Omicidio Piersanti Mattarella, nuova inchiesta: possibile svolta sul caso?
Gli inquirenti non confermano, la famiglia mantiene il riserbo. Nelle sentenze emersa la politica di rinnovamento del Presidente della Regione siciliana 'dalle carte in regola'
Alla vigilia del 45esimo anniversario dell'omicidio dell'ex Presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella ci potrebbe essere una svolta nell'inchiesta. La Procura di Palermo, come scrive oggi Repubblica, avrebbe iscritto nel registro degli indagati due persone indicate come i sicari del politico democristiano ucciso sotto la sua abitazione il 6 gennaio del 1980, sotto gli occhi della moglie e dei due figli. Anche se gli inquirenti, interpellati dall'Adnkronos, non confermano. Mentre la famiglia, che sulle vicende giudiziarie e sulle indagini, ha sempre mantenuto il massimo riserbo, continua su questa linea e preferisce non commentare le ultime novità.
Un politico, Piersanti Mattarella, fratello del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che alla fine degli anni Settanta aveva provato ad attuare una politica di rinnovamento, lasciando fuori dai palazzi gli intrecci con la mafia.
Le sentenze: cosa dicevano i giudici
Proprio come scrivevano i giudici nelle sentenze che si sono susseguite negli anni nei processi sugli omicidi politici. L’attività dell'ex presidente della Regione siciliana, Piersanti Mattarella, "appariva assai pericolosa", "in quanto ispirata a una genuina politica di rinnovamento, anche in virtù del controllo che aveva cominciato ad esercitare nei confronti del Comune" di Palermo.
"Fra le iniziative più innovative e rischiose adottate da Piersanti Mattarella vi era stata l’acquisizione dell’elenco dei funzionari regionali nominati collaudatori di opere pubbliche, che gli consentiva di verificare quali gruppi controllassero la materia dei pubblici appalti e di intervenire di conseguenza nel modo più efficace al fine di renderli trasparenti", si legge nella sentenza sulla strage di Bologna, nel capitolo relativo all'omicidio del Presidente "dalle carte in regola".
E ancora: con l’avvento di Piersanti Mattarella alla presidenza della Regione siciliana, "per la prima volta gli interessi affaristico-mafiosi, che col tempo si erano consolidati in seno al potere politico in sede comunale e regionale, erano stati messi in discussione (ed erano a rischio), e proprio ad opera di un esponente della Democrazia Cristiana, il partito che fino ad allora aveva detenuto il potere in Sicilia in forma indiscussa e aveva assicurato alla mafia, in un regime di sostanziale egemonia, la gestione di tutti i più importanti affari della vita economica siciliana, a cominciare dagli appalti delle opere pubbliche". In questo contesto, "la assoluta indisponibilità di Mattarella a qualsiasi tipo di compromesso poneva a repentaglio quegli equilibri tra le amministrazioni pubbliche e gli interessi mafiosi che attraverso altri soggetti era stato ormai da tempo possibile creare e mantenere".
L'omicidio
Era la mattina del 6 gennaio 1980, quando l’onorevole Piersanti Mattarella, presidente della Regione Siciliana, in occasione dell'Epifania, uscì di casa con la famiglia per recarsi a messa. Come d’abitudine, ogni volta che usciva per ragioni di carattere privato, non aveva (in quanto non voleva) la scorta. Alle 12.45, insieme al figlio Bernardo, di vent’anni, scendeva nel garage della propria abitazione, posto in fondo a uno scivolo che dava su via Libertà, distante da casa circa quindici metri, per prelevare la propria auto Fiat 132. In retromarcia si portava sul passo carraio per far salire la moglie Irma Chiazzese sul sedile anteriore e la suocera sui sedili posteriori. Il figlio stava chiudendo le porte del garage e del cancello che dallo scivolo immetteva sulla pubblica via.
"All’improvviso un giovane dell’età apparente di 20-25 anni, che indossava un piumino azzurro o blu ed era a volto scoperto, si accostava al lato sinistro della vettura e, dopo avere invano tentato di aprire la portiera anteriore, esplodeva alcuni colpi d’arma da fuoco contro l’on. Mattarella, che, seduto alla guida, si accasciava verso destra e veniva parzialmente coperto dalla moglie, che si era piegata su di lui poggiandogli le mani sul capo al fine di fargli da scudo", si legge nelle carte. "Il giovane si dirigeva verso una Fiat 127 bianca sulla quale si trovava un complice armato, con il quale parlava in modo concitato e dal quale riceveva un’altra arma, indi tornava a sparare sull’on. Mattarella dal finestrino posteriore destro della Fiat 132- si legge ancora con il freddo linguaggio burocratico - I due assassini si davano quindi alla fuga e la Fiat 127 veniva ritrovata alle successive ore 14:00, distante poche centinaia di metri dal luogo del delitto. Risultava rubata verso le ore 19:30 del giorno precedente".
