Salute, al Gemelli trattata con Car-T prima paziente adulta con malattia reumatologica
È affetta da sclerosi sistemica (sclerodermia) refrattaria ai trattamenti, la prima paziente arruolata nel trial CATARSIS, uno studio di frontiera promosso da Fondazione Policlinico Gemelli Irccs in collaborazione con l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Si apre così, con tante speranze, una nuova era per i pazienti affetti da alcune malattie reumatologiche autoimmuni sistemiche (LES, sclerosi sistemica, dermatomiosite/polimiosite, vasculiti ANCA-associate), refrattarie ai trattamenti abituali. Lo studio arruolerà in tutto 8 pazienti adulti e avrà una durata di due anni. Principal investigator, Maria Antonietta D’Agostino, professore ordinario di Reumatologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della Uoc di Reumatologia di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs (FPG). Le Car-T anti-CD19 utilizzate nello studio sono prodotte presso l’Officina Farmaceutica del Bambino Gesù, il cui coordinatore è il professor Franco Locatelli.
Le Car-T fanno il loro ingresso anche nel trattamento delle malattie autoimmuni sistemiche refrattarie ai comuni trattamenti. Qualche giorno fa al Gemelli - riporta una nota - è stata trattata con cellule Car-T una paziente affetta da sclerosi sistemica (sclerodermia), la prima dei soggetti arruolati nello studio CATARSIS (Anti-CD19 CAR T-Cell TherApy in Refractory Systemic Autoimmune DISeases) e anche la prima paziente adulta con malattia reumatologica ad essere trattata in Italia con questo trattamento innovativo.
Il trial è condotto in collaborazione con il Centro Trial Oncoematologico, Area Studi Clinici Oncoematologici e Terapie Cellulari dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù IRCCS, diretto da Franco Locatelli, professore ordinario di Pediatria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore del Dipartimento di Onco-Ematologia e Terapia Cellulare e Genica, Irccs Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma. La paziente ha ricevuto le cellule Car-T la vigilia di Natale presso l’Unità di Oncoematologia di FPG, diretta dalla professoressa Simona Sica, che prende parte allo studio, nell’Unità di Fase I di FPG, diretta dal Dottor Gennaro Daniele. Lo studio CATARSIS è cofinanziato dal Ministero della Salute.
"CATARSIS è il primo studio accademico di fase I in Italia, volto a trattare patologie autoimmuni mediate da B-linfociti con cellule CAR T dirette contro una molecola, nota come CD19 espressa sulla superficie dei B linfociti – afferma D’Agostino -. Un traguardo importantissimo per i pazienti affetti da patologie severe che finalmente possono ambire a sconfiggere la loro malattia, grazie al 'reset' del sistema immunitario, indotto da tale terapia". Quella trattata al Gemelli - dettaglia la nota - è la prima paziente adulta affetta da malattia reumatologica trattata in Italia. Il professor Locatelli ha già trattato, attraverso il meccanismo dell’uso non ripetitivo, 5 pazienti pediatrici affetti da malattie autoimmuni. Nel mondo sono stati trattati finora con Car-T solo una cinquantina pazienti con malattie reumatologiche, la maggior parte dei quali in Germania, dal gruppo del professor Georg Schett dell’Università di Erlangen (Frederich Alexander) e visiting professor presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore che è stato il primo nel mondo a trattare queste patologie con Car-T (i risultati sono stati pubblicati su riviste prestigiose quali Lancet, Nature Medicine e New England Journal of Medicine) e che sta portando avanti, in questo momento, lo studio CASTLE, 'gemello' del CATARSIS.
"Lo studio CATARSIS – prosegue D’Agostino - rappresenta una frontiera, ma anche un esempio di progetto cooperativo e coordinato, nel quale diversi dipartimenti (di ricerca, produzione, clinici, amministrativi e di conduzione trials), operanti presso strutture differenti, hanno lavorato insieme per ottenere questo traguardo così importante che apre la strada a nuove speranze. Un grazie particolare va alla dottoressa Monica Gunetti Responsabile dell’Officina farmaceutica dell’Ospedale Bambino Gesù, alla professoressa Luciana Teofili, direttore della Uoc di Emotrasfusione (per l’aferesi), al Dottor Gerlando Natalello della UOC di Reumatologia FPG, alle Dottoresse Giulia Wlderk e Marina Murdolo dell’Unità Trial Clinici (UTC 2)FPG diretta dalla Dottoressa Vincenzina Mora, e alla Dott.ssa Maria Pia Cefalo della UTC OPG, per questo super-regalo di Natale".
