Si tratta di suor Simona Brambilla, una religiosa delle Missionarie della Consolata, che è stata anche missionaria in Mozambico
Il Papa lo aveva annunciato e ora ha realizzato un suo progetto: ha nominato una donna a capo di un Dicastero. Nel dettaglio, Bergoglio ha nominato Prefetto del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica suor Simona Brambilla, M.C., finora Segretario della stessa Istituzione curiale.
Il Pontefice, informa ancora il Vaticano, ha nominato Pro-Prefetto del Dicastero il card. Ángel Fernández Artime, già Rettore Maggiore della Società Salesiana di S. Giovanni Bosco.
Chi è suor Simona Brambilla
Il Pontefice ha scelto una religiosa delle Missionarie della Consolata alla guida del dicastero per gli Istituti di vita consacrata. Suor Brambilla compirà 60 anni il 27 marzo prossimo ed è superiora generale in Italia delle Missionarie della Consolata. Suor Simona Brambilla, primo prefetto donna in Vaticano, ha un’esperienza missionaria in Mozambico dopo aver conseguito il diploma di infermiera professionale ed essere entrata nell’Istituto Suore Missionarie della Consolata, che ha guidato dal 2011 fino al 2023.
Secondo i dati complessivi riferiti sia alla Santa Sede che alla Città dello Stato del Vaticano e che vanno dal 2013 al 2023, la percentuale femminile, riportano i media vaticani, sarebbe “passata da quasi il 19,2 al 23,4 per cento. Un cammino tracciato con la Costituzione apostolica Praedicate Evangelium del 2022, Francesco ha reso possibile che in futuro anche i laici, e quindi anche donne, possano dirigere un dicastero e diventare prefetti, incarico che in precedenza era riservato a cardinali e arcivescovi”.
Nello Stato della Città del Vaticano, Papa Francesco ha nominato due donne in posizioni di vertice nei dieci anni del suo pontificato: nel 2016, Barbara Jatta, direttore dei Musei Vaticani, da sempre guidati da laici. Risale al 2022, la nomina di suor Raffaella Petrini, segretario generale del Governatorato, ruolo solitamente assegnato a un vescovo.
Cronaca
Caso Ramy, procura Milano valuta omicidio volontario per...
L'ipotesi dopo aver attentamente valutato il video dell'inseguimento, lungo otto chilometri, nel quartiere Corvetto
La procura di Milano valuta di poter contestare l'ipotesi di omicidio volontario con dolo eventuale per l'incidente che è costato la vita a Ramy Elgaml, morto la notte del 24 novembre scorso, in via Quaranta all’angolo con via Ripamonti, nel quartiere Corvetto, mentre veniva inseguito da tre auto dei carabinieri. Un'ipotesi che arriva dopo aver attentamente valutato il video dell'inseguimento, lungo otto chilometri e a tratti contromano, le cui immagini sono state diffuse ieri al Tg3.
Al momento sono tre i carabinieri indagati, sui sei intervenuti: il vicebrigadiere alla guida è indagato per omicidio stradale, altri due militari invece sono indagati per falso e depistaggio.
Si tratta, al momento, di un'ipotesi di scuola. La gazzella che sperona lo scooter, l'incitamento dei militari via radio a 'stringere' il mezzo a due ruote guidato da Fares Bouzidi, ventiduenne amico della vittima, e gli ultimi metri in cui auto dei carabinieri e il T Max viaggiano allineati prima di abbattere un semaforo e fermarsi potrebbero far scattare l'ipotesi di omicidio volontario con dolo eventuale. La fattispecie sussiste quando chi agisce, pur di realizzare un determinato risultato, accetta che le conseguenze della sua condotta possano produrre (anche) un altro e diverso risultato non direttamente voluto.
I video delle telecamere, tra cui una installata su una gazzella, i messaggi audio che si scambiano i militari potrebbero dunque aggravare la posizione, di tutti o di alcuni, degli uomini dell'Arma intervenuti la notte del 24 novembre.
L'inchiesta, coordinata dal procuratore Marcello Viola e dai pm Marco Cirigliano e Giancarla Serafini, potrebbe dunque vedere - a stretto giro - un aumento del numero degli indagati e delle accuse. In tutto sono quattro gli indagati per l'incidente: il ventiduenne e il carabiniere rispettivamente alla guida dello scooter e della gazzella devono rispondere di omicidio stradale, altri due militari invece sono indagati per favoreggiamento e depistaggio per aver fatto cancellare un video, girato con il cellulare, a un testimone nella fase finale dello scontro.
Le reazioni
Il video delle telecamere di videosorveglianza dell'incidente, che ha portato alla morte, lo scorso 24 novembre nel quartiere Corvetto di Milano, del giovane, ha suscitato un'ondata di polemiche. Anche perché, nel servizio, oltre all’incidente e all'impatto, si sentono alcune frasi dei carabinieri.
