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Charlie Hebdo a 10 anni dalla strage: “Non ci hanno ucciso”

Il 7 gennaio edizione speciale di 32 pagine. Imam Chalghoumi all'Adnkronos: "Sono e rimarrò sempre Charlie, la paura ci paralizza"

Lo slogan 'Je suis Charlie' (Fotogramma/Ipa)

''Non hanno ucciso Charlie Hebdo''. Questo il messaggio dell'edizione speciale di 32 pagine che sarà in edicola, per due settimane, a partire da martedì 7 gennaio, a dieci anni dalla strage costata la vita a 12 persone nella redazione parigina della rivista satirica francese e rivendicata dall'Aqap, al-Qaeda nella Penisola Arabica. Quando i fratelli franco-algerini Chérif e Said Kouachi, 32 e 34 anni, spararono con i loro kalashnikov all'impazzata mentre era in corso la riunione di redazione, uccidendo ''12 giornalisti che avevano preso in giro l'Islam per vendicare il Profeta'' Maometto, come sostenne l'Isis, lo Stato islamico, che li definì due ''eroi jihadisti''.

I loro nomi erano nella "no fly list" americana, la lista nera in cui sono inseriti i sospetti terroristi a cui gli Stati Uniti vietano l'ingresso nel proprio territorio. Il minore dei due fratelli, Cherif, era stato in Siria, condannato a metà degli anni 2000 per crimini collegati al terrorismo, ulteriormente radicalizzato in carcere. I due erano sotto sorveglianza dell'intelligence francese fino al luglio del 2014, poi non più perché considerati ''a basso rischio''.

Uscendo della redazione, la mattina del 7 gennaio 2015, i due urlarono ''Abbiamo ucciso Charlie Hebdo!''. Furono poi uccisi loro, dalle teste di cuoio francesi in un blitz nel paesino di Dammartin en Goele, una cinquantina di chilometri a nord est da Parigi, dove si erano asserragliati in una tipografia tenendo in ostaggio il titolare. A 10 anni da allora, nonostante il trasferimento della sede della rivista in un luogo segreto e altamente protetto, il caporedattore della rivista, Gerard Biard, afferma che no, "non hanno ucciso Charlie Hebdo" e "noi vogliamo che duri mille anni". Fondato nel 1970 sulle ceneri della rivista Hara-Kiri, anarchico e anticlericale, Charlie Hebdo è stato oggetto di minacce jihadiste dopo la pubblicazione delle caricature del profeta Maometto nel 2006.

A perdere la vita durante l'assalto sono stati il direttore della rivista Stephane Charbonnier e i vignettisti Cabu, Honoré, Tignous e Georges Wolinski, la psichiatra e psicoanalista Elsa Cayat, l'economista e consigliere della Banca di Francia Bernard Maris e il correttore di bozze Mustapha Ourrad. Lo scorso ottobre 2024 è morto a 40 anni Simon Fieschi, il primo a essere colpito dai fratelli jihadisti e rimasto gravemente ferito alla colonna vertebrale. A quasi un mese dall'attacco, il 31 gennaio 2015, è stato invece ucciso nel raid di un drone americano sullo Yemen l'imam Harith al-Nazari, leader spirituale di al-Qaeda nella Penisola araba, tra i primi a rivendicare a nome di al-Qaeda, con un file audio, l'attacco contro la sede della rivista satirica.

Charlie Hebdo, uscito una settimana dopo l'attacco il 14 gennaio con una tiratura di 7 milioni di copie e in 16 lingue, sospese le pubblicazioni fino al 25 febbraio successivo. L'attentato fece emergere una solidarietà mondiale e diede origine al famoso slogan: "Je suis Charlie". L'11 gennaio quattro milioni di persone scesero in piazza in Francia a sostegno della rivista e della libertà di espressione, con numerosi capi di Stato e di governo presenti al corteo a Parigi.

