Giubileo, Papa oggi aprirà la Porta Santa: “Entriamo nella vita nuova”
In Piazza San Pietro 25mila fedeli tra imponenti misure di sicurezza. Il Pontefice durante la messa di Natale: "Desolato per i bimbi mitragliati e le bombe sulle scuole"
Il Papa ha aperto e varcato la Porta Santa. Comincia, così, il Giubileo dedicato alla speranza. Dopo di lui hanno varcato la porta i concelebranti e una cinquantina di fedeli in rappresentanza del mondo. Alla cerimonia ha partecipato anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni seduta accanto al ‘ministro degli Esteri’ vaticano Paul Richard Gallagher.
Le immagini, trasmesse in tutto il mondo, hanno composto una sequenza che verrà impressa nella storia. Sono i momenti in cui Papa Francesco si è avvicinato alla Porta Santa in sedia a rotelle, aprendo la Porta in silenzio e pregando. Dopo Francesco, hanno attraversato la Porta Santa i cardinali, i vescovi e alcuni rappresentanti del popolo di Dio provenienti dai cinque Continenti.
In questo Giubileo della Speranza, il passaggio del popolo di Dio attraverso la soglia della Porta Santa lancia un messaggio di pace e rinnovamento per tutta l'umanità.
Il Pontefice ha celebrato la messa della vigilia di Natale. Al di fuori della Basilica, migliaia di fedeli hanno seguito la celebrazione dai maxi-schermi di piazza San Pietro.
Le parole del Papa
"Questa è la notte in cui la porta della speranza si è spalancata sul mondo. Questa è la notte in cui Dio dice a ciascuno: c'è speranza anche per te!" ha detto Papa Francesco nella messa di Natale. "Tra lo stupore dei poveri e il canto degli angeli - osserva il Pontefice - il cielo si apre sulla terra: Dio si è fatto uno di noi per farci diventare come Lui, è disceso in mezzo a noi per rialzarci e riportarci nell’abbraccio del Padre. Questa è la nostra speranza. L’infinitamente grande si è fatto piccolo; la luce divina è brillata fra le tenebre del mondo; la gloria del cielo si è affacciata sulla terra, nella piccolezza di un Bambino. E se Dio viene, anche quando il nostro cuore somiglia a una povera mangiatoia, allora possiamo dire: la speranza non è morta, la speranza è viva, e avvolge la nostra vita per sempre!".
Bergoglio ha invitato a non perdersi d’animo: "Per accogliere questo dono, siamo chiamati a metterci in cammino con lo stupore dei pastori di Betlemme. Il Vangelo dice che essi, ricevuto l’annuncio dell'Angelo, ‘andarono, senza indugio’. Questa è l’indicazione per ritrovare la speranza perduta, rinnovarla dentro di noi, seminarla nelle desolazioni del nostro tempo e del nostro mondo: senza indugio. Non indugiare, non rallentare il passo, ma lasciarsi attirare dalla bella notizia. Senza indugio, andiamo a vedere il Signore che è nato per noi, con il cuore leggero e sveglio, pronto all’incontro, per essere capaci di tradurre la speranza nelle situazioni della nostra vita".
"La speranza cristiana non è un lieto fine da attendere passivamente: è la promessa del Signore da accogliere qui e ora, in questa terra che soffre e che geme" ammonisce il Pontefice. "Essa ci chiede perciò di non indugiare, di non trascinarci nelle abitudini, di non sostare nelle mediocrità e nella pigrizia; ci chiede – direbbe Sant’Agostino – di sdegnarci per le cose che non vanno e avere il coraggio di cambiarle; ci chiede di farci pellegrini alla ricerca della verità, sognatori mai stanchi, donne e uomini che si lasciano inquietare dal sogno di Dio, il sogno di un mondo nuovo, dove regnano la pace e la giustizia", ha scandito Francesco.
Il Pontefica ha chiesto di portare speranza nei luoghi profanati da guerra e violenza. Bergoglio ha riflettuto sulle condizioni umane nelle quali si è smarrita la speranza. Il suo dolore per le popolazioni profanate dalle guerre. "A noi, tutti, - ha detto Francesco - il dono e l’impegno di portare speranza là dove è stata perduta: dove la vita è ferita, nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano il cuore; nella stanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto, nella sofferenza che scava l’anima; nei giorni lunghi e vuoti dei carcerati, nelle stanze strette e fredde dei poveri, nei luoghi profanati dalla guerra e dalla violenza”.
“Il Giubileo si apre perché a tutti sia donata la speranza del Vangelo, la speranza dell’amore, la speranza del perdono. E guardando al presepe, - ha detto Francesco citando l’omelia del Natale 1980 del cardinal Martini - alla tenerezza di Dio che si manifesta nel volto del Bambino Gesù, ci chiediamo: 'C’è nel nostro cuore questa attesa? C’è nel nostro cuore questa speranza? Contemplando l’amabilità di Dio che vince le nostre diffidenze e le nostre paure, contempliamo anche la grandezza della speranza che ci attende. Che questa visione di speranza illumini il nostro cammino di ogni giorno’”. Bergoglio si rivolge a ciascun fedele: “Sorella, fratello, in questa notte è per te che si apre la “porta santa” del cuore di Dio. Gesù, Dio-con-noi, nasce per te, per noi, per ogni uomo e ogni donna. E con Lui fiorisce la gioia, con Lui la vita cambia, con Lui la speranza non delude”.
Il Pontefice ha chiesto di alzare la voce contro il male e le ingiustizie sui poveri. "Impariamo dall'esempio dei pastori: la speranza che nasce in questa notte - non tollera l’indolenza del sedentario e la pigrizia di chi si è sistemato nelle proprie comodità; non ammette la falsa prudenza di chi non si sbilancia per paura di compromettersi e il calcolo di chi pensa solo a sé stesso; è incompatibile col quieto vivere di chi non alza la voce contro il male e contro le ingiustizie consumate sulla pelle dei più poveri. Al contrario, la speranza cristiana, mentre ci invita alla paziente attesa del Regno che germoglia e cresce, esige da noi l’audacia di anticipare oggi questa promessa, attraverso la nostra responsabilità e la nostra compassione”.
Bergoglio ha citato Alessandro Pronzato, il prete scrittore tra i più letti del 900 che spiegò il Vangelo a Fidel: "Guardando a come spesso ci sistemiamo in questo mondo, adattandoci alla sua mentalità, un bravo prete scrittore così pregava per il Santo Natale: 'Signore, Ti chiedo qualche tormento, qualche inquietudine, qualche rimorso. A Natale vorrei ritrovarmi insoddisfatto. Contento, ma anche insoddisfatto. Contento per quello che fai Tu, insoddisfatto per le mie mancate risposte. Toglici, per favore, le nostre paci fasulle e metti dentro alla nostra 'mangiatoia', sempre troppo piena, una brancata di spine. Mettici nell’animo la voglia di qualcos'altro'. Non dimentichiamo che l'acqua ferma è la prima a corrompersi".
“La speranza cristiana - ha detto Bergoglio - è proprio il 'qualcos'altro' che ci chiede di muoverci 'senza indugio'. A noi discepoli del Signore, infatti, è chiesto di ritrovare in Lui la nostra speranza più grande, per poi portarla senza ritardi, come pellegrini di luce nelle tenebre del mondo. Fratelli e sorelle, questo è il Giubileo, questo è il tempo della speranza! Esso ci invita a riscoprire la gioia dell’incontro con il Signore, ci chiama al rinnovamento spirituale e ci impegna nella trasformazione del mondo, perché questo diventi davvero un tempo giubilare: lo diventi per la nostra madre Terra, deturpata dalla logica del profitto; lo diventi per i Paesi più poveri, gravati da debiti ingiusti; lo diventi per tutti coloro che sono prigionieri di vecchie e nuove schiavitù".
Il Papa ha dato voce al dolore per le tante “desolazioni del mondo”. In un passaggio a braccio dell’omelia, Bergoglio ha chiesto di pensare “ai bambini mitragliati, alle bombe sulle scuole e gli ospedali”. In un altro passaggio a braccio, il Pontefice ha ricordato che “Dio perdona sempre. Questo è un modo di capire la speranza del Signore”.
Al termine della messa di Natale, sulla sedia a rotelle, il Pontefice, affiancato da una delegazione di bambini di tutto il mondo, ha portato il Bambinello nel presepe di San Pietro.
Nella giornata di Natale Bergoglio terrà l’Urbi et Orbi rilanciando l’appello per la pace nel mondo dilaniato dalle guerre. Bergoglio, durante l’omelia nella messa di Natale, ha dato voce a tutta la sua preoccupazione in un passaggio a braccio nel quale ha denunciato le "tante desolazioni in questo tempo. Pensiamo alle guerre, ai bambini mitragliati, alle bombe sulle scuole e sugli ospedali. Non indugiare, non rallentare il passo, ma lasciarsi attirare dalla bella notizia".
"Senza indugio - ha osservato ancora -, andiamo a vedere il Signore che è nato per noi, con il cuore leggero e sveglio, pronto all'incontro, per essere capaci di tradurre la speranza nelle situazioni della nostra vita. E questo è il nostro compito: tradurre la speranza nelle diverse situazioni della vita. Perché la speranza cristiana non è un lieto fine da attendere passivamente, non è l'happy end di un film: è la promessa del Signore da accogliere qui, ora, in questa terra che soffre e che geme”.
“Sono stata in piazza San Pietro tutta la sera al freddo nella speranza di varcare la Porta Santa" ha raccontato delusa una turista sudamericana. "Non me lo hanno permesso, e io domani devo partire".
Pellegrini e fedeli a San Pietro
Erano venticinquemila i fedeli in Piazza San Pietro per l’apertura ufficiale del Giubileo della speranza, fa sapere il Vaticano, mentre nella Basilica di San Pietro c'erano seimila fedeli. Dalle 8 di mattina di Natale la Porta Santa di San Pietro sarà aperta ai fedeli.
"Essere qui oggi con mio figlio e mio marito è un sogno che si avvera" racconta Inga, giovane lettone, mentre porta in braccio il suo bambino. "Da tempo sognavo di riuscire a venire a vedere il Giubileo e l’apertura della Porta Santa a Roma - conclude - che è una città straordinaria". "L’emozione è grande per un evento unico. Sono venuta apposta per l’apertura della Porta Santa nella speranza di varcarla. L’unica paura è non riuscire a entrare in piazza San Pietro,", racconta Gaia, turista che per il Giubileo è venuta da Pisa.
‘’Sono una pellegrina romana" racconta un'altra fedele dal quartiere Centocelle nella Capitale. "Sono uscita alle 16 - racconta - ho parcheggiato a Trionfale e poi fino a qui a piedi. Non me la voglio perdere". Non solo da Roma. Arrivano dalla Francia, dall’Iraq, e un gruppo di una ventina di persone, con berretto di Babbo Natale per non perdersi, dal Venezuela.
"Fa molto freddo ma credo che rimarrò fino alla fine. Chissà quando mi ricapita" racconta in piazza San Pietro Kenzie, studentessa originaria di Minneapolis, negli Stati Uniti, in vacanza a Roma per Natale. "Non sono una molto religiosa e avrei voluto fare qualche altro regalo, ma credo - prosegue - che ormai sia troppo tardi, ci ho messo troppo a superare i controlli di sicurezza". Per quanto riguarda proprio la sicurezza "qualche paura la ho, soprattutto dopo quanto accaduto in Germania: stavo per rinunciare a passare qui, ma ora mi sento abbastanza al sicuro".
" Vedere il Papa sulla sedia a rotelle mi dispiace tanto, sta bene?" si chiede Kelly, originaria di Guam ma che da anni vive in Colorado, in vacanza con la sua famiglia a Roma. "È la prima volta che veniamo in Italia - racconta - e non volevamo perderci la possibilità di vedere il Vaticano. L’unico neo, sono stati i controlli, molto lunghi: prima abbiamo dovuto lasciare le nostre borracce (a via della Conciliazione, al primo varco, ndr.) e, poi, un'altra fila per entrare nella piazza. Ma - conclude - ne è valsa la pena".
"Non sono cattolica, ma capisco l’importanza dell’evento: ho prolungato la mia vacanza per rimanere e assistere al Giubileo. L’atmosfera è unica" dice Lao Zhen, cinese di Chengdu. Come lei, tanti hanno un cappello rosso da Babbo Natale in testa, per coprirsi dal freddo e per farsi riconoscere. "Peccato che la porta sia coperta da una tenda e non si possa vedere con i nostri occhi Papa Francesco", racconta.
"Purtroppo non conosciamo il latino e non abbiamo seguito le parole della messa, ma abbiamo sentito la cerimonia dentro di noi", dicono Ricardo e Estrella, che sono venuti a Roma dal Perù per l’apertura della Porta Santa ed essere presenti a quello che loro stessi definiscono "un evento fortissimo".
"La religione, mia e degli altri, qui e oggi è relativa. L’evento è invece qualcosa di universale. Magnifico" dice Ramesh, indiano di Mumbai, in piazza San Pietro. "L’atmosfera che si respira - dice - è qualcosa di unico, è indescrivibile".
"Qualunque cosa mi faccia sentire più sicura è più che okay. Rispetto ad altre occasioni abbiamo passato rapidamente i metal detector", dice Carlie, turista americana in vacanza con il marito, dopo essersi scattata un selfie sotto l’albero di piazza San Pietro. "E anche il clima non è male: da noi in Florida è molto più umido, il freddo ti entra davvero nelle ossa. Qui - conclude - al massimo c’è un po di vento".
Le novità di quest'anno
Due le novità di quest'anno. Una webcam installata sulla Porta Santa di San Pietro permetterà a chi non potrà viaggiare di attraversarla quantomeno virtualmente. La seconda sarà che il 26 dicembre Bergoglio ne aprirà simbolicamente una per tutte nel carcere di Rebibbia. Si tratta di una prima volta nella storia degli Anni Santi. Il 29 dicembre il Vicario di Roma, cardinal Baldo Reina, su mandato del Papa, provvederà ad aprire la Porta Santa a San Giovanni in Laterano. Il 1 gennaio 2025 sarà aperta la Porta Santa della Basilica di Santa Maria Maggiore. Il 5 gennaio toccherà a quella di San Paolo fuori le Mura.
Cronaca
Dal medico di base al pronto soccorso, la sanità pubblica...
Un'inchiesta empirica sulle risposte che si ottengono avendo necessità di cure nei giorni di Natale
Attese troppo lunghe, ritardi insostenibili, risorse e strumenti che mancano, piccoli e grandi episodi di malasanità. Gli ospedali, a partire dai pronto soccorso, e tutta la filiera della sanità pubblica che parte dal medico di base sono dentro una crisi strutturale che i tanti fatti di cronaca documentano puntualmente. C'è però anche una strenua resistenza, fatta di medici, infermieri e operatori, che continua ad assicurare un servizio essenziale, nonostante il contesto e nonostante gli errori e le scelte sbagliate che si sono stratificate nel tempo.
Avere necessità di cure a ridosso di Natale, e quindi frequentare l'ospedale e lo studio del medico di base per cercare l'assistenza che serve, favorisce un punto di osservazione privilegiato che consente un'inchiesta empirica, ma efficace, sullo stato di salute della nostra sanità. Siamo a Roma, in una zona centrale, e questo diventa un dato da considerare, perché la situazione cambia non solo da Regione a Regione e tra una città e l'altra, ma anche tra una struttura più grande e una più piccola, tra un quartiere e l'altro.
Il pronto soccorso, frontiera aperta
All'interno di un pronto soccorso si sentono solo nomi e cognomi, persone, e i relativi problemi da risolvere. Senza sosta, senza tregua. Infarto in corso, principio di ischemia, trauma, dolori incomprensibili, altri traumi. Mal di testa, pruriti vari, distorsioni immaginarie. Umanità ferita, senza altro appiglio, e umanità più agiata che cerca comunque conforto. Richieste di aiuto e risposte da dare a tutti, sempre. Medici e infermieri, operatori, camminatori, addetti alle pulizie.
