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Neonato trovato morto a Bari: emergono ipotesi di ipotermia dall’autopsia

BARI – Proseguono le indagini sulla tragica vicenda del neonato trovato senza vita nella culla termica della chiesa di San Giovanni Battista a Bari, nella mattinata del 2 gennaio. Secondo i primi risultati dell’autopsia, il decesso potrebbe essere stato causato da ipotermia.

I risultati preliminari dell’esame autoptico

L’autopsia, eseguita presso l’Istituto di Medicina Legale del Policlinico di Bari, ha fornito un primo quadro delle possibili cause della morte. Il piccolo, che secondo le analisi avrebbe meno di un mese di vita, potrebbe essere deceduto a causa di una prolungata esposizione a basse temperature. A condurre l’esame è stato il professor Biagio Solarino, esperto in Medicina Legale, che ha avviato ulteriori accertamenti per confermare la diagnosi e comprendere l’esatta dinamica dell’evento.

L’inchiesta della Procura

La Procura di Bari ha aperto un fascicolo per omicidio colposo, focalizzando l’attenzione su due figure: il parroco della chiesa, don Antonio Ruccia, e il tecnico responsabile dell’installazione della culla termica nel 2014. Gli inquirenti stanno esaminando se vi siano state eventuali negligenze nella manutenzione o nel funzionamento del dispositivo, progettato per garantire la sicurezza e la protezione di neonati abbandonati.

Le culle termiche, introdotte in molte città italiane per offrire un’alternativa sicura agli abbandoni, sono concepite per mantenere una temperatura stabile e proteggere i neonati lasciati al loro interno. L’episodio di Bari solleva interrogativi sull’efficacia di questi dispositivi e sulla necessità di controlli periodici per verificarne il corretto funzionamento.

Prossimi sviluppi

Le autorità attendono ulteriori esiti degli esami di laboratorio per chiarire definitivamente le cause del decesso. Nel frattempo, la comunità locale rimane scossa dall’accaduto, mentre emergono dibattiti sulla gestione delle strutture dedicate alla tutela dei neonati.

Questo tragico evento mette in evidenza l’importanza di una vigilanza costante e di protocolli chiari per prevenire episodi simili in futuro.

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Cronaca

Emergenza incendi a Los Angeles: autorità dichiarano...

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Le autorità della Contea di Los Angeles hanno lanciato un avvertimento drammatico: tutti i residenti dell’area sono in pericolo a causa degli incendi che continuano a crescere senza controllo. Il capo dei vigili del fuoco della contea, Anthony C. Marrone, ha dichiarato che al momento gli incendi sono “allo 0% del contenimento”, rendendo la situazione estremamente critica.

Venti forti aggravano la crisi

Secondo il Servizio Meteorologico Nazionale, le condizioni meteo non offrono tregua. I venti forti che stanno interessando la regione continueranno nelle prossime ore, alimentando ulteriormente le fiamme e rendendo ancora più complesso il lavoro delle squadre di soccorso. Questa combinazione di fattori, ha sottolineato Marrone, rappresenta un rischio concreto e immediato per l’intera popolazione della contea.

Intervento delle autorità

Le squadre dei vigili del fuoco sono impegnate 24 ore su 24 nel tentativo di arginare la propagazione degli incendi, ma le condizioni avverse stanno ostacolando ogni sforzo. Le autorità locali stanno coordinando le operazioni di emergenza e monitorando attentamente l’evoluzione della situazione per valutare eventuali evacuazioni di massa.

Raccomandazioni per i cittadini

Nel frattempo, i residenti sono stati invitati a rimanere vigili e a seguire le indicazioni delle autorità. È stato inoltre consigliato di preparare un piano di emergenza familiare, tenere pronte le borse di evacuazione e monitorare costