Fondazione Open, Renzi prosciolto con altri 10 indagati: nessun illecito
Lo ha stabilito il gup del Tribunale di Firenze, che ha emesso una sentenza di non luogo a procedere nei confronti degli 11 imputati, tra cui Boschi, Lotti e Carrai
Matteo Renzi, Maria Elena Boschi e altri 9 indagati - tra cui l'ex ministro Luca Lotti, l'imprenditore Marco Carrai e l'avvocato Alberto Bianchi - sono stati prosciolti dal gup del Tribunale di Firenze, Sara Farini, per l'inchiesta sulla fondazione Open.
Il giudice, al termine della camera di consiglio, ha emesso una sentenza di non luogo a procedere nei confronti degli 11 imputati (a cui si aggiungevano 4 società), stabilendo che non ci sono presunte irregolarità nei finanziamenti alla fondazione attiva tra il 2012 e il 2018 per sostenere l'ascesa e l'attivitа politica di Renzi, prima come sindaco di Firenze e poi come segretario del Pd. Le motivazioni del verdetto saranno depositate dal giudice entro 90 giorni.
"Cinque anni di massacro mediatico per un'accusa infamante e ingiusta. Ora che è finita il mio primo pensiero va a chi non ha mai dubitato di noi, a cominciare dalla mia famiglia, da mia moglie e dai miei figli", il commento a caldo di Matteo Renzi al TG1.
"In un mondo normale Meloni chiederebbe scusa"
"In un mondo normale oggi Giorgia Meloni mi chiederebbe scusa per come ha cavalcato in modo vergognoso l’aggressione giudiziaria nei confronti miei e della mia famiglia. Non lo farà. Perché la sua cultura giustizialista con gli avversari e garantista con gli amici non cambia e non cambierà mai. Oggi vorrei ricevere le scuse del Movimento Cinque Stelle, della parte giustizialista del Pd, dei commentatori che hanno parlato di Open e della Leopolda senza sapere nulla di noi. Non arriveranno. Peccato, per loro", scrive Renzi nella sua enews.
"Il nostro impegno per una giustizia giusta deve proseguire - aggiunge -, oggi più che mai. Io ho avuto la possibilità di combattere, nelle aule dei tribunali e nelle aule del Senato (questo l'intervento del dicembre 2019 e questo del 2022). Io ho scritto un libro. Io sono andato in tv. Ci sono invece tanti cittadini che sono vittime di ingiustizie e non si possono permettere la difesa che noi abbiamo avuto. Per loro continueremo a combattere".
"A tutti coloro che mi volevano fuori dalla politica con indagini scandalose e che oggi mi vogliono fuori dalla politica con norme ad personam auguro un buon Natale e un felice anno nuovo", conclude Renzi.
Boschi: "Dopo anni di sofferenza finisce incubo"
"Finisce l’incubo. Dopo anni di sofferenza silenziosa oggi si chiude la pagina di Open: sono stata prosciolta", scrive in un post su Facebook la deputata di Italia Viva Maria Elena Boschi. "Da avvocato - spiega - conoscevo l’assurdità delle accuse. Da parlamentare ero certa della correttezza del nostro operato. Ma da donna ho sofferto molto, quasi sempre in silenzio. Ringrazio Giulio per avermi abbracciata e capita. Ringrazio i miei genitori e i miei fratelli, tutta la famiglia, per avermi aiutata e sostenuta, a cominciare da mio padre che aveva dovuto soffrire un trattamento persino peggiore ma altrettanto ingiusto. Ringrazio i miei avvocati, Nanni e Pellegrini e soprattutto Paola Severino collega amica e faro. Abbraccio Matteo, Luca e tutti i miei amici e colleghi. E do a tutti l’appuntamento alla prossima Leopolda, a ottobre 2025". "Non smettiamo di lottare per un Paese più giusto. E più garantista", conclude Boschi.