"Il trattamento di questa paziente – sostiene Locatelli - dimostra come la collaborazione tra Centri Accademici di Eccellenza permetta di offrire gli approcci terapeutici più innovativi a malati affetti da patologie complesse. Dopo i risultati di grande rilevanza ottenuti nei 5 pazienti pediatrici, il caso della Signora trattata in collaborazione con i Colleghi del Policlinico Gemelli apre un’ulteriore frontiera e documenta l’importanza d’investire sempre più come Paese in ricerca clinica avanzata".
Le cellule B sono tra i principali protagonisti delle malattie autoimmuni e questo fa di loro un target terapeutico ideale. Il 'bersaglio' più efficace, individuato sulla loro superficie, è l’antigene CD-19. Negli anni sono state sviluppate molte terapie (anticorpi monoclonali) dirette contro vari antigeni di superficie delle cellule B (es. il rituximab contro l’antigene CD-20), ma in alcuni pazienti con malattie autoimmuni reumatologiche queste non funzionano a sufficienza (ad esempio non riescono ad indurre una remissione sostenuta) e questo espone i pazienti con le forme più gravi, al rischio di grave insufficienza d’organo (es. insufficienza polmonare o renale) e di morte. Per questo si è pensato di ingegnerizzare le cellule del sistema immunitario del paziente, per armarle contro il CD-19 (Car-T anti-CD-19) e utilizzarle per trattare le malattie autoimmuni refrattarie ai comuni trattamenti. Il razionale di questa scelta sta nel fatto che le Car-T penetrano con maggior efficacia all’interno degli organi e dei tessuti dove si annidano le cellule B ‘ribelli’, che sono alla base di malattie auto-immuni sistemiche e potenzialmente letali quali il LES (lupus eritematoso sistemico), la Sclerosi sistemica (SSc), la dermatomiosite/polimiosite (DM/PM) e le vasculiti ANCA-associate (AAV).
Il CATARSIS è uno studio di fase I/II, in aperto, non randomizzato, con disegno 'basket'. Verranno arruolati in tutto 8 pazienti adulti (dei quali 6 presso il Policlinico Gemelli e 2 presso l’Ospedale Bambino Gesù), affetti da una patologia autoimmune sistemica (B-cell driven’ refrattaria ai comuni trattamenti (LES, SSc, PM/DM, AAV). Ogni paziente arruolato nello studio verrà seguito per 30 settimane (6 pre-trattamento e 24 dopo il trattamento); la durata complessiva dello studio sarà di 2 anni. Il trial partito al Gemelli utilizza come 'farmaco' i 'CD19-Car_Lenti', una sospensione di cellule T ingegnerizzate attraverso un vettore virale (lentivirus autoinattivante, prodotto da Milteny Biotech), per trasformarli in un’arma da guerra contro il CD-19 umano, il bersaglio sulle cellule B responsabili delle malattie autoimmuni sistemiche. La manifattura di questa terapia cellulare viene effettuata utilizzando il dispositivo CliniMACS Prodigy®, presso l’Officina Farmaceutica dell’Irccs Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.
Obiettivi dello studio CATARSIS - conclude la nota - sono la valutazione dell’efficacia e della sicurezza della terapia con cellule Car-T anti-CD-19, in soggetti con malattia autoimmune ‘B-driven’ attiva (LES, sclerosi sistemica, DM/PM e AAV). Verranno valutati inoltre: la durata della deplezione delle cellule B 'colpevoli' dopo il trattamento, la durata della persistenza delle Car-T, le variazioni nei livelli di autoanticorpi sierici associati alla malattia.
Salute e Benessere
Fnopi: “Da Istat il codice Ateco per le professioni...
In vigore dal primo gennaio 2025 da aprile utile in adempimenti statistici amministrativi e fiscali
Nella sua ultima revisione dei codici Ateco (nuovi codici delle attività economiche), l’Istat ha finalmente sciolto il nodo delle professioni sanitarie non mediche, finora riunite sotto un unico generico codice (89.90.29 ‘Altre attività paramediche indipendenti n.c.a’). Lo rende noto Fnopi, la Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche specificando che il nuovo codice Ateco 86.94.01 ‘Attività infermieristiche’ è entrato in vigore con l’inizio del 2025. Le professioni, divenute intellettuali con la creazione degli ordini professionali del 2018 - con l’obbligo di laurea e di iscrizione all’albo per l’esercizio professionale - sono state quindi riclassificate, come chiesto dalla Fnopi.
