Da gennaio 2025 sarà disponibile il Bonus Anziani (oppure Assegno Universale Anziani Non Autosufficienti), un contributo mensile di 850 euro, che potrà essere utilizzato solo per delle specifiche spese. Il beneficio mira ad aiutare le persone anziane in difficoltà economiche e di salute e per questo presenta requisiti di accesso molto stringenti che ne limitano la portata. Secondo le stime, la platea del Bonus Anziani sarà di circa 25.000 persone in tutto il Paese.
La misura è stata introdotta con decreto legislativo a marzo in via sperimentale per il biennio 2025/2026.
Bonus anziani, requisiti
Mentre la popolazione italiana invecchia, la sanità pubblica peggiora rendendo più complicata la vita di chi ha bisogno di cure e assistenza. In questa categoria rientrano gli anziani che, complici pensioni mediamente molto basse, hanno difficoltà a reperire o pagare i servizi o le cure di cui avrebbero bisogno.
Il Bonus Anziani interviene in tal senso, seppur prevedendo requisiti molto rigidi:
- avere almeno 80 anni di età anagrafica;
- avere un Isee inferiore a 000 euro;
- essere in uno stato di “bisogno assistenziale gravissimo”. Questa condizione sarà valutata dall’Inps tramite una commissione specifica;
- essere già titolari o avere i diritti per richiedere l’indennità di accompagnamento (531,76 euro al mese nel 2024) come invalidità totale, incapacità permanente di spostarsi senza aiuto o necessità di assistenza continua nelle attività quotidiane.
Requisiti che restringono a circa 25.000 anziani la platea dei beneficiari su un totale di circa 4 milioni di over 80 non autosufficienti.
Bonus Anziani, quanto vale e per quali spese
Il Bonus Anziani corrisponde a circa 850 euro al mese, che si aggiungeranno ai 531,76 euro dell’indennità di accompagnamento, per un totale di 1381,76 euro al mese. Questa somma non è tassabile e non è pignorabile. L’importo del Bonus potrà essere utilizzato solo per alcune spese.
Come si legge nel decreto, si potrà usare per “remunerare il costo del lavoro di cura e assistenza, svolto da lavoratori domestici con mansioni di assistenza alla persona titolari di rapporto di lavoro conforme ai contratti collettivi nazionali di settore o l’acquisto di servizi destinati al lavoro di cura e assistenza e forniti da imprese qualificate nel settore dell’assistenza sociale non residenziale, nel rispetto delle specifiche previsioni contenute nella programmazione integrata di livello regionale e locale”.
Nel caso in cui il contributo venga utilizzato per altri scopi, l’Inps può revocare il bonus e “il beneficiario è tenuto alla restituzione di quanto indebitamente ricevuto, fermo restando il diritto della persona anziana non autosufficiente a continuare a percepire l’indennità di accompagnamento”.
Come fare domanda
Le modalità di richiesta non sono ancora state specificate, ma sicuramente chi possiede i requisiti descritti sopra potrà richiedere il Bonus Anziani 2025 sul portale telematico dell’Inps oppure tramite Caf e patronati. Molto probabilmente, come già avviene per prestazioni analoghe, verrà richiesto l’Isee sociosanitario. L’Isee sociosanitario può essere richiesto tramite la Dichiarazione Sostitutiva Unica.
Altre possibilità per gli anziani
Il Ssn prevede altre misure specifiche per le persone anziane con patologie croniche in condizioni di fragilità e non autosufficienti. Quella più importante è la possibilità di accedere gratuitamente al ricovero in Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) convenzionate e ricevere un sostegno economico nel pagamento della retta alberghiera. Quest’ultima comprende i servizi aggiuntivi di vitto, alloggio, lavanderia ed è quasi sempre per il 50% a carico dei pazienti o delle loro famiglie. Sono esenti da tale pagamento le persone affette da Alzheimer o altre patologie gravi e i pazienti con un Isee socio-sanitario particolarmente basso.
Questa misura, tuttavia, risente particolarmente delle difficoltà della sanità pubblica: su un totale di circa 3.664 strutture, solo 222 sono pubbliche, mentre le restanti 2.442 sono private accreditate.
