzione
L’introduzione dell’educazione sessuale non è solo una risposta culturale, ma anche una strategia di prevenzione. Circa 7 adolescenti italiani su 10 accedono alle informazioni sulla sessualità attraverso Internet, dove l’affidabilità delle fonti è spesso discutibile.
“Ormai la scuola ha demandato il discorso sessualità a non si sa bene chi. Le famiglie, che oggi sembrano così aperte, amicali, vicine, in realtà fanno una fatica immensa a parlarne. Io colpevolizzo anche i media, che hanno un ruolo importante e spesso demandano anche loro”, ricordava a inizio anno l’infettivologo Andrea Gori parlando con l’Adnkronos Salute. “E questi giovani, che uno penserebbe informatissimi, lo sono in realtà molto poco. Non è che non ricevano informazioni, – continua Gori – non ricevono quelle giuste, le trovano su Internet, su siti pornografici a cui accedere è la cosa più facile del mondo. Non le ricevono da una struttura protetta come scuola o famiglia, ma dal passaparola che ti indica su quale sito andare. Il che ha un risvolto drammatico, perché per loro la pornografia e la sessualità finiscono per coincidere, essendo questi siti per tre quarti la loro fonte d’informazione al riguardo. Quello che vedono lì diventa normale e si stravolge totalmente il senso”.
L’aumento delle Infezioni sessualmente trasmissibili (Ist) è la conseguenza di questo contesto, caratterizzato (anche) da uno scarso utilizzo dei contraccettivi. Secondo i dati del Ministero della Salute, il numero di diagnosi di infezioni da Hiv tra i giovani italiani (15-24 anni) è aumentato del 30% nell’ultimo decennio. Sono molte le cause di questa recrudescenza delle infezioni sessualmente trasmissibili, o comunque del loro permanere. Innanzitutto, le mancate vaccinazioni, anche quando sarebbero disponibili, come è il caso del papilloma virus.
In questo scenario, l’assenza di programmi educativi sistematici espone i ragazzi a rischi evitabili, aggravati dalla disinformazione e dai pregiudizi sociali.
Al momento, però, il piano resta ridotto alla sfera prettamente sessuale, anche per via della platea di studenti che potrà accedere a queste informazioni. Si parla infatti di scuole secondarie di primo e secondo grado.
Politica divisa, quali orizzonti?
Nonostante i numeri, il tema divide la politica. Dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara aveva annunciato il piano “Educare alle Relazioni” nel mese di novembre 2023. La bozza prevedeva anche l’intervento di influencer, cantanti e attori per ridurre le distanze con i giovani. Secondo la bozza del progetto, gli studenti, guidati da un docente in qualità di moderatore, avrebbero preso parte a discussioni di gruppo, esponendosi in prima persona sul tema.
Un mese prima il Parlamento il tema era diventato rovente alla Camera dopo che il leghista Rossano Sasso aveva definito “Una porcheria e una nefandezza” l’emendamento alla proposta di legge sulla violenza sessuale, con cui il Movimento 5 Stelle prevedeva di finanziare interventi a favore dell’insegnamento dell’educazione affettiva e sessuale nelle scuole.
Dopo mesi di stallo, la proposta elaborata quest’anno dal Ministero non ha convinto quella parte del Parlamento che da anni cerca di portare in Italia un modello di educazione alla sessualità e all’affettività simile a quello presente in altri Paesi e lontano dai tabù.
Considerate tutte le divisioni sul tema, l’approvazione dell’emendamento di Riccardo Magi arriva dunque un po’ a sorpresa, mentre si attende il sì definitivo alla Manovra con il voto di domani, venerdì 20 dicembre.
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Afghanistan, il buio oltre il burka: le donne non potranno...
L’ultima dei talebani, di nuovo padroni dell’Afghanistan dall’agosto 2021 dopo il precipitoso ritiro delle truppe internazionali, è che le donne non potranno più curarsi. Non che sia passato un esplicito divieto in tal senso, anche se ormai nemmeno sorprenderebbe più, ma la cosa è l’inevitabile conseguenza di un altro provvedimento: quello che toglie alle donne l’ultimo scampolo di possibilità di avere una vita, ovvero di studiare per diventare dottoresse, ostetriche e infermiere.
Infatti la scorsa settimana il Ministero della Salute Pubblica ha fatto sapere che i corsi femminili negli istituti di scienze della salute sono stati “sospesi in tutto l’Afghanistan fino a nuovo avviso”.
Perciò, le donne non potranno più frequentare gli istituti di medicina, compresi i corsi di infermieristica e ostetricia. Per loro, si tratta di un naturale proseguimento del divieto di studiare, già in capo alle ragazze sopra i 12 anni, e di quello di lavorare in generale, imposti dagli ‘studenti di teologia’ subito dopo la ripresa del potere. Ora cade anche quest’ultimo piccolo barlume di ‘normalità’.