Il pronto soccorso è una frontiera dove tutto è ammesso e dove quasi tutto è affrontato, nonostante il tempo che scorre, nonostante le risorse che mancano, nonostante la perfida sproporzione tra i mezzi a disposizione e quelli che servirebbero. Nonostante l’arroganza di qualcuno e la supponenza di qualcun altro. Nonostante la disperata presenza, che diventa occupazione indebita, di chi non sa dove altro andare.
Arriva di tutto dietro al vetro dell’accettazione. Li’ si alternano donne e uomini che si muovono con apparente indolenza ma sono capaci di improvvise prove di efficienza quando la situazione lo richiede. E succede più spesso di quanto si possa immaginare. Il passaggio dal cazzeggio lento e strascicato all’adrenalina dell’emergenza è immediato, come un interruttore che scatta. Si accende la luce e si cerca di fare tutto quello che è possibile fare. Il Pronto soccorso di un ospedale è l’ultima frontiera aperta. Entrano tutti, anche quando sono troppi, entrano tutti uguali di fronte all’emergenza, anche se sono già diversi. Poi, in uscita, le distanze inevitabilmente si allargano ancora, rispetto al passo successivo, che presuppone quasi sempre scelte in cui le relazioni, a anche il denaro, tornano subito ad avere il loro peso.
Il medico di base, alleato fondamentale o peggior nemico
Dallo studio del medico di base passa tutto quello che precede o che segue all'ospedale. Ma anche tutto quello che è quotidiano, ordinario, dentro la vita di tutti i giorni. Visite, diagnosi, prescrizioni, ricette, consigli e rassicurazioni. In ordine sparso, in presenza, via telefono, via mail o via whatsapp, tutte le richieste, i dubbi, le aspettative e le frustrazioni, si riversano sulla stessa persona, che ha centinaia di pazienti. Di qualsiasi età e con qualsiasi patologia, dal raffreddore alla malattia terminale. Domande continue, più o meno cortesi, e risposte, più o meno accurate. Evidente, anche in questo, quanto possa fare la differenza l'approccio del singolo medico, che può essere un alleato fondamentale, imprescindibile, se fa bene il suo lavoro, o anche il peggiore nemico, se al contrario rompe il rapporto di fiducia e disattende le aspettative.
Qualità e accesso al servizio, pesano le persone e il denaro
Una prima sintesi mette insieme la premessa e la conclusione di questo 'viaggio' a tappe forzate e obbligate: quello che funziona lo si deve alla quota di professionalità, di attenzione e di dedizione che mettono in più alcune persone; quello che non funziona, al netto delle carenze strutturali e delle disfunzioni croniche del sistema, viene amplificato dalla quota di superficialità, approssimazione, e sciatteria che altre persone fanno pesare.
Altro aspetto generale che si percepisce chiaramente è che le condizioni attuali impongono scelte continue. Di fronte alla sproporzione tra quello che servirebbe e quello che si riesce a fare, le emergenze vengono trattate e le urgenze differibili, che sono sempre di più perché la soglia sensibile diventa più alta, vengono tralasciate o archiviate il più velocemente possibile. Il risultato è che se si sta molto male, in linea di massima, si trovano risposte ma se ci sono problemi o disturbi di media intensità il rischio di rimanere senza l'assistenza necessaria sale.
C'è poi il dato più sensibile e più 'politico', quello dell'equità. Restando rigorosamente nel servizio pubblico, la qualità e purtroppo anche l'accesso ai servizi, in alcuni casi, dipendono dalle condizioni economiche. Le prestazioni gratuite sono sempre di meno, i tempi per accedere alle prestazioni gratuite sono sempre più lunghi, le opzioni a pagamento, si parli di visite specialistiche, di farmaci o di dispositivi medici, possono fare la differenza. (Di Fabio Insenga)
Cronaca
Papa Francesco: “Tacciano le armi in Ucraina, si apra...
Il messaggio urbi et orbi del Pontefice
"Tacciano le armi". E' l'appello di Papa Francesco nel messaggio urbi et orbi ai fedeli in piazza San Pietro dalla Loggia Centrale della Basilica Vaticana nella giornata di Natale.