Dieci anni dopo l'attentato

Dieci anni dopo, l'attentato "è una pagina di storia", ma c'è ancora un problema di "comunicazione", ha dichiarato il direttore editoriale di Charlie Hebdo, Riss, che vive ancora sotto scorta della polizia. ''Esiste un prima e un dopo Charlie'', sostiene Laurent Bihl, specialista in satira e docente alla Sorbona. ''La paura è evidente'', afferma in una intervista all'Afp citando la decapitazione, cinque anni dopo nel 2020, del docente di Storia Samuel Paty da parte di un estremista islamico ceceno per aver mostrato in aula una caricatura di Maometto. ''Oggi non è più un inasprimento della legge che porta all'autocensura dei vignettisti. La pressione viene dalla vendetta paventata sui social network e dalla minaccia terroristica, non solo in Francia'', spiega Bihl.

Ma Charlie Hebdo va avanti per la sua strada, non cambia linea come dimostra l'edizione speciale che sarà in edicola martedì e che conterrà vignette e caricature selezionate durante un concorso internazionale che si è concluso a metà dicembre intitolato 'Ridere di Dio'. L'obiettivo è quello di denunciare ''l'influenza di tutte le religioni'' sulla società, come ha spiegato la rivista.

Però dal 2015, dall'attentato a Charlie Hebdo, gli spazi di satira e libera espressione si sono man mano ridotti, invece di aprirsi. Il primo luglio del 2019, ad esempio, il New York Times ha deciso di non pubblicare più vignette satiriche. Restando in Francia, un anno prima, nel giugno del 2018, è stato chiuso Les Guignols de l'info, programma satirico sul canale privato francese Canal+. Eppure, ''la caricatura è un occhio sociale, il suo ruolo è combattere l’indifferenza'', sottolinea lo scrittore Bihl.

''Chi si oppone alle caricature non capisce che la cultura della risata prevede di ridere insieme al prossimo e non di lui'', aggiunge, affermando che ''al contrario la cultura del proibizionismo finisce per denunciare il prossimo in modo anonimo su Internet'', da lui definito ''il nostro inconscio collettivo''. Il docente riflette anche su altro ostacolo alla ''libertà di espressione'', ovvero ''un problema a livello economico, con i media che sono molto ricchi e ai quali non possiamo rispondere da pari a pari. I media satirici sono per la maggior parte molto fragili economicamente e questa è l'altra grande minaccia, prima ancora che terroristica, che grava sulle piccole testate".

Imam Chalghoumi all'Adnkronos: "Sono e rimarrò sempre Charlie, la paura ci paralizza"

''Sono e sarò sempre Charlie''. Così, a dieci anni dall'attentato, l'Imam Chalghoumi riprende il famoso slogan con cui l'opinione pubblica mondiale si schierò a sostegno delle 12 vittime e della libertà di espressione. ''Dieci anni dopo, il ricordo di questa tragedia rimane inciso nei nostri ricordi. Questi eventi, seguiti dagli attentati al Bataclan, a Nizza e altri, hanno traumatizzato profondamente la nostra società'', dice all'Adnkronos l'imam del comune di Drancy, già presidente della conferenza degli imam di Francia.

''E' triste notare che questa violenza ha lasciato parte della nostra società paralizzata dalla paura e dal terrore. E questo ci impedisce di andare avanti. Una società paralizzata non può progredire'', nota l'imam tunisino. Il cui appello è a una ''lotta comune, per proteggere la nostra libertà, i nostri valori e la nostra umanità''.

Promotore del dialogo interreligioso, costretto a vivere sotto scorta perché considerato un ''traditore'' dai fondamentalisti islamici, che lo definiscono ''l'imam degli ebrei'', Chalghoumi ritiene ''fondamentale comprendere che la lotta contro l'estremismo, contro l'islamismo radicale e contro l’odio verso gli altri deve diventare una priorità assoluta per tutti noi''. Naturalizzato francese, il religioso afferma che ''la nostra Repubblica garantisce la libertà di credere o di non credere e tutela i diritti e le libertà di ognuno. Ma va difesa anche contro chi cerca di imporre il terrore''. Insomma, insiste, ''ogni cittadino, in particolare i francesi di fede musulmana, devono prendere coscienza dell'importanza di questa lotta. All'arte dobbiamo rispondere con l'arte, alla critica con la critica, ma mai con la violenza, e ancor meno con il sangue''.

Lui stesso minacciato di morte innumerevoli volte da quando ha condannato la strage di Charlie Hebdo, Chalghoumi ritiene che ''gli attacchi commessi con armi o altri strumenti di terrore hanno un unico obiettivo: seminare paura e dividere la nostra società. Questa è la loro ideologia''. E oggi, ''dieci anni dopo, la lotta al terrorismo è ancora lunga, ma è necessaria. Questo non è solo il ruolo delle istituzioni o delle forze dell’ordine. E' una lotta che riguarda tutti noi: cittadini, educatori, religiosi e leader politici''. Un pensiero particolare viene rivolto al docente di storia decapitato nel 2020 da un estremista ceceno, ''a Samuel Paty, a questi insegnanti, uomini e donne, che sono in prima linea nell'educazione dei nostri figli. L'istruzione deve essere la nostra arma principale contro la radicalizzazione e l'odio''.

Infine, Chalghoumi afferma: ''Dobbiamo denunciare il ruolo dei discorsi vittimistici e conflittuali propagati da organizzazioni come il movimento dei Fratelli Musulmani e altre correnti dell'Islam politico. Queste ideologie hanno seminato odio nei cuori dei giovani nati in Europa, manipolandoli per attaccare i simboli della Repubblica e dell'Occidente. Ecco perché, dieci anni dopo, lo dico con forza: siamo tutti nella stessa lotta, per proteggere la nostra libertà, i nostri valori e la nostra umanità''.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Esteri

Russia, vendite record Gnl in Ue e figlia patron Novatek...

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Russia, vendite record Gnl in Ue e figlia patron Novatek riapre palazzo a Venezia

Ha riaperto a Venezia con abiti nuovi, inclusa una presa di posizione contro "ogni forma di guerra, conflitto e violenza" e in sostegno della libertà di espressione, il palazzo sul canale della Giudecca in cui, fino all'inizio dell'invasione russa dell'Ucraina, aveva sede la V-A-C Foundation, iniziativa dedicata all'arte contemporanea lanciata a Mosca nel 2009 da Leonid Mikhelson, patron della Novatek, principale produttrice di Gas naturale liquefatto in Russia. Lo spazio è passato alla figlia del magnate, Victoria Mikhelson, storica dell'arte, curatrice, e proprietaria del 2,3 per cento delle azioni del gruppo di cui il padre è presidente e azionista di maggioranza. Con il nuovo nome di Scuola Piccola Zattere.

La riapertura al pubblico è avvenuta in coincidenza con la conclusione di un anno record per le vendite del Gnl russo in Europa. I Paesi Ue, con la Francia in prima linea, ne hanno acquistate 16,5 milioni di tonnellate (da inizio gennaio a metà dicembre 2024), contro i 15,18 dello scorso anno e i 15,21 dell'altro anno record, il 2022, secondo dati Kpler.

Mentre l'Europa cerca di liberarsi dalla dipendenza delle fonti di energia in arrivo dalla Russia, aumenta il rifornimento del metano liquido, quindi trasportabile via mare. E la presenza di uno dei principali attori del settore in Russia, anche se per tramite della figlia, non è più tabù a Venezia.

Del picco di importazioni di Gnl russo ha preso atto il nuovo Commissario all'Energia Ue, Dan Jørgensen che ha anticipato una "roadmap tangibile con gli strumenti per risolvere le parti rimanenti della questione". "Essere stati in grado di diminuire la nostra dipendenza al punto in cui siamo arrivati è un risultato importante. Ma è chiaro a tutti che è necessario che accada qualcosa di nuovo perché ora l'andamento sta iniziando ad andare nella direzione sbagliata", ha affermato, in una recente intervista a Politico.

Un intento, il suo, che sarà senz'altro ben accolto da Donald Trump. Il Presidente americano eletto ha già reso nota la sua disponibilità a trattare su possibili dazi anche contro i Paesi alleati se questi aumenteranno le loro importazioni di Gnl 'made in Usa'. Ma rimane un ostacolo: il prodotto caricato nella penisola russa di Yamal ha un costo "significativamente inferiore" a quello americano, come ha spiegato al Financial Times Christoph Halser, analista del settore del gas per Rystad.

L'Unione Europea ha introdotto solo lo scorso giugno le prime sanzioni che colpiscono il settore del Gnl russo, anche se ancora alla lontana, non il prodotto importato per uso interno. Sembra che ancora la partita sia da giocare. Novatek avrebbe anche avviato uno sforzo per ricostruire le relazioni con l'Occidente e in particolare con gli Stati Uniti anticipando la fine della guerra in Ucraina che Trump ha promesso, scriveva Reuters il mese scorso, citando la missione di un alto dirigente della società russa a Washington, per far partire una collaborazione con una società di lobbying americana.