Ateco è la classificazione delle attività economiche adottata dall’Istat per finalità statistiche, per la produzione e la diffusione di dati statistici ufficiali - spiega una nota - Viene inoltre utilizzata dall’Agenzia delle Entrate ai fini fiscali, quale, per esempio, la definizione della redditività del forfettario o, nel periodo pandemico, a selezionare quali attività potessero proseguire la propria attività nonostante il lockdown. I codici Ateco sono necessari ai professionisti che, al momento dell’apertura della partita Iva, devono indicare quale sarà la propria attività economica, scegliendo il codice che fa a loro riferimento. I nuovi codici Ateco 2025, che sostituiscono la classificazione del 2007 a partire dal primo gennaio 2025, dal primo aprile saranno utilizzati in tutti gli adempimenti di tipo statistico, amministrativo e fiscale, e sono adeguati alla classificazione europea Nace, nella sua Revisione 2.1. Non sono previste, al momento, sanzioni per chi non dovesse variare il codice, ma sarebbe importante rettificarlo laddove descriva meglio la propria attività.
Per questo risultato, Fnopi ringrazia l’Istat, ente che da sempre si è mostrato attento alle osservazioni e agli spunti offerti negli anni dalla Federazione su questo tema. Già nel 2020, infatti, la Fnopi metteva in evidenza la necessità di rivedere la classificazione della professione infermieristica, intellettuale e non tecnica, incontrando la disponibilità dell’Istat a tenere conto delle interlocuzioni con la Federazione nel momento in cui sarebbero partiti i lavori per la predisposizione della nuova classificazione che oggi è realtà e permette di compiere un ulteriore passo avanti nel riconoscimento della professione e come supporto anche all’attività libero professionale degli infermieri.
Salute e Benessere
Diagnosi precoce schizofrenia, studio svela possibili...
La schizofrenia rappresenta uno dei disturbi psichiatrici con maggiori ricadute in termini di qualità della vita per chi ne è affetto e di costi per la salute pubblica. Tuttavia, le cause di questo disturbo restano ancora oggi in gran parte sconosciute, di fatto rendendo difficoltosa anche l’individuazione di marcatori biologici di diagnosi e prognosi di tale condizione. In questo scenario, una recente ricerca italiana ha portato alla luce conoscenze che potrebbero dare un impulso innovativo proprio alla diagnosi precoce della schizofrenia, svelando possibili biomarcatori nel sangue.
Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista internazionale Schizophrenia (Nature Group)*, è stato condotto presso il CEINGE Biotecnologie Avanzate Franco Salvatore di Napoli e coordinato da Alessandro Usiello, direttore del Laboratorio di Neuroscienze Traslazionali del CEINGE e professore ordinario di Biochimica Clinica dell’Università della Campania Lugi Vanvitelli, in collaborazione con i professori di Psichiatria Antonio Rampino e Alessandro Bertolino dell’Università di Bari Aldo Moro, con il dottor Matteo Vidali, direttore della Struttura Complessa di Patologia clinica dell’Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, e con Francesco Errico, professore di Biochimica dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.
"I nostri esperimenti - spiega Usiello – hanno rivelato che i livelli sierici di due amminoacidi atipici D-aspartato e D-serina, potrebbero rappresentare biomarcatori utili per tracciare gli stadi precoci di psicosi, prima che i sintomi della schizofrenia diventino clinicamente manifesti, candidandosi a diventare potenziali indicatori di rischio della transizione da fasi prodromiche del disturbo all’esordio conclamato della malattia". Inoltre, prosegue il neuroscienziato, "lo studio, durato oltre 5 anni e finanziato dai ministeri della Ricerca e della Salute e con i fondi Pnrr (progetto MNESYS), ha utilizzato una metodologia di chimica analitica per misurare i livelli di una serie di amminoacidi che modulano lo stato di attivazione di recettori noti per essere implicati nella fisiopatologia della schizofrenia. In particolare, grazie alla stretta collaborazione con l’Ospedale di Bari abbiamo esaminato 251 individui, suddivisi in quattro gruppi di diagnosi clinica, ciascuno ad un diverso stadio della malattia".
"Abbiamo notato differenze significative nella composizione amminoacidica del siero di questi differenti gruppi di individui - aggiunge Rampino, prima firma dello studio -. È venuto fuori un quadro biochimico che potrebbe indicare che la progressione da stadi prodromici e precoci della malattia a fasi in cui la stessa diventa clinicamente manifesta, fino a cronicizzarsi, sono caratterizzati da una diversa composizione del milieu di D-aminoacidi circolanti nel siero dei soggetti. I nostri risultati gettano le basi per un potenziale utilizzo di tali marcatori periferici nella diagnosi precoce e nella stadiazione della schizofrenia". "Gli esperimenti devono essere ripetuti e confermati in altri gruppi di pazienti presso altri ospedali italiani, in quanto potrebbero rappresentare un primo passo nella crescente ricerca di strategie per la diagnosi e l’intervento precoce nella schizofrenia" conclude Errico.
Salute e Benessere
Tumori, +30% diagnosi melanoma in 2024, mai così tanti
Non sono mai stati stimati così tanti casi di melanoma come per lo scorso anno. Nell’ultimo rapporto 'I numeri del cancro in Italia 2024', presentato dall’Associazione italiana di oncologia medica, le previsioni indicano come le diagnosi di melanoma possano raggiungere quota 17.000, circa 4.300 in più rispetto ai 12.700 registrati nel 2023. "Tuttavia, a questo bilancio delle diagnosi - commenta Paolo Ascierto, presidente della Fondazione Melanoma - si contrappongono gli eccezionali successi nella terapia. Grazie infatti all’immunoterapia anche nei casi di melanoma metastatico, le forme più gravi e contro le quali fino a poco tempo fa avevamo poche opzioni di cura, oggi il 50% dei pazienti sopravvive dopo 10 anni dalla diagnosi".
È per questo che nelle nuove linee guida sul melanoma della European Society for Medical Oncology (Esmo), pubblicate solo di recente, l’immunoterapia è passata dall’essere l’ultima opzione a terapia di prima scelta. In ogni caso "la possibilità che l’anno appena passato sia un’anno 'nero' per questa malattia è alta. Certo, questo numero così elevato può essere letto sia come una maggiore sensibilità della popolazione a sottoporsi a controlli regolari, fondamentali per una diagnosi precoce del tumore, che come una maggiore esposizione ai fattori di rischio, ad esempio ai raggi solari senza adeguata protezione o il ricorso ai lettini abbronzanti", aggiunge Ascierto
"Il melanoma – dice Ascierto – è uno dei principali tumori che insorgono in giovane età e costituisce in Italia attualmente il terzo tumore più frequente in entrambi i sessi al di sotto dei 50 anni. Negli ultimi 20 anni la sua incidenza è aumentata drammaticamente passando dai 6.000 casi nel 2004 agli 11.000 nel 2014, fino ad arrivare ai possibili 17.000 nel 2024". Anche le chances di sopravvivenza sono aumentate progressivamente e significativamente negli anni, in particolar modo grazie all’immunoterapia che occupa uno spazio di rilievo nelle ultime linee guida dell’Esmo. Le nuove raccomandazioni sono state messe a punto da un gruppo multidisciplinare di esperti provenienti da Europa, Stati Uniti e Australia e si basano sui dati scientifici più recenti.
"Nel documento l'immunoterapia adiuvante, quella post-intervento chirurgico - continua Ascierto - viene raccomandata sia nei casi di melanoma di stadio IIB e IIC, che di stadio III, quindi anche in presenza di malattia metastatica. L'immunoterapia adiuvante viene indicata anche come prima opzione nei casi di melanoma metastatico, prima o in sostituzione della terapia target. Inoltre, nelle nuove linee guida è presente la cosiddettà immunoterapia ‘dual block’, quella composta da due farmaci che agiscono su due 'blocchi' diversi di inibizione del sistema immunitario, da poco resa rimborsabile dall'Agenzia italiana del farmaco nei casi di melanoma non resecabile o metastatico".
Come atteso, gli esperti hanno inserito nelle raccomandazioni anche l'immunoterapia neoadiuvante, cioè quella che si somministra prima dell'intervento chirurgico, nei casi di melanoma metastatico.
"Le nuove linee guida tengono conto degli enormi progressi fatti nella diagnosi e nella cura di questa malattia in forte crescita. Ma anche se le terapie evolvono rapidamente, un punto rimane fermo e sempre valido ed è la prevenzione che rimane la nostra migliore arma contro il melanoma", conclude Ascierto.