Salvini: "Bene assoluzione, noi non mandiamo a processo rivali politici"
Plaude all'assoluzione il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini. "Bene l’assoluzione di Matteo Renzi e degli altri indagati, nonostante una odissea giudiziaria durata troppi anni. Noi siamo sempre garantisti, a differenza di chi predica bene e poi vota in Parlamento per mandare a processo i rivali politici. Ora - afferma Salvini - mi aspetto che Italia viva voti con la Lega e il resto del centrodestra per cambiare questa giustizia e prevedere, tra le altre cose, responsabilità civile dei magistrati e separazione delle carriere".
La vicenda e il verdetto
"Letti ed applicati gli articoli 424 e 425 terzo comma 3 del Codice di procedura penale", il giudice ha dichiarato "il non luogo a procedere nei confronti degli imputati in quanto gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna". Alla lettura del dispositivo della sentenza in aula erano presenti il pubblico mistero Luca Turco (andrà in pensione per raggiunti limiti di età alla vigilia di Natale), che con il sostituto procuratore Antonino Nastasi aveva chiesto il rinvio a giudizio, e gli avvocati difensori degli imputati.
I due pm il 9 febbraio 2022 avevano chiesto il processo, tra gli altri, per l'ex premier e leader di Italia Viva Matteo Renzi, l'ex ministra Maria Elena Boschi, l'ex deputato e ex ministro Luca Lotti, l'ex presidente della Fondazione Open Alberto Bianchi e l'imprenditore Marco Carrai, i componenti del cosiddetto 'giglio magico'. A tutti loro era contestato il presunto reato di finanziamento illecito ai partiti, dal momento che la Procura riteneva la Fondazione Open un'articolazione di partito riconducibile e funzionale all'ascesa politica di Renzi.
L'udienza preliminare era iniziata il 15 aprile 2022 e si è conclusa due anni e otto mesi dopo. Nel periodo temporale di svolgimento dell'udienza preliminare sono stati avviati e conclusi cinque procedimenti penali nei confronti dei due pubblici ministeri (tutti definiti con provvedimento di archiviazione), sono state presentate numerose interrogazioni parlamentari, si è pronunciata la Corte di Cassazione sui materiali sequestrati dai magistrati agli indagati, dando ragione agli imputati, e il Senato e la Camera hanno fatto ricorso alla Corte costituzionale sollevando conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato per gli irregolari sequestri condotti dalla Procura che aveva violato le prerogative dei parlamentari.
La Procura aveva contestato anche due presunti episodi di corruzione per l'esercizio della funzione a Lotti, ex membro del cda della Fondazione e membro del governo tra il 2014 e il 2017, prima come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e poi come ministro dello Sport. Lo stesso reato di corruzione attribuito a Lotti era contestato anche a Bianchi e all'imprenditore Patrizio Donnini, considerato collaboratore diretto della Fondazione.
A Bianchi, Carrai, Lotti e Boschi, in quanto componenti del consiglio direttivo di Open, e a Renzi (che i pm avevano qualificato come "direttore" di fatto della Fondazione) era contestato il reato di finanziamento illecito continuato "perché in concorso tra loro" avrebbero utilizzato la Fondazione come "articolazione politico-organizzativa del Partito democratico (corrente renziana)", ricevendo "in violazione della normativa" sul finanziamento pubblico ai partiti contributi in denaro per un totale quantificato dalla procura in 3.567.562 euro provenienti dalle donazioni private dei finanziatori: 257mila per il 2014, 332.500 per il 2015, 1.420.988 per il 2016, 805.010 per il 2017 e 752.064 per il 2018. Talune delle somme versate alla Fondazione, sempre secondo la Procura, sarebbero state utilizzate, inoltre, per fornire a Renzi, Lotti e Boschi "beni e servizi" di cui avrebbero fruito personalmente.