La Novatek, fondata nel 1994, è da tempo in competizione interna con Gazprom, che ha superato nel settore del Gnl e a cui potrebbe fare concorrenza, sanzioni permettendo, anche sui mercati asiatici, in competizione con il gas trasportato su gasdotti verso la Cina già sovradimensionati.

A Venezia è sparito ogni riferimento alla V-A-C Foundation con cui, ci si limita a osservare sul sito, c'era solo un accordo di cooperazione "definitivamente interrotto nel 2022 a seguito del conflitto tra Russia e Ucraina, che ha portato ai tragici fatti in Ucraina". La galleria ora si chiama Scuola Piccola Zattere, anche se il palazzo alle Zattere una scuola piccola o scoletta non l'ha mai ospitata. Fa capo alla "Fondazione per lo sviluppo dell’arte contemporanea Victoria, ente italiano costituito nel 2014" di cui è fondatrice Victoria Mikhelson, finanziatrice unica dell'iniziativa "attraverso le sue risorse personali", si precisa.

Il Palazzo è stato oggetto di un profondo restyling, sia nell'architettura, a cura del collettivo Fosbury Architecture, che tematico: non è più solo una galleria ma ospita residenze artistiche, installazioni, laboratori.

Forte l'accento sulla città di Venezia. Sia nella scelta del nome che nel programma di valorizzare le realtà artistiche locali. Tanto che alla festa per l'inaugurazione alla fine dello scorso novembre erano presenti, come ha raccontato un ospite, "più che autorità o i soliti volti della mondanità veneziana", impegnati nella contemporanea accensione delle luci e dell'albero a Piazza San Marco, molti studenti della vicina Cà Foscari.

Victoria, che ha una laurea in storia dell'arte alla New York University e un master al Courtauld Institute a Londra, già nel board del New Museum di New York, era in precedenza responsabile dello sviluppo strategico della Fondazione V-A-C, da cui, a vedere il sito web, sembra ora dipendere solo la Casa della cultura Ges-2 di Mosca.

In questi due anni il Palazzo veneziano che sarebbe sempre rimasto locato dall'autorità portuale di Venezia alla fondazione (non risulta che il contratto di affitto 18 + 18 anni stipulato in vista dell'inaugurazione del 2017 sia mai stato rescisso) sarebbe stato sporadicamente ceduto "a prezzi esorbitanti" per eventi privati -come spiegano all'Adnkronos fonti locali- seppur la maggior parte del tempo sia rimasto sbarrato. Subito dopo l'inizio dell'invasione dell'Ucraina da parte della Russia l'allora curatore, Francesco Manacorda, si era dimesso. E lo spazio era rimasto chiuso.

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Esteri

Iran, Tirelli (Cpi): “Gestione caso Sala-Abedini...

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"Intervento del governo per scarcerazione giornalista romana è una mossa tattica che ha il potenziale di riposizionare l’Italia come interlocutore privilegiato nei delicati equilibri del Medio Oriente"

Cecilia Sala (Fotogramma)

Prosegue la delicata trattativa per riportare in Italia la reporter Cecilia Sala, detenuta in Iran dal 19 dicembre scorso, dopo che le autorità italiane, su mandato degli Stati Uniti, hanno arrestato il cittadino iraniano Mohammed Abedini. Un negoziato nella triangolazione Roma-Teheran-Washington che si potrebbe configurare come "un’opportunità strategica per l'Italia". E' questo il punto di vista di Alexandro Maria Tirelli, presidente delle Camere penali del diritto europeo e internazionale e autore di 'The International Lawyer: The Defense of Law and Stability in Managing Global Crises', un manuale sulla gestione delle crisi internazionali. L'intervento del governo Meloni per la scarcerazione della giornalista romana "non è solo un’azione umanitaria, ma una mossa strategica che ha il potenziale per riposizionare l’Italia come interlocutore privilegiato nei delicati equilibri del Medio Oriente", spiega all'Adnkronos l'esperto di diritto internazionale. La possibile decisione di opporsi all’estradizione di Abedini negli Stati Uniti, "sebbene rischiosa, per quel che sembra profilarsi in queste ore, si rivelerebbe infatti una scelta strategica, ponendo l’Italia come possibile mediatore in un’area mediorientale caratterizzata da tensioni crescenti e prevenendo al contempo potenziali rischi per la sicurezza nazionale, incluso il pericolo del terrorismo".

Secondo Tirelli la premier Giorgia Meloni "ha saputo sfruttare abilmente il vuoto di potere legato al cambio di presidenza negli Stati Uniti, tra l’amministrazione uscente di Joe Biden e l’attesa per il reinsediamento di Donald Trump. Questo momento di transizione è stato trasformato in un’opportunità per rafforzare i legami con l’Iran e al contempo costruire un nuovo canale di dialogo con gli Usa. La mossa sarebbe resa ancor più significativa dall’utilizzo sapiente dell’articolo 718 del Codice di Procedura Penale, che conferisce al Guardasigilli la facoltà di liberare un estradando". La prospettiva è ora il 15 gennaio quando la Corte di Appello di Milano si esprimerà sull'eventuale scarcerazione dell'ingegnere italiano Abedini, detenuto dopo l'arresto a dicembre scorso, nel carcere di Opera.

"Questo intervento - riprende Tirelli - non solo protegge gli interessi della Repubblica, ma rafforza la posizione dell’Italia su due fronti: da una parte, migliora i rapporti con Teheran, ponendo le basi per una normalizzazione delle relazioni bilaterali e per un eventuale ruolo di mediazione in Medio Oriente; dall’altra, consolida il rapporto strategico con gli Stati Uniti, che potrebbero vedere nell’Italia un utile alleato per gestire questioni regionali senza compromettere direttamente la propria posizione". L’Italia, in sostanza, "si presenta come un Paese capace di muoversi con decisione e autonomia, guadagnandosi il rispetto di entrambi gli schieramenti coinvolti", un paese "capace di ritagliarsi uno spazio strategico internazionale più indipendente, senza perdere la coerenza del proprio posizionamento atlantico. Una visione di lungo respiro che potrebbe ridefinire il ruolo dell’Italia nel panorama strategico del Mediterraneo". (di Sibilla Bertollini)

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Esteri

Trump: “Se Hamas non rilascia ostaggi prima del mio...

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Il tycoon in conferenza stampa: "Non escludo l'uso della forza per Panama e Groenlandia". La replica del Canada: "Non soccomberemo a sue minacce, mai negli Usa"

Donald Trump

Se gli ostaggi prigionieri di Hamas non saranno rilasciati prima del 20 gennaio, giorno dell'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, "succederà l'inferno in Medio Oriente". Lo ha detto in conferenza stampa oggi a Mar-a-Lago lo stesso Trump che ha avvertito: "Non sarebbe bene per Hamas e non sarebbe bene, francamente, per nessuno. L'inferno scoppierà, non voglio dire di più ma è questo". Il tycoon ha aggiunto che il 7 ottobre "non ci sarebbe mai dovuto essere".

"Noi abbiamo sconfitto l'Is, non abbiamo avuto guerre. Ora eredito un mondo in fiamme con la Russia, Ucraina e Israele", ha scandito, parlando del "fiasco" di Joe Biden nella gestione della politica internazionale.

"Non escludo uso della forza per Panama e Groenlandia"

Poi il capitolo Panama e Groenlandia. Trump si rifiuta di escludere l'uso di forza militare e misure economiche per portare il canale di Panama e la Groenlandia sotto il controllo degli Usa. "Non posso assicurarlo per nessuna delle due cose", ha detto rispondendo a un giornalista che gli chiedeva se escludeva "la forza militare o la coercizione economica".

"Abbiamo bisogno di sicurezza economica, il canale di Panama è stato costruito dai militari, non mi impegno ora a fare questo, potrebbe essere quello che dovremmo fare", ha aggiunto sottolineando che il canale di Panama "è vitale per il nostro Paese, ora è gestito dalla Cina, noi abbiamo dato il canale a Panama non alla Cina, e loro ne hanno abusato".

Riguardo alla Groenlandia, Trump ha ribadito che gli Usa devono ottenerne il controllo per motivi di "sicurezza nazionale", affermando che là "nessuno sa se la Danimarca ha un diritto legale" e facendo riferimento al fatto che la popolazione dell'isola potrà "decidere sull'indipendenza".

"Cambierò il nome di Golfo del Messico in Golfo di America"

Ancora, ha annunciato l'intenzione di "cambiare il nome del Golfo del Messico", ribadendo le minacce di consistenti dazi contro il Messico e il Canada se questi non bloccheranno il flusso dei migranti. "Noi cambieremo il nome del Golfo del Messico in Golfo d'America, un bellissimo nome, appropriato", ha dichiarato.

Ucraina-Russia

Il presidente eletto ha affermato di "poter capire" perché la Russia non vuole che l'Ucraina entri nella Nato, incolpando Joe Biden per lo scoppio del conflitto. “La Russia per molti anni ha detto che non si sarebbe mai potuto avere un coinvolgimento della Nato con l'Ucraina. Questo è stato come scritto nella pietra. E Biden ha detto che no, dovrebbero poter entrare nella Nato - ha continuato Trump nel suo discorso da Mar-a-Lago - Allora la Russia ha qualcuno proprio sulla soglia di casa. Potrei capire i loro sentimenti al riguardo”.

"Quando ho sentito il modo in cui Biden stava negoziando, gli ho detto: 'finirai in una guerra' e così è stato - ha proseguito il tycoon - Ma potrebbe esserci un'escalation che renderà la guerra molto peggio di come è adesso". "Io sono convinto ci fosse un accordo che Biden ha fatto saltare, e quell'accordo era soddisfacente per l'Ucraina e per tutti gli altri. Ma Biden ha detto 'no, l'Ucraina deve essere parte della Nato'", ha scandito ancora.

Spese Nato

Il tycoon ha confermato che intende chiedere agli alleati della Nato di aumentare fino al 5% del Pil la spesa militare: "Tutti possono permetterselo, ma devono portare la spesa militare al 5% non al 2% del Pil".

"Meloni voleva vedermi"

In conferenza stampa il presidente eletto ha fatto anche riferimento alla visita di sabato di Georgia Meloni a Mar-a-Lago. "Questa sarà l'età d'oro dell'America, avremo di nuovo un grande Paese, al momento abbiamo un Paese sotto assedio, nessuno ci rispetta all'estero, ma ora lo fanno, la premier italiana sapete è venuta qui la notte scorsa, ha fatto toccata e fuga, voleva vedermi", ha detto Trump, che ha poi ricordato "il grande rispetto" che gli è stato mostrato "quando sono andato alla cattedrale", riferendosi alla sua partecipazione alla cerimonia di riapertura di Notre Dame a Parigi.

Giustizia

Trump in conferenza stampa è tornato ad attaccare il procuratore speciale che ha indagato su di lui e l'ha incriminato dei due casi che sono stati poi ritirati dopo la sua vittoria elettorale. "Ho sconfitto il pazzo Jack Smith, è una persona pazza, immagino che se ne sta tornando all'Aja. E abbiamo vinto questi processi", ha affermato il presidente eletto che si è scagliato poi contro "l'utilizzo politico della giustizia" che l'amministrazione democratica starebbe facendo contro di lui fino all'ultimo. E non ha mancato di attaccare la stampa: "I giornali hanno fatto un gran rumore su questi casi, ma io non avevo fatto nulla di sbagliato".

Canada risponde: "Non soccomberemo a minacce"

Il Canada "non soccomberà alle minacce di Trump". Così il ministro degli Esteri canadese Melanie Joly ha risposto alle parole del presidente eletto degli Stati Uniti di imporre dazi. "Non faremo mai marcia indietro di fronte alle minacce", ha dichiarato il capo della diplomazia canadese, affermando che i commenti di Trump dimostrano ''una totale mancanza di comprensione della forza del Canada''.

''Non c'è la minima possibilità che il Canada diventi parte degli Stati Uniti'', ha poi aggiunto il primo ministro canadese Justin Trudeau, rispondendo al presidente. ''I lavoratori e le comunità di entrambi i nostri Paesi traggono vantaggio dall'essere reciprocamente il più grande partner commerciale e di sicurezza'', ha affermato Trudeau.

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