Pur variando da regione a regione, le generiche modalità di accesso ad una Rsa prevedono:
- invio di richiesta all’Asl da parte del medico di base, dell’interessato o dei suoi familiari per la valutazione multidimensionale per l’accesso in Rsa;
- attivazione della richiesta: l’Unità valutativa multidimensionale pianifica una visita del paziente a domicilio per verificarne le effettive condizioni e i trattamenti di cui necessita;
- in caso di conferma dei requisiti, l’Asl può autorizzare o programmare il ricovero in base alle disponibilità locali di posti letto.
Le difficoltà degli anziani in Italia
Il Bonus Anziani rappresenta un aiuto economico importante, ma avrà un impatto minimo sulla popolazione anziana italiana, che è sempre più grande ma sempre meno assistita.
A inizio anno, ha lanciato l’allarme sul tema Passi d’Argento, il sistema di sorveglianza dell’Iss (Istituto superiore di sanità) dedicato alla popolazione anziana. Come rilevato, tra il 2021 e il 2022 il 31% degli over 65 italiani ha dichiarato di avere difficoltà d’accesso ai servizi sociosanitari o ai negozi di generi alimentari e di prima necessità.
All’aumentare dell’età è emersa una maggiore difficoltà di accesso ai servizi delle Asl e dei negozi con il 70% degli ultra 85enni che ha riferito di avere problematiche in merito.
Gli anziani senza titolo di studio o con licenza elementare hanno più difficoltà a comprendere le indicazioni minime ed essenziali e i dati peggiorano al meridione dove la difficoltà di accesso a questi servizi è pari al 38% degli intervistati contro il 22% del Nord Italia.
Dalle difficoltà quotidiane si arriva a quelle più sanitarie, perché il gap culturale sta generando un aumento delle rinunce a visite mediche o esami diagnostici. Nel 2022, vi ha rinunciato quasi un anziano su quattro (il 23%, tra quelli aventi bisogno).
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“L’uomo al lavoro, la donna a casa”, la triste realtà degli...
Stereotipi di genere, ruoli rigidamente definiti e un divario che pare difficile da colmare: questa è la fotografia che emerge dal recente Eurobarometro che ha esplorato le percezioni dei cittadini europei sulla parità di genere. Seppur si parli incessantemente di parità, di opportunità per tutti e di un futuro in cui le differenze di genere siano solo un ricordo, i dati raccolti dall’Eurobarometro raccontano una realtà che fatica a evolversi. I risultati, pubblicati a dicembre 2024, mostrano come molte concezioni, lontane dalla moderna visione di uguaglianza, siano ancora ben radicate nelle menti degli europei. “L’uomo al lavoro, la donna a casa”: una narrazione che, nonostante il progresso, sembra ancora troppo comune in molte società, anche quelle che si considerano avanzate. Eppure, l’Europa sta cercando di fare un passo in avanti, ma quanto davvero è riuscita a cambiare?
Un’Europa divisa tra progresso e tradizione
Il rapporto dell’Eurobarometro rivela che, in generale, i cittadini europei sono favorevoli all’uguaglianza di genere e riconoscono che entrambi i sessi trarrebbero beneficio da una parità effettiva. La percentuale di chi ritiene che anche gli uomini possano beneficiare dell’uguaglianza di genere è alta, con il 75% degli intervistati a confermare che la parità porta vantaggi anche a loro. Eppure, nonostante questa visione ottimistica a livello teorico, i dati di fatto sono ancora spesso sconfortanti.
Quando si analizzano i vari settori, emergono differenze notevoli. Ad esempio, la convinzione che una donna non abbia le stesse opportunità di carriera di un uomo è ancora diffusa. Ben il 40% degli europei ritiene che gli uomini guadagnino di più delle donne a causa di lavori più impegnativi, mentre circa il 34% pensa che le donne debbano dare priorità alla famiglia rispetto alla carriera. Questo divario non è uniforme in tutta l’Unione Europea, con alcuni Stati membri, in particolare nell’Est, dove tali stereotipi sono radicati in modo più marcato.
L’Italia, in particolare, si distingue come uno dei paesi dove la concezione tradizionale del “ruolo della donna” in casa sembra essere ancora ben presente. Seppur con alcune differenze regionali, il 53% degli italiani intervistati concorda sul fatto che gli uomini siano “naturalmente” meno competenti delle donne nelle faccende domestiche, un dato che riflette un pregiudizio che trova difficoltà a svanire. Allo stesso tempo, la percezione che una donna che lavora a tempo pieno possa sacrificare la sua vita familiare trova una grande eco: ben il 51% degli europei considera che la vita familiare ne risenta, con un dato che diventa ancora più alto in alcuni paesi come Malta e Slovacchia.
Il nodo della politica e della leadership
Uno dei settori dove i pregiudizi di genere sono particolarmente evidenti è la politica. La percezione che gli uomini siano più ambiziosi delle donne è condivisa dal 47% dei rispondenti, eppure più della metà degli europei ritiene necessario introdurre misure temporanee come le quote per correggere la sottorappresentazione femminile. Si tratta di una contraddizione interessante: da un lato, molti riconoscono che la presenza delle donne nella politica è insufficiente, dall’altro non è ancora diffusa l’idea che questa carenza dipenda da una discriminazione sistematica.
Il discorso sulla leadership segue una logica simile. Se da una parte la maggior parte degli europei rifiuta l’idea che gli uomini siano intrinsecamente migliori leader delle donne, con una percentuale che supera il 70%, dall’altra parte c’è ancora una fetta di opinione che ritiene che le donne non siano abbastanza autoritarie per essere prese sul serio in posizioni di leadership. Un 23% degli intervistati, infatti, considera che le donne in posizioni di comando non abbiano l’autorità necessaria. Una visione che riflette un’idea obsoleta, che ancora oggi limita le donne a ruoli secondari, come quello di “collaboratrice” o “sostituta”.
Stereotipi nella vita quotidiana: un retaggio difficile da scardinare
Se in politica e nel mondo del lavoro si sono fatti dei progressi, la vita quotidiana appare ancora come il regno incontrastato dei vecchi stereotipi. Per esempio, il 62% degli intervistati ritiene che le donne siano più inclini degli uomini a prendere decisioni basate sulle emozioni, un dato che, pur essendo in calo rispetto al passato, è comunque un riflesso di un’immagine della donna come figura più istintiva e meno razionale. Inoltre, circa il 38% degli intervistati pensa che il ruolo più importante per una donna sia quello di prendersi cura della casa e della famiglia, il che evidenzia la difficoltà di allontanarsi dai tradizionali schemi di genere. A livello italiano, questo dato appare particolarmente forte, con il 51% che continua a credere che la vita familiare soffra quando una madre lavora a tempo pieno.
Ma non è solo una questione di “donna a casa”. Ancora una volta, la famiglia diventa il luogo in cui i ruoli di genere sono più marcati, e dove le donne sono “destinate” a sacrificarsi. Se il 51% degli europei pensa che la madre debba rinunciare alla carriera per prendersi cura dei figli se il padre guadagna meno, in alcuni paesi, come la Polonia o l’Ungheria, questo dato supera il 60%, confermando una concezione patriarcale e retrograda che è ancora forte in molte parti del continente.
Verso un’Europa più uguale, ma a che prezzo?
Nonostante il quadro piuttosto conservatore che emerge da questi dati, ci sono segnali positivi. Molti cittadini europei, infatti, considerano la parità di genere come un valore fondamentale, e quasi il 90% degli intervistati concorda sull’importanza dell’indipendenza economica per uomini e donne. Questo rappresenta un elemento di speranza e di cambiamento, ma la strada è ancora lunga. Mentre la resistenza ai cambiamenti culturali è forte, l’impegno politico e istituzionale a livello europeo sembra non vacillare. Le parole di Hadja Lahbib, commissaria europea per l’Uguaglianza, esprimono una determinazione che è necessaria per affrontare il lungo percorso che ci separa da una parità concreta, non solo legislativa, ma anche sociale e culturale: “Gli stereotipi di genere riguardano tutti noi, ma è ingiusto che questi pregiudizi continuino a incidere sulla vita professionale e personale dei nostri concittadini. Il sondaggio mostra quanta strada abbiamo fatto e quanta strada dobbiamo ancora percorrere. Disponiamo di strumenti per attuare questo cambiamento, come la nostra direttiva sull’equilibrio di genere nei Consigli di amministrazione”.