L'ex presidente Bianchi era accusato anche del reato di fatture false, per aver emesso quattro fatture che in realtà per i pm sarebbero andate a finanziare Open. L'imprenditore Alfonso Toto era imputato di corruzione, finanziamento illecito e traffico di influenze illecito. L'imprenditore Riccardo Maestrelli era accusato di finanziamento illecito. Accuse di corruzione e finanziamento illecito anche per Carmine Ansalone (all'epoca dei fatti responsabile dell'ufficio relazioni esterne della British American Tobacco Italia) e Giovanni Caruci (sempre all'epoca dei fatti vice presidente della British American Tobacco Italia). L'imprenditore Pietro Di Lorenzo, amministratore delegato della Imbr di Pomezia era accusato di traffico di influenze illecite per aver consegnato a Bianchi la somma di 130mila euro in cambio del suo appoggio con Lotti riguardo all'erogazione di finanziamenti pubblici per la realizzazione di una tv scientifica su piattaforma digitale a cui era interessato.
Il gup Sara Farini ha scagionato, infine, tutti gli imputati da ogni accusa, perchè gli elementi proposti dalla Procura "non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna".
Cronaca
Femminicidio Martina Scialdone, ergastolo per l’ex...
L'ingegnere di 61 anni nel gennaio 2023 ha sparato all'avvocatessa di 34 anni fuori da un ristorante in via Amelia al Tuscolano
I giudici della Prima Corte di Assise di Roma hanno condannato oggi, giovedì 20 dicembre, all'ergastolo Costantino Bonaiuti, l'ingegnere di sessantuno anni che nel gennaio 2023 ha sparato e ucciso l’ex compagna Martina Scialdone fuori da un ristorante in via Amelia al Tuscolano. Alla lettura della sentenza erano presenti in aula familiari e amici di Martina. La madre e il fratello della vittima si sono abbracciati in lacrime.
Una sentenza che accoglie le richieste della pm Barbara Trotta che nel corso della requisitoria aveva ricordato quanto accadde il 13 gennaio 2023 quando Bonaiuti uccise l'ex, avvocato di 34 anni, al culmine di una lite dopo che Martina aveva deciso di interrompere la relazione. Il delitto avvenne davanti al fratello della vittima, arrivato sul posto perché preoccupato per la sorella.
Bonaiuti è accusato di omicidio volontario aggravato dai motivi futili e abietti rappresentati dalla gelosia, dall’aver agito contro una persona a lui legata da relazione affettiva, e dalla premeditazione, in particolare, “portando con sé l’arma sul luogo dell’appuntamento essendo consapevole della volontà di interrompere definitivamente la relazione controllandone gli spostamenti grazie all’installazione clandestina di un dispositivo gps collegandolo al suo cellulare”. All’uomo è contestato anche il porto illegale in luogo pubblico della pistola semiautomatica Glock che deteneva per uso sportivo.
Ultima ora
Firenze, famiglia uccisa dal monossido di carbonio. Erano...
Le vittime sono un italiano, il figlio di lui e la compagna brasiliana, mentre la bambina di lei è gravissima
Tragedia familiare alla periferia di Firenze. Due adulti e un bambino sono stati trovati morti nel salotto al pian terreno della Villa di Mezzacosta in via San Felice a Ema, vicino alla zona del Galluzzo. Tra le ipotesi sulle cause delle tre morti c'è quella di un'intossicazione dal monossido di carbonio, che sarebbe avvenuta nella serata di mercoledì 18 dicembre. Una bambina di 6 anni è sopravvissuta ed è stata ricoverata all'ospedale pediatrico Meyer in condizioni gravissime: si trova in prognosi riservata perché avrebbe riportato danni a livello cardiaco.
Cosa è successo
Stando alla prima ricostruzione, effettuata dai vigili del fuoco e dalla polizia, le esalazioni di monossido di carbonio si sarebbero sprigionate da una caldaia o dalle due stufe a pellet che si trovano ancora nell'abitazione.