Per l’omicidio fu usato, per primo, un revolver calibro 38, la cui rigatura era basata su otto righe destrorse (di possibile provenienza americana o tedesca o spagnola), e per secondo un revolver cal. 38 Special Colt, con sei impronte di rigatura sinistrorse. Come dà atto anche la sentenza di primo grado sugli omicidi politici, Mattarella era "riuscito inoltre a far varare la legge sulla programmazione regionale della spesa pubblica, attraverso la quale poteva razionalizzare e rendere costanti, ancorandoli a criteri oggettivi e di carattere generale, i vari flussi di spesa". "Tutto questo (e altro), se da un lato impediva arbitrarie attribuzioni di spesa, dall’altro andava a ledere interessi consolidati in seno alla mafia e al contesto che intorno ad essa gravitava- si legge -Posto che l’eliminazione di Mattarella era nell’interesse comune di tutte le famiglie mafiose a causa della politica che egli perseguiva, di rinnovata trasparenza nell’assegnazione degli appalti".
Negli anni, dopo l'assoluzione di Gilberto Cavallini e Valerio 'Giusva' Fioravanti, era stato fatto da alcuni collaboratori di giustizia anche il nome di un boss mafioso, Nino Madonia. Oggi ergastolano.
Il collaborante Francesco Di Carlo, sentito in sede di riapertura dell’istruzione dibattimentale, ha rivelato di avere appreso da Bernardo Brusca "che il killer che aveva esploso i colpi di arma da fuoco all’indirizzo del Mattarella si identificava nella persona di Nino Madonia… Non bisogna dimenticare che tutti i collaboranti che hanno reso dichiarazioni sugli esecutori materiali del delitto sono concordi nell’indicare il Nino Madonia come uno dei killer del Presidente della Regione siciliana. Ma quel che è più rilevante è il fatto che il Di Carlo ha riferito di avere, vedendo la fotografia sui giornali di Valerio Fioravanti, commentato con lo stesso Brusca il fatto, rilevando come il Nino Madonia somigliasse moltissimo al terrorista nero", dice la sentenza.
E oggi, a distanza di 45 anni dal terribile omicidio, si potrebbe essere a una svolta. Anche se il condizionale è d'obbligo. (di Elvira Terranova)
Cronaca
Milano, palazzo a Corsico avvolto dalle fiamme: condomini...
I condomini sono riusciti a uscire in tempo prima che ci fosse il collassamento del tetto. Alcuni sono dovuti ricorrere alle cure mediche dei sanitari a scopo precauzionale
Un incendio, a quanto si apprende ora sotto controllo e circoscritto, ha colpito intorno alle 18 il sottotetto di un edificio nel comune di Corsico in via Vincenzo Monti 38, a Milano. Le fiamme hanno invaso tutta la struttura soprastante avvolgendola nel giro di pochissimi minuti.
I condomini sono riusciti a uscire in tempo prima che ci fosse il collassamento del tetto. Non si registrano feriti o intossicati anche se alcuni occupanti sono dovuti ricorrere alle cure mediche dei sanitari a scopo precauzionale. Sul posto quattro mezzi del Comando di Milano. I Vigili del fuoco sono al lavoro per mettere in sicurezza l'area. Il palazzo è stato interamente evacuato.
Cronaca
Acca Larenzia, 47 anni dopo saluti romani e...
Militanti di destra si sono riuniti nel piazzale antistante la ex sezione per il consueto rituale. Questura: "In corso visione dei filmati per identificare responsabili di condotte apologetiche del fascismo"
Braccia tese e il rituale del ‘presente’. A 47 anni dai tragici fatti di via Acca Larenzia i militanti di destra tornano a commemorare quanto avvenuto il 7 gennaio 1978 quando davanti alla ex storica sezione del Msi furono uccisi da un commando di estrema sinistra due giovani attivisti del Fronte della Gioventù, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta mentre un terzo militante, Stefano Recchioni perse la vita dopo essere stato raggiunto da un colpo di pistola negli scontri scoppiati durante una manifestazione di protesta organizzata nelle ore immediatamente successive sul luogo stesso dell'agguato.
Militanti di destra si sono riuniti nel piazzale antistante la ex sezione per il consueto rituale: i militanti urlano, diversi con il braccio destro alzato, tre volte 'presente' in risposta a una voce che grida 'per tutti i camerati caduti'.
Per ragioni di sicurezza tv e telecamere sono state tenute a distanza dal piazzale in cui i militanti si radunano. A pochi passi, all’inizio di via Evandro, dopo le polemiche dei giorni scorsi, è ricomparsa una targa a Stefano Recchioni che recita: “Chi si è sacrificato nei valori eterni della tradizione è esempio immortale nella rivoluzione” firmato “i camerati”. Rose sono state lasciate accanto a dei lumini accesi, e a un manifesto che commemora i “figli d’Italia, una strage di 47 anni fa”.