Sebbene il cammino verso l’uguaglianza di genere sia ancora lungo e irto di ostacoli, i dati dell’Eurobarometro ci invitano a riflettere sulla distanza tra ciò che idealmente dovrebbe essere e ciò che realmente è. Se da un lato la parità tra uomini e donne è ampiamente riconosciuta come un obiettivo positivo, dall’altro lato persistono stereotipi radicati che condizionano ancora profondamente la vita quotidiana, il lavoro e la politica. La vera sfida, oggi, non è tanto introdurre leggi per garantire i diritti, quanto cambiare la mentalità collettiva che ancora considera naturale il modello tradizionale dei ruoli di genere.
L’Europa ha fatto dei passi importanti, ma la strada per l’uguaglianza è ancora lastricata di pregiudizi, tradizioni e convinzioni che devono essere abbattuti. La domanda che dobbiamo porci è: siamo pronti a rompere davvero con il passato e a costruire una società dove uomini e donne possano essere finalmente liberi dai vecchi stereotipi?
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Gli “Umarell” diventano ufficiali a Villasanta, “servono...
Non chiamateli “Umarell”, chiamateli “volontari civici individuali”. Gli iconici pensionati che guardano i cantieri sono i protagonisti di un progetto nel piccolo paese di Villasanta, in Brianza. Qui, l’amministrazione comunale riconosce formalmente il ruolo di questi pensionati per monitorare i lavori nei cantieri. Un’iniziativa che, come spiegato dal sindaco Lorenzo Galli, non è pensata per ridicolizzare, ma per valorizzare il contributo delle persone anziane al miglioramento della qualità della vita urbana.
Come funziona il progetto e quali sono le regole
Per diventare un “Umarell ufficiale”, i cittadini interessati devono registrarsi presso il Comune e firmare un accordo che ne stabilisce i compiti e le regole. Tra i requisiti principali, i volontari devono essere residenti o domiciliati nel territorio comunale e avere un occhio preparato su cantieri stradali, cura dei giardini, cura delle strade e di altre cose pubbliche.
Le principali regole stabilite dal Comune prevedono:
- Osservazione, non interferenza: i volontari devono limitarsi a monitorare l’andamento dei lavori, senza impartire direttive agli operai o intervenire nelle attività del cantiere;
- Segnalazione puntuale al Comune: eventuali anomalie o problemi rilevati devono essere riferiti agli uffici preposti tramite un apposito modulo di segnalazione;
- Rispetto del personale e delle normative: gli Umarell devono mantenere un atteggiamento rispettoso verso gli operai e agire in conformità con le regole di sicurezza del cantiere, evitando di intralciare le attività lavorative;
Il Comune offre ai volontari una breve formazione, in cui vengono illustrate le norme di sicurezza e le modalità operative. Non è previsto un compenso, trattandosi di un’attività volontaria, ma l’iniziativa punta a valorizzare il tempo libero degli anziani, rafforzando il loro senso di appartenenza alla comunità. Un’iniziativa che ricorda, con i dovuti distinguo, la cultura di Okinawa dove gli anziani vengono coinvolti attivamente in delle attività piccole, ma utili per il loro benessere e per la comunità.
L’idea è partita dal sindaco Lorenzo Galli, eletto a giugno con una lista civica schierata nella coalizione di centrosinistra: “I nostri uffici – spiega- soffrono di una carenza d’organico ormai fisiologica, specialmente nel settore lavori pubblici. Il mondo del lavoro privato offre condizioni migliori. Il poco personale che abbiamo a disposizione è assorbito da incombenze burocratiche e lavori da scrivania, tra bandi, concorsi e simili. Ma la mia esperienza nel mondo delle associazioni di volontariato, che è quello da cui provengo, mi ha insegnato che ci sono tante persone che, raggiunta la pensione, hanno molto tempo libero, se non vengono assorbite dalla famiglia per fare i nonni, e anche molta voglia di aiutare la comunità”.
Per questo, gli Umarell comunali saranno arruolati anche in base all’esperienza pregressa. “Penso per esempio ad artigiani, elettricisti, a chi si intende di cura del verde, a tutte quelle persone con preparazione tecnica accumulata in anni di lavoro, che si ritrovano inattive. In Comune avevamo già un registro dei volontari che però, dopo il Covid, è finito in secondo piano. Ora vorremmo introdurre queste figure in grado di supportare l’amministrazione intercettando magari piccoli guasti, ed anche eventuali mancanze da parte dei fornitori di servizi”, prosegue Gallo, riportato dal Corriere della Sera.