In una lettera inviata al comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, Salvatore Luongo, Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, è perentoria: "C’è chi non merita di indossare la divisa". “Oggi ho visto le terribili immagini trasmesse dal tg che documentano gli ultimi istanti della folle corsa dello scooter da lui condotto verso la morte. Di fronte ad esse io non posso e non voglio trarre sentenza perché ritengo che questo sia compito della Magistratura e certo non mio. Lo lascio fare ad altri che, pur essendo Ministri della Repubblica, cedono alle lusinghe di una facile ed ‘ignorante’ propaganda - scrive la senatrice di Avs - Io Le chiedo scusa se mi permetto, ma, come cittadina, Le chiedo la sospensione e conseguente destituzione dei carabinieri che hanno messo negli atti ufficiali una ricostruzione dell’accaduto che mi pare proprio incompatibile con quanto documentato dalle immagini”, scrive la senatrice di Avs.
Gli fa eco il vicecapogruppo di Avs alla Camera, Marco Grimaldi che parla di "frasi shock negli audio della dashcam delle gazzelle dei carabinieri che inseguivano Ramy Elgaml. Scene che ricordano le pagine più buie della cronaca statunitense. Con la famiglia di Ramy, chiediamo verità e giustizia sulla morte insensata di un ragazzino diciannovenne, siamo certi che anche il ministro della Difesa Crosetto non sottovaluti la gravità dell’episodio, aspettiamo una sua presa di posizione".
"Non possiamo restare in silenzio davanti alle inquietanti immagini e alle parole degli agenti durante l’inseguimento di Milano al temine del quale ha perso la vita Ramy Elgam. Bisogna fare piena luce su questi fatti per far emergere eventuali abusi che nulla hanno a che vedere con la giustizia e la sicurezza dei cittadini. Soprattutto va condannato il clima securitario avvelenato da anni di propaganda che divide e criminalizza, che spinge le forze dell’ordine a inseguire due ragazzini come fossero latitanti mafiosi, fino a speronarli", scrive sui suoi canali social il segretario di +Europa, Riccardo Magi.
Dalla maggioranza prende posizione Riccardo De Corato, deputato di Fratelli d’Italia e vice presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera. "Il fatto che un giovanissimo ragazzo perda la vita è sempre un dispiacere. In questo caso, però, ricordo che la morte è avvenuta dopo che i due ragazzi sul T-max hanno forzato un posto di blocco delle Forze dell’Ordine e, peraltro, Ramy, nel momento della caduta era pure senza casco! L’Arma, quindi, ha fatto il proprio encomiabile dovere nei confronti di chi non rispetta la legge, come in questo caso, dove non è stato rispettato un alt da parte dei Carabinieri".
Parla invece di "linciaggio mediatico indecente" Silvia Sardone, eurodeputata e consigliere comunale della Lega. "È partita l'ennesima ondata di accuse, sostenute dalla sinistra e da alcuni commentatori, che parlano di omicidio volontario, speronamento, intenzione di causare la caduta. Il nuovo video dimostra che nella fase finale dell'inseguimento non c'è stato alcun speronamento, come già confermato dall'analisi della Polizia Locale. Quanto alle frasi sentite nell'audio, è evidente che derivano dalla tensione di un'operazione complessa e pericolosa nelle strade di Milano", scrive in una nota.
Cronaca
Liberazione Sala, la psicologa: “Ora rielaborare...
Fernandez, presidente Emdr 'l’esperienza non è terminata per la mente, con un aiuto percorso più veloce ed efficace'
"È stata sicuramente un’esperienza molto intensa dal punto di vista emotivo e psico-fisico perché possiamo solo immaginare le condizioni infernali del carcere in cui era prigioniera. La sua mente avrà bisogno di smaltire, elaborare, dare un senso a questa esperienza così pesante anche dal punto di vista emotivo". Così Isabel Fernandez, psicologa e psicoterapeuta, presidente dell'Associazione italiana di Emdr, Eye movement desensitization and reprocessing, ossia Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari, all’Adnkronos Salute riflette su quello che attende Cecilia Sala, la giornalista liberata oggi dopo 20 giorni di detenzione nel carcere iraniano di Evin a Teheran. "Adesso lei avrà moltissimi supporti dalla famiglia, dagli amici, anche dalle Istituzioni - continua Fernandez - Tutto questo sarà molto importante, ma non basterà a sentirsi al sicuro perché anche se l’esperienza traumatica è terminata, per la mente non lo è. Ora si deve concedere del tempo per chiudere questo capitolo", meglio se con un aiuto qualificato.
Alla prima fase "di eccitazione intensa dal punto di vista emotivo per la liberazione - spiega l’esperta - seguiranno momenti di down", di sconforto. "La cosa importante è avere un aiuto, anche breve, ma mirato, in modo che tutto il vissuto dell’esperienza non resti come un fattore di rischio per il futuro". La giornalista infatti "deve affrontare lo stress post traumatico: si chiude l’esperienza, ma resta lo stress. In questi casi, l’approccio Emdr si è rivelato essere tra i più efficaci, tanto che è raccomandato dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità per la gestione dello stress che rimane dopo un trauma".