"Questa notte si è rinnovato il mistero che non cessa di stupirci e di commuoverci: la Vergine Maria ha dato alla luce Gesù, il figlio di Dio, lo ha avvolto in fasce e lo ha deposto in una mangiatoia. Così lo hanno trovato i pastori di Betlemme, pieni di gioia, mentre gli angeli cantavano: 'Gloria a Dio e pace agli uomini'. Questo avvenimento, accaduto più di duemila anni fa, si rinnova per opera dello Spirito Santo, lo stesso Spirito di Amore e di Vita che fecondò il grembo di Maria e dalla sua carne umana formò Gesù", dice il Pontefice.
"E così oggi, nel travaglio di questo nostro tempo, si incarna nuovamente e realmente la parola eterna di salvezza, che dice a ogni uomo e a ogni donna, che dice al mondo intero: 'Io ti amo, ti perdono, ritorna a me, la porta del mio cuore è aperta per te!'", prosegue Bergoglio.
"Sorelle, fratelli, la porta del cuore di Dio è sempre aperta, ritorniamo a Lui! Ritorniamo al cuore che ci ama e ci perdona! Lasciamoci perdonare da Lui, lasciamoci riconciliare con Lui! Dio perdona sempre, Dio perdona tutto, lasciamoci perdonare da lui. Questo significa la Porta Santa del Giubileo, che ieri sera ho aperto qui a San Pietro: rappresenta Gesù, Porta di salvezza aperta per tutti. Gesù è la Porta che il Padre misericordioso ha aperto in mezzo al mondo, in mezzo alla storia, perché tutti possiamo ritornare a Lui. Tutti siamo come pecore smarrite e abbiamo bisogno di un Pastore e di una Porta per ritornare alla casa del Padre. Gesù è il Pastore, Gesù è la Porta. Fratelli e sorelle, non abbiate paura! La Porta è aperta, è spalancata! Non è necessario bussare, è aperta. Venite! Lasciamoci riconciliare con Dio, e allora saremo riconciliati con noi stessi e potremo riconciliarci tra di noi, anche con i nostri nemici. La misericordia di Dio può tutto, scioglie ogni nodo, abbatte ogni muro di divisione, dissolve l’odio e lo spirito di vendetta. Venite! Gesù è la Porta della pace", dice il Papa.
"Spesso noi ci fermiamo solo sulla soglia - continua - non abbiamo il coraggio di oltrepassarla, perché ci mette in discussione. Entrare per la Porta richiede il sacrificio di fare un passo, piccolo sacrificio, un passo per una cosa così grande, chiede di lasciarsi alle spalle contese e divisioni, per abbandonarsi alle braccia aperte del Bambino che è il principe della pace. In questo Natale, inizio dell’Anno giubilare, invito ogni persona, ogni popolo e nazione ad avere il coraggio di varcare la Porta, a farsi pellegrini di speranza, a far tacere le armi e a superare le divisioni! Tacciano le armi nella martoriata Ucraina! Si abbia l’audacia di aprire la porta al negoziato e a gesti di dialogo e d’incontro, per arrivare a una pace giusta e duratura. Tacciano le armi in Medio Oriente! Con gli occhi fissi sulla culla di Betlemme, rivolgo il pensiero alle comunità cristiane in Palestina e in Israele, in particolare a Gaza, dove la situazione umanitaria è gravissima. Cessi il fuoco, si liberino gli ostaggi e si aiuti la popolazione stremata dalla fame e dalla guerra. Sono vicino anche alla comunità cristiana in Libano, soprattutto al sud, e a quella in Siria, in questo momento così delicato. Si aprano le porte del dialogo e della pace in tutta la regione, lacerata dal conflitto. E voglio ricordare qui anche il popolo libico, incoraggiando a cercare soluzioni che consentano la riconciliazione nazionale".