L’origine del fenomeno Umarell
La parola “Umarell” è di origine bolognese e ha iniziato a circolare nel 2007 grazie al libro di Danilo Masotti, che ne ha fatto un’icona della cultura urbana italiana. Questo termine, che nel dialetto locale significa “ometto”, è diventato sinonimo dei pensionati che osservano i cantieri con le mani dietro la schiena, spesso accompagnando l’osservazione con commenti sull’andamento dei lavori.
Il fenomeno si è poi diffuso rapidamente, soprattutto grazie ai social media, trasformandosi in un vero e proprio trend. In molte città italiane sono nate pagine dedicate agli Umarell, spesso usate per condividere foto ironiche e aneddoti su questa figura emblematica.
Villasanta come modello replicabile
Il progetto di Villasanta potrebbe fare scuola in un Paese che conta un over 65 ogni quattro abitanti e spesso non offre strutture e servizi adatte a questa fascia di età. Secondo le proiezioni demografiche, nel 2042 5,8 milioni di persone sole avranno oltre 65 anni, con una crescita del 42% in vent’anni.
A questo va affiancata la carenza di personale nelle amministrazioni locali che dipende sia dalla crisi demografica che dalla scarsa attrattività degli stipendi.
L’attivazione di volontari civici offre una soluzione innovativa per ottimizzare i servizi pubblici, coinvolgendo al tempo stesso i cittadini nella cura del territorio. Il classico esempio di iniziativa “win-win”.
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Tumori, sempre più guarigioni ma disuguaglianze e stili di...
Tassi di guarigione in aumento, diminuzione della mortalità e un numero crescente di persone che convivono con un tumore. Ma anche persistenti disuguaglianze sociali nell’accesso alla diagnosi precoce e la permanenza di stili di vita che favoriscono lo sviluppo della malattia. È la fotografia che emerge dalla 14esima edizione del censimento ‘I numeri del cancro in Italia 2024‘ dell’Associazione italiana oncologia medica Aiom, presentata oggi a Roma a Palazzo Baldassini.
Cominciamo dai nuovi casi: in Italia nel 2024 sono stimate 390.100 nuove diagnosi di tumore, di cui 214.500 negli uomini e 175.600 nelle donne. Cifre sostanzialmente stabili rispetto al 2023, quando sono state 395.900, e al 2022, quando furono 391.700. Il tumore più frequentemente diagnosticato quest’anno è il carcinoma della mammella (53.686 casi), seguito dai tumori a colon-retto (48.706), polmone (44.831), prostata (40.192) e vescica (31.016).
La buona notizia è che la metà di questi malati guarirà e avrà la stessa attesa di vita di chi non ha sviluppato il cancro, grazie soprattutto alla diagnosi precoce. Nello specifico, la probabilità di guarigione per le donne colpite, nello scorso decennio, da tumore dell’utero è stata del 69%, per il collo dell’utero del 58%, per l’ovaio del 32%. Nel carcinoma della mammella la sopravvivenza è pari complessivamente al 73%, ma passa dal 99% nello stadio I all’81% nello stadio II, per scendere al 36% negli stadi III e IV. Per il tumore del colon-retto, considerando tutti gli stadi, la probabilità di guarire è del 56%, oscillando tra il 92% se la malattia è diagnosticata in stadio precoce e il 71% in stadio II.
Un altro elemento positivo, determinato soprattutto dai progressi nelle terapie, è costituito dal costante incremento del numero di persone che vivono dopo la diagnosi di tumore: nel 2024 sono circa 3,7 milioni, il 6,2% dell’intera popolazione, spiega Diego Serraino, direttore Soc Epidemiologia oncologica e Registro tumori del Friuli Venezia Giulia, Centro di riferimento oncologico Irccs Aviano.