Il divieto, tra l’altro, è arrivato alla fine del semestre, poco prima degli esami: alle ragazze che erano in aula è stato detto di andarsene ed è stato consigliato di non rimanere a parlare della novità per non fare una brutta fine nel caso – probabile – che i talebani passassero a controllare.
Senza donne medico, le donne di fatto non potranno accedere alla sanità
Non si tratta solo di un altro chiodo piantato sulla bara dei diritti femminili in un Paese sempre più martoriato e dove peraltro nemmeno gli uomini fanno i salti di gioia: il decreto apre a un futuro di morti premature, disagio, sofferenza e, en passant, anche a un peggioramento della mortalità infantile.
Già, perché sotto i talebani gli uomini non possono né visitare né toccare in nessun modo le donne, a meno che non sia presente un tutor, leggasi il marito o un parente purché maschio. Quindi, in assenza di dottoresse, tutta la parte femminile della popolazione rimarrà senza cure.
Parte della popolazione che porta avanti gravidanze e partorisce e che per forza di cose avrà bisogno di assistenza a un certo punto della vita. E questo ovviamente per tacere qualsiasi altra situazione per cui sarebbe richiesto un accertamento o una cura.
Il tutto in un Paese che ‘vanta’ già uno dei tassi di mortalità materna più alti al mondo: i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità rivelano che in media ogni 100mila nati vivi muoiono 620 donne. In sostanza, una donna muore ogni due ore durante la gravidanza, il parto o le sue conseguenze.
Inoltre, già attualmente il Paese è in carenza di organico, e grazie all’ultimo provvedimento talebano questa carenza non potrà che peggiorare. Lo ha denunciato in modo netto anche Medici Senza Frontiere: “L’esclusione delle donne dalle scuole di medicina minaccia il futuro dell’assistenza sanitaria”.
“Non può esistere un sistema sanitario senza operatrici sanitarie istruite. In Msf più del 41% del personale medico è costituito da donne. La decisione di impedire alle donne afghane di studiare negli istituti di medicina le escluderà ulteriormente sia dall’istruzione che dalla possibilità di ricevere un’adeguata assistenza sanitaria”, afferma Mickael Le Paih, capomissione di Msf in Afghanistan.
Lo smantellamento dei diritti delle donne
Come dicevamo, dal 2021 sono molte le iniziative prese dai talebani per rendere invisibili le donne e togliere loro qualsiasi tipo di diritto nel nome di una sharia (l’insieme di regole di vita e di comportamento dettato da Dio per la condotta morale, religiosa e giuridica dei suoi fedeli) sempre più integralista e che va a colpire anche gli uomini, sebbene in misura infinitamente minore. Relegate in casa e soffocate dal burka, le donne hanno anche il divieto di parlare e di cantare, pubblicamente o a casa se la loro voce può essere sentita dall’esterno.
Inoltre, se in qualche modo dovessero riuscire ad avere una relazione fuori dal matrimonio, la legge prevede per loro la lapidazione. Credevamo fosse una pratica di duemila anni fa, invece in Afghanistan è più attuale che mai.
“Potreste pensare che questa sia una violazione dei diritti delle donne ma io rappresento Allah e voi rappresentate Satana“, aveva detto Hibatullah Akhundzada, il leader supremo dei talebani, annunciando lo scorso aprile le nuove norme: “Fustigheremo le donne, le lapideremo a morte in pubblico per adulterio”.
Ad agosto poi i talebani hanno emanato la Legge sulla promozione della Virtù e la prevenzione del Vizio, che confermava ed estendeva le severe restrizioni imposte, tra cui codici di abbigliamento, e stabiliva anche che le donne non potessero più proferire verbo pubblicamente: le loro voci sono una cosa intima, e quindi da non far sentire fuori casa, nemmeno per salutare. Un divieto esteso anche all’eventualità che parlando in casa la voce si possa udire da fuori: ecco, dunque, il più generale divieto di cantare.
- Una situazione che ha motivato la Corte di giustizia europea (Cgue) a decidere che le donne afghane hanno diritto di asilo negli Stati membri dell’Unione europea senza bisogno di accertamenti e di particolari controlli, perché nel loro Paese sono perseguitate.
Una buona notizia per chi ha l’opportunità di uscire dal Paese, ma per tutte le altre? Rimane una realtà dove non possono studiare, lavorare, fare le infermiere, parlare in pubblico, muoversi, uscire di casa senza un uomo, andare al parco o dal parrucchiere. E d’ora in poi non potranno nemmeno farsi curare.
Come disse Meryl Streep all’Onu, spesso citata proprio per la chiarezza dell’espressione usata, “uno scoiattolo ha più diritti di una bambina in Afghanistan”.