"Possa la nascita del Salvatore portare un tempo di speranza alle famiglie di migliaia di bambini che stanno morendo per un’epidemia di morbillo nella Repubblica Democratica del Congo, come pure alle popolazioni dell’Est di quel Paese e a quelle del Burkina Faso, del Mali, del Niger e del Mozambico. La crisi umanitaria che le colpisce è causata principalmente dai conflitti armati e dalla piaga del terrorismo ed è aggravata dagli effetti devastanti del cambiamento climatico, che provocano la perdita di vite umane e lo sfollamento di milioni di persone. Penso pure alle popolazioni dei Paesi del Corno d’Africa per le quali imploro i doni della pace, della concordia e della fratellanza. Il figlio dell’Altissimo - ha detto Papa Francesco - sostenga gli impegni della comunità internazionale nel favorire l’accesso agli aiuti umanitari per la popolazione civile del Sudan e nell’avviare nuovi negoziati in vista di un cessate il fuoco", dice ancora.
"L’annuncio del Natale rechi conforto agli abitanti del Myanmar, che, a causa dei continui scontri armati, patiscono gravi sofferenze e sono costretti a fuggire dalle proprie case. Il Bambino Gesù ispiri le autorità politiche e tutte le persone di buona volontà nel continente americano, affinché si trovino al più presto soluzioni efficaci nella verità e nella giustizia, per promuovere l’armonia sociale, in particolare penso ad Haiti, in Venezuela, Colombia e Nicaragua, e ci si adoperi, specialmente in quest’Anno giubilare, per edificare il bene comune e riscoprire la dignità di ogni persona, superando le divisioni politiche. Il Giubileo - continua - sia l’occasione per abbattere tutti i muri di separazione: quelli ideologici, che tante volte segnano la vita politica, e anche quelli fisici, come la divisione che interessa da ormai cinquant’anni l’isola di Cipro e che ne ha lacerato il tessuto umano e sociale. Auspico che si possa giungere a una soluzione condivisa, una soluzione che ponga fine alla divisione nel pieno rispetto dei diritti e della dignità di tutte le comunità cipriote", afferma.
"Gesù, il Verbo eterno di Dio fatto uomo, è la Porta spalancata che siamo invitati ad attraversare per riscoprire il senso della nostra esistenza e la sacralità di ogni vita, ogni vita è sacra, e per recuperare i valori fondanti della famiglia umana. Egli ci attende sulla soglia. Attende ciascuno di noi, specialmente i più fragili: attende i bambini, tutti i bambini che soffrono per la guerra e la fame; attende gli anziani, i nostri antenati, costretti spesso a vivere in condizioni di solitudine e abbandono; attende quanti hanno perso la propria casa o fuggono dalla propria terra, nel tentativo di trovare un rifugio sicuro; attende quanti hanno perso o non trovano un lavoro; attende i carcerati che, nonostante tutto, rimangono sempre figli di Dio; attende quanti sono perseguitati per la propria fede, e sono tanti. In questo giorno di festa, non manchi la nostra gratitudine verso chi si prodiga per il bene in modo silenzioso e fedele: penso ai genitori, agli educatori e agli insegnanti, che hanno la grande responsabilità di formare le generazioni future; penso agli operatori sanitari, alle forze dell’ordine, a quanti sono impegnati in opere di carità, specialmente ai missionari sparsi nel mondo, che portano luce e conforto a tante persone in difficoltà. A tutti loro vogliamo dire grazie! Fratelli e sorelle, il Giubileo sia l’occasione per rimettere i debiti, specialmente quelli che gravano sui paesi più poveri. Ciascuno è chiamato a perdonare le offese ricevute, perché il Figlio di Dio, che è nato nel freddo e nel buio della notte, rimette ogni nostro debito. Egli è venuto per guarirci e perdonarci. Pellegrini di speranza, andiamogli incontro! Apriamogli le porte del nostro cuore, come Lui ci ha spalancato la porta del suo Cuore. A tutti auguro un sereno santo Natale", conclude.
Cronaca
Tragedia nel cielo kazako: una scia di dolore e domande...
Ci sono notizie che ti lasciano senza parole, ti prendono allo stomaco e ti tolgono il respiro. Ti fermi, anche se non vuoi, anche se è Natale e tutto dovrebbe essere luci, risate, calore. Stamattina è arrivata una di quelle. Un aereo, un Embraer 190 della Azerbaijan Airlines, partito da Baku e diretto a Grozny, si è schiantato vicino ad Aktau, sul Mar Caspio. Sessantasette persone. Sessantasette vite. E la mente vola subito lì, tra quei posti a sedere, tra quelle facce sconosciute. Chi erano? Stavano tornando a casa? O forse stavano andando verso qualcosa di nuovo? Forse ridevano, forse dormivano. E ora? Ora è solo silenzio. Uno di quei silenzi che pesa troppo, che non sai come sopportare.