Mortalità in calo
Quanto a chi non ce la fa, nel 2022 in Italia sono stati stimati 35.700 decessi per cancro del polmone, 24.200 per il colon-retto, 15.500 per la mammella, 14.900 per il pancreas e 9.900 per lo stomaco. Dei quasi 10 milioni di morti oncologiche ogni anno in tutto il mondo, il 10,5% avviene in giovani adulti, cioè persone di età compresa tra 20 e 49 anni. In Europa, dove le popolazioni sono più vecchie, le morti per cancro in giovani adulti rappresentano il 4,3% di tutti i decessi oncologici registrati nel 2022.
Inoltre, sempre secondo il censimento, la mortalità per cancro nei giovani adulti in 15 anni (2006-2021), è diminuita del 21,4% nelle donne e del 28% negli uomini. Una riduzione particolarmente accentuata per il carcinoma polmonare: -46,4% di decessi nelle donne e -35,5% nei maschi. Un dato particolarmente importante, se si considera che questa neoplasia rappresenta la prima causa di morte oncologica negli uomini giovani adulti e la seconda nelle donne dopo il tumore della mammella, come ha sottolineato Massimo Di Maio, presidente eletto Aiom.
Fabrizio Stracci, presidente Airtum, ha anche evidenziato come “un ruolo, seppure parziale, nel potenziale calo delle nuove diagnosi di cancro vada anche attribuito alla riduzione di circa il 2,5% della popolazione italiana tra il 2017 e il 2024, da 60.484.000 abitanti a 58.990.000″.
C’è ancora molto da fare, a partire dagli screening
Rimangono comunque alcune aree su cui intervenire, a partire dalla prevenzione che passa dagli stili di vita e dai tre programmi di screening. Nel 2023, rispetto agli anni precedenti – evidenzia il report – si registra una maggiore copertura della popolazione, che raggiunge il 49% per lo screening mammografico, il 47% per quello cervicale e il 32% per quello colorettale. Tuttavia, restano notevoli differenze territoriali, con le regioni meridionali che fanno registrare livelli di adesione inferiori rispetto alle altre aree in tutti e tre i programmi.
Basta vedere i dati: per la mammografia la copertura ha raggiunto il 62% al Nord, il 51% al Centro e il 31% al Sud, mentre lo screening cervicale mostra un livello di copertura pari al 57% al Nord, al 45% al Centro e al 35% al Sud. Inferiori le percentuali di adesione allo screening colorettale: 45% al Nord, 32% al Centro e 15% al Sud, snocciola Paola Mantellini, direttrice Osservatorio nazionale screening, organismo coordinato dall’Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica della Regione Toscana.
Eppure, “individuare un tumore o i suoi precursori in fase iniziale permette di intervenire tempestivamente, con trattamenti più efficaci, meno invasivi e con minori rischi di complicanze, garantendo maggiore sopravvivenza e qualità della vita”, rimarca l’esperta.
La prevenzione passa dagli stili di vita
Altro grosso capitolo, gli stili di vita, un aspetto sottolineato anche dal ministro della Salute Orazio Schillaci nella prefazione del volume del censimento, frutto della collaborazione tra Aiom, Airtum (Associazione italiana registri tumori), Fondazione Aiom, Osservatorio nazionale screening (Ons), Passi (Progressi delle aziende sanitarie per la salute in Italia), Passi d’Argento e Società italiana di anatomia patologica e di citologia diagnostica (Siapec-Iap): “Oggi sappiamo che l’errata alimentazione incide per circa il 35% sull’insorgenza dei tumori e che la dieta mediterranea riduce del 10% la mortalità complessiva, prevenendo lo sviluppo di numerosi tipi di cancro”.
“La prevenzione è un pilastro fondamentale della nostra strategia. Promuovere stili di vita sani e incrementare l’adesione ai programmi di screening organizzati sono obiettivi strategici per ridurre il rischio di sviluppare molte tipologie di tumore, consentire una diagnosi precoce e intercettare tempestivamente la malattia. In questo contesto, il ruolo della ricerca è fondamentale”, ha sottolineato ancora Schillaci nel messaggio inviato al presidente Aiom Francesco Perrone in occasione della presentazione del censimento.
Sullo stile di vita è intervenuto anche lo stesso Perrone, il quale ha evidenziato come a fronte di una lieve riduzione dei nuovi casi di cancro il quadro rimanga ancora preoccupante proprio per la permanenza di alti fattori di rischio, comportamentali e ambientali.