I vigili del fuoco sono intervenuti, intorno alle 14 di oggi, giovedì 19 dicembre, nella villetta. Entrati nell'abitazione, hanno cercato di rianimarli, ma hanno solo potuto constatare il decesso dei tre. I pompieri hanno trovato il padre e i bambini sul divano, mentre la donna era riversa a terra. Nella villa per gli accertamenti è intervenuta la polizia e la procura, che coordina le indagini, fa sapere che "le cause della morte sono in corso di approfondimento".
Chi erano le vittime
A morire è stata la madre della bambina, una donna di origini brasiliane di 46 anni, il suo compagno italiano, 49 anni, proprietario della villa, e il figlio di lui, 11 anni. A dare l'allarme è stata l'ex moglie dell'uomo, che non riusciva più a mettersi in contatto con lui e con il figlio.
Economia
L’Italia e le spese militari: Trump farà pressione...
Natalizia e Mazziotti scrivono per l'Atlantic Council: la questione del 2% del Pil dedicato alla Difesa non può essere rimandata
L'elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti ha riacceso le preoccupazioni tra gli alleati europei della Nato, Italia compresa, che temono un'accresciuta pressione per rispettare gli impegni di spesa militare. Già nel 2014, al vertice di Galles, gli alleati avevano promesso di destinare almeno il 2% del Pil alla difesa, ma l'Italia è rimasta ferma all'1,5% e rischia di subire critiche più aspre se questo tetto verrà alzato al 3%.
Gabriele Natalizia, professore alla Sapienza, e Matteo Mazziotti di Celso, ricercatore di Geopolitica.info, hanno scritto un articolo per l’Atlantic Council, uno dei principali think tank americani, in cui spiegano come l’Italia potrà muoversi in questo nuovo scenario.
Negli ultimi dieci anni, scrivono i due esperti di relazioni internazionali, Roma ha adottato una strategia alternativa per compensare la spesa militare limitata: inviare un alto numero di truppe nelle missioni Nato e a guida statunitense. Nel 2014, mentre il budget della difesa si fermava all'1,14% del Pil, l'Italia aumentò i contingenti all'estero fino a 7.500 unità, contribuendo a missioni come Baltic Air Policing e Enhanced Forward Presence. Questa politica ha evitato critiche, come dimostrò Barack Obama che accusò Germania e Francia di "free-riding", di scroccare le capacità belliche americane, risparmiando però l'Italia.
Durante il primo mandato di Trump, l'Italia riuscì nuovamente a evitare l'attenzione negativa, pur ricevendo avvertimenti informali. Grazie a un incremento temporaneo della spesa all’1,59% e all'invio di quasi 9.500 soldati, Roma ha mantenuto il suo status di alleato affidabile.
Oggi, scrivono Natalizia e Mazziotti, questa tattica appare insostenibile. Il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Carmine Masiello, ha evidenziato che le Forze Armate italiane sono già al limite delle proprie capacità operative. La combinazione tra carenza di personale e l'invecchiamento dei militari rende difficile aumentare ulteriormente i contingenti. Con 12.000 truppe autorizzate all'estero e l'impegno su operazioni interne come Strade Sicure (6.800 uomini), l'Italia non può spingersi oltre.
Se l'amministrazione statunitense manterrà la linea dura sul burden-sharing, la condivisione dei compiti, Roma avrà due opzioni: sperare in una maggiore flessibilità da Washington o aumentare finalmente il budget della difesa al 2% del Pil. La prima opzione, che al momento si basa sul buon rapporto tra Giorgia Meloni, Elon Musk e la Casa Bianca, è però soggetta a volatili rapporti personali e avrebbe come contropartita una serie di concessioni a Trump, noto per il suo approccio transattivo alla politica.
La seconda opzione deve tenere conto dell’opinione pubblica italiana, che secondo i sondaggi è in buona parte contraria a nuovi investimenti militari.
L’Italia, concludono gli autori, rischia di trovarsi isolata se non riuscirà a bilanciare contributi militari e finanziari. Per mantenere il proprio ruolo nella Nato e nelle missioni internazionali, sarà necessario uno sforzo concreto, pena il deterioramento della sua reputazione tra i policymaker americani.