Poi leggi i dettagli e ti si stringe ancora di più il cuore. Alle 8:35, l’aereo manda un segnale di emergenza: qualcosa nel sistema di controllo non funziona. Un guasto. Un errore. Chissà. Pochi minuti dopo, scompare dai radar. E alle 9:30 arriva la conferma che nessuno voleva. Lo schianto. Fuoco, fumo, soccorsi che arrivano di corsa. I racconti delle autorità kazake sono come un film che non vorresti vedere: sirene, vigili del fuoco, il fumo nero che sale alto. Un aereo distrutto. E quelle vite, quelle storie, tutto in cenere.
Vite spezzate, speranze residue
I numeri, in questi casi, hanno un peso che schiaccia. Si contano 42 vittime. Quarantadue vite interrotte in un modo che nessuno merita. Tra i 25 sopravvissuti, 22 sono stati ricoverati in ospedale. Alcuni di loro combattono ancora tra la vita e la morte. E intanto, immaginiamo il caos: le ambulanze che sfrecciano, i medici che fanno l’impossibile, i familiari che aspettano con il cuore in gola una telefonata, una speranza. Sul luogo dell’incidente, circa 150 vigili del fuoco hanno lottato per ore contro le fiamme. Ma il fuoco non è solo una sfida fisica. È anche simbolico, è il dolore che consuma chi resta.
Cause ancora incerte
Le prime ipotesi parlano di un bird strike, una collisione con uno stormo di uccelli. Una fatalità rara, ma non impossibile. I motori di un aereo non sono invincibili. Le autorità stanno già analizzando i dati di volo e se saranno recuperate, le scatole nere. Ma qui entra in gioco anche un altro elemento: l’umanità. Perché non è solo una questione tecnica. Dietro ogni analisi, ogni indagine, ci sono persone che cercano risposte, che vogliono sapere cosa è andato storto.
Azerbaijan Airlines non ha perso tempo. La compagnia ha sospeso temporaneamente tutti i voli degli Embraer 190, una misura che è insieme pratica e simbolica. Anche il governo azero ha reagito proclamando una giornata di lutto nazionale. Eppure, non basta. La sicurezza nei cieli è una promessa che si rinnova ogni volta che saliamo a bordo di un aereo. E ogni incidente come questo è un monito: c’è ancora tanto da fare.
Il peso della memoria
Certe storie fanno male solo a leggerle. E non è nemmeno la prima volta che succede, che il Kazakistan diventi lo sfondo di una tragedia nei cieli. Ti ricordi di quel Fokker 100 della Bek Air? Era il dicembre del 2019. Pochi secondi dopo il decollo da Almaty, tutto si è fermato. Vite perse, famiglie distrutte. E ora, eccoci di nuovo qui, cinque anni dopo, con un altro capitolo di dolore che si scrive su queste rotte maledette. Fa rabbia, vero? Perché queste cose non dovrebbero succedere più. Eppure eccoci qui, ancora una volta a domandarci: perché?
Ma cosa resta, dopo tutto questo? Resta quel vuoto che non puoi riempire, quella sensazione di impotenza che ti schiaccia il petto. E quella domanda, scomoda, che non ti lascia in pace: cosa possiamo fare per cambiare tutto questo? Le autorità stanno scavando, cercando risposte. E noi? Noi possiamo solo sperare che un giorno, non troppo lontano, non ci sia più bisogno di raccontare queste storie. Che i cieli diventino davvero sicuri, per tutti. Ma oggi è dura. Perché oggi abbiamo davanti agli occhi solo macerie, dolore e quella fragilità umana che non smette mai di ricordarci quanto sia preziosa la vita.
Oggi, però, siamo qui. A fare i conti con il dolore, con le immagini di un aereo distrutto, con le vite spezzate. E in fondo, con la fragilità della nostra stessa esistenza.