Italiani rimandati sugli stili di vita
Gli italiani, infatti, non fanno benissimo quanto a stile di vita: il 24% degli adulti fuma, il 33% è in sovrappeso e il 10% è obeso, il 18% consuma alcol in quantità a rischio per la salute. E si registra un boom di sedentari, aumentati dal 23% nel 2008 al 28% nel 2023.
Più nel dettaglio, il fumo è più frequente fra gli uomini (28% vs 21%), fra i più giovani, fra i residenti nel Centro-Sud ed è fortemente associato allo svantaggio sociale, coinvolgendo molto di più le persone con difficoltà economiche (36% vs 21%) o bassa istruzione (26% fra chi ha al più la licenza elementare vs 18% fra i laureati), ha spiegato Maria Masocco, responsabile scientifico dei sistemi di sorveglianza Passi e Passi D’Argento, coordinati dall’Istituto superiore di sanità.
Quanto all’alcol, considerato sostanza tossica e cancerogena secondo le principali Agenzie internazionali di salute pubblica, non esiste rischio zero e qualsiasi modalità di consumo comporta un rischio, tanto più elevato quanto maggiore è la quantità di alcol consumata. Nel biennio 2022-2023, in Italia meno della metà degli adulti di età compresa tra i 18 e i 69 anni (42%) dichiara di non consumare bevande alcoliche, ma 1 persona su 6 (18%) ne fa un consumo definito a ‘maggior rischio’ per la salute, per quantità e/o modalità di assunzione.
Da notare che, diversamente dagli altri fattori di rischio comportamentali, il consumo di alcol è più frequente fra le classi sociali più abbienti, senza difficoltà economiche e/o con livelli di istruzione elevati.
Anche sull’attività fisica c’è molto margine di miglioramento: facendo riferimento ai livelli attualmente raccomandati dall’Oms, nel biennio 2022-2023 il 48% della popolazione adulta in Italia può essere classificata come ‘fisicamente attiva’, il 24% ‘parzialmente attiva’, e il 28% è completamente ‘sedentaria’.
La sedentarietà è più frequente fra le donne (32% vs 24% fra gli uomini), aumenta con l’età (24% fra 18-34enni vs 33% fra i 50-69enni), disegna un chiaro gradiente geografico a sfavore delle regioni del Meridione (40% vs 16% nel Nord) e un gradiente sociale a svantaggio delle persone con maggiori difficoltà economiche (42%) o basso livello di istruzione (48% fra chi ha al più la licenza elementare vs 25% fra i laureati). Non solo, ma negli anni la sedentarietà è aumentata significativamente e costantemente passando dal 23% del 2008 al 28% nel 2023, coinvolgendo allo stesso modo uomini e donne e tutte le classi di età, ma più velocemente i più giovani e soprattutto il Meridione e il Centro, ampliando il gradiente geografico fra Nord (dove resta costante) e Sud del Paese; infine è aumentata anche fra le persone abbienti e meno abbienti, ma più velocemente fra le persone con maggiori difficoltà economiche.
Infine sovrappeso e obesità, altro importante fattore di rischio oncologico: nel biennio 2022-2023 più di 4 adulti su 10 sono in eccesso ponderale, ovvero il 33% è in sovrappeso e il 10% è obeso. L’obesità è poco più frequente fra gli uomini (11% vs 10% fra le donne), aumenta significativamente con l’età (5% fra 18-34 anni, 10% fra 35-49 anni e 14% fra 50-69 anni) e coinvolge particolarmente le persone con svantaggio sociale (18% fra persone con molte difficoltà economiche vs 9% fra chi non ne riferisce). Storicamente più frequente nel Sud del Paese, oggi il gradiente geografico fra Nord e Sud del Paese si è annullato.
Insomma nella lotta ai tumori ci sono segnali incoraggianti e risultati visibili, ma c’è ancora molto da fare, e in questo contesto si inserisce a tutto tondo il Piano oncologico nazionale 2023-2027 che, ha sottolineato infine Schillaci nel suo messaggio, “è una risposta concreta a queste sfide: dall’integrazione dei percorsi assistenziali al potenziamento della prevenzione, fino allo sviluppo della ricerca”.