Nel dettaglio, "potrebbe ancora rivivere, per settimane o mesi, delle immagini, degli incubi o provare ansia in presenza di particolari situazioni. Queste sono reazioni normali dopo un'esperienza di questo tipo - chiarisce Fernandez - Nel contesto detentivo avrà vissuto una sensazione di impotenza, di vulnerabilità e di pericolo di vita. Si sarà probabilmente posta la possibilità di non potercela fare. Tutte queste sensazioni rimangono e la mente continua a riproporle. Sarebbe importante che concedesse un po’ di tempo al cervello per rielaborare quanto vissuto, dargli un senso. Con l’aiuto di un professionista potrebbe ridurre i tempi e ottimizzare il percorso. Certo, è un processo che una persona può fare anche da sola - osserva - dipende da quanto è stata intensa la sua sensazione di pericolo, di vulnerabilità, in particolare di pericolo di vita. Più si è detta ‘passerà’, più ha avuto questa sensazione, più è facilitata nel recupero".
Nelle situazioni traumatiche, "le persone devono trovare delle risorse - sottolinea la psicoterapeuta - Quando si è in pericolo di vita, è fondamentale pensare alle risorse positive che sono state d’aiuto in precedenti situazioni traumatiche. Tutti abbiamo un dialogo interiore in cui ci diciamo delle cose - rimarca Fernandez - Più siamo catastrofici e in allarme e più peggioriamo la situazione. La cosa migliore, quando si è in pericolo, è parlarsi con calma e trovare le risorse utilizzate in altri momenti o pensare alle persone che ci sono state di supporto. La fede può essere d’aiuto perché dà il senso di avere qualcuno che ci protegge, che ci salva. Bisogna evitare i pensieri catastrofici e cercare di rafforzare le capacità, le risorse positive, le figure di protezione, con determinazione. Questo - conclude - è molto importante" nell’immediato e nel dopo.
Cronaca
Violenza su donne: firmato protocollo d’intesa tra...
Il ministero dell'Istruzione e del Merito e la Fondazione Giulia Cecchettin hanno siglato un protocollo d'intesa volto a 'educare al rispetto: azioni condivise per prevenire ogni forma di violenza sulle donne attraverso il contrasto a stereotipi e discriminazioni di genere'. "Le Parti, nel quadro delle rispettive competenze e nel rispetto dei principi di autonomia scolastica e delle scelte delle singole istituzioni scolastiche, - si legge nel documento - intendono avviare una collaborazione volta alla definizione di progettualità per supportare le studentesse e studenti delle scuole di ogni ordine e grado: ad affermare la cultura del rispetto verso ogni persona e, in particolare, del rispetto verso le donne; ad affrontare e superare le criticità nelle relazioni di genere, sia nel contesto scolastico che in quello esterno; a contrastare ogni forma di violenza di genere, in particolare quella maschile sulle donne; a valorizzare relazioni paritarie e promuovere la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo e non violento; a trasmettere il valore del rispetto per ogni essere umano, della vita, della libertà e dell’autodeterminazione.
E ancora "per l’attuazione delle finalità di cui all’articolo 1, le Parti si impegnano a: svolgere, innanzitutto nell’ambito dell’insegnamento dell’educazione civica, attività di sensibilizzazione rivolte a studentesse e studenti delle scuole di ogni ordine e grado sul tema degli stereotipi di genere, delle discriminazioni e delle offese alla dignità delle donne e della gestione non violenta dei conflitti; promuovere, innanzitutto all’interno dell’attuazione delle linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica, percorsi formativi e metodologie didattiche innovative, anche students’ voice based, rivolte al corpo studentesco, nonché corsi di formazione su scala nazionale rivolti al personale docente delle scuole di ogni ordine e grado, anche avvalendosi della collaborazione con organismi ed enti di ricerca (es. le università, Indire), organizzazioni e reti nazionali con comprovata esperienza nell’educazione al rispetto delle differenze, alla cultura della nonviolenza e per il contrasto agli stereotipi; diffondere, presso le scuole, esempi di buone pratiche anche attraverso il ricorso al “peer tutoring” e alla “peer education” nonché alle testimonianze di giovani che hanno affrontato in modo corretto e positivo situazioni relazionali complesse; promuovere e organizzare gruppi di lavoro/discussione tra studentesse e studenti, con il coinvolgimento di docenti e l’eventuale supporto di organismi scientifici o professionali, dedicati al confronto e alla riflessione sui temi oggetto del presente Protocollo".
"Per il coordinamento e il monitoraggio delle iniziative oggetto del presente Protocollo, è costituito, con provvedimento della direzione generale per lo studente, l’inclusione, l’orientamento e il contrasto alla dispersione scolastica del Mim, un Comitato paritetico, composto da due rappresentanti per ciascuna delle Parti e coordinato dal rappresentante del Mim. Il Comitato potrà valutare e proporre ulteriori progettualità e iniziative, sulla base di specifiche esigenze presenti in contesti di maggiore vulnerabilità sociale. Per la partecipazione ai lavori del Comitato non sono previsti compensi, emolumenti, indennità, gettoni di presenza, rimborsi spese o altre utilità, comunque, denominate".