“Per me se dicessero ‘andiamo alla commemorazione senza il saluto romano’ sarebbe la stessa cosa. L’importante è commemorare tre ragazzini di 18-20 anni uccisi nell’ambito di un periodo storico di cui si parla poco”, afferma ai cronisti un uomo lasciando via Acca Larenzia. “Qui si viene con lo spirito di ricordare tre ragazzi morti, vittime di anni di violenza dove ci sono state stragi e omicidi da una parte e dall’altra - sottolinea -. Mi rendo conto che il come vengono ricordati può disturbare molte persone, ma bisognerebbe concentrarsi sul ricordo e su quello che è successo, non sulle modalità del ricordo”.
“È il saluto che facevano gli antichi romani, il fascismo lo ha ripreso ritenendolo una tradizione italiana. Ma non bisogna, secondo me, essere fascisti per salutare romanamente. Erano tutti e tre amici miei e quando ci penso mi commuovo: erano bravissimi ragazzi, uccisi barbaramente”, afferma un altro sostenendo di conoscere i tre giovani morti 47 anni fa.
Questura: "In corso identificazioni"
Intanto la Digos è al lavoro per identificare quanti - "la maggior parte degli astanti", si specifica in una nota - si "sono resi responsabili di condotte apologetiche del fascismo" effettuando il saluto romano.
"Si è svolta nel pomeriggio odierno la manifestazione che ha commemorato i 47 anni dell’eccidio di Acca Larentia, in cui persero la vita Bigonzetti Franco, Ciavatta Francesco e Recchioni Stefano, appartenenti al Movimento Sociale Italiano, a cui hanno partecipato militanti provenienti da tutta Italia. Nel corso della commemorazione, organizzata da Casapound, a cui hanno partecipato circa 1300 persone, è stato chiamato il “presente” ed è stato effettuato il saluto romano dalla maggior parte degli astanti. È già in corso, da parte degli agenti della Digos capitolina, la visione dei filmati della manifestazione al fine di identificare coloro che si sono resi responsabili di condotte apologetiche del fascismo", fa sapere la Questura di Roma.
Rampelli: "Condividere questa memoria senza ipocrisie"
"È giunta l'ora di condividere questa memoria, senza ipocrisie. Memoria comune che se non può più poggiarsi sulle sentenze dei tribunali deve fondarsi sulla verità storica. E a questa si può ancora giungere attraverso una commissione parlamentare d'inchiesta che accerti le responsabilità di chi ha messo in mano a ragazzi di 18-20 anni armi da guerra, mitragliette, esplosivi determinando una vera guerra civile strisciante. Non ci sono troppe speranze di riaprire i processi, ma capire se c'è stata una mano che ha mosso i fili della strategia della tensione sì, è possibile. Fare luce sarà il modo per risarcire chi ha sofferto". È quanto scrive sul Messaggero il vicepresidente della Camera dei deputati Fabio Rampelli di Fratelli d'Italia, primo firmatario della proposta di legge di istituzione di una commissione d'inchiesta sulla violenza politica tra gli anni '70 e '80.
Cronaca
Corpo carbonizzato nell’auto in fiamme, scatta...
La scoperta dei carabinieri dopo che i vigili hanno domato l'incendio. La vittima potrebbe essere un 51enne del luogo
Un corpo carbonizzato all'interno di un'auto avvolta dalle fiamme. E' questa la macabra scoperta che, intorno alle 3 del mattino di oggi, hanno fatto i Carabinieri della Compagnia di Riccione, intervenuti in Valconca dopo una chiamata al 112 che segnalava la presenza di una macchina in fiamme parcheggiata in strada.
Una volta spento l'incendio dai Vigili del Fuoco di Rimini, all’interno del veicolo i militari hanno infatti trovato un corpo carbonizzato sul sedile anteriore lato guida dell’auto. Attraverso la targa, i Carabinieri sono risaliti all’identità della proprietaria del veicolo e quindi al presunto utilizzatore, che parrebbe essere l’ex marito della stessa.
La ricostruzione
Da una prima ricostruzione dei fatti, anche attraverso l’analisi dei video delle telecamere di sorveglianza in zona, sarebbe da escludere l’intervento di terzi nell’innesco del rogo.
Sono tuttora in corso approfondimenti per chiarire l’esatta dinamica di quanto accaduto, al fine di verificare se le fiamme siano divampate accidentalmente oppure se la vittima, ritenuta verosimilmente un 51enne del luogo, abbia deliberatamente appiccato il fuoco e nell’eventualità, individuare le motivazioni del gesto.
La Procura della Repubblica di Rimini ha disposto l’esame autoptico da parte del medico legale nonché l’esame del Dna per riscontrare con assoluta certezza l’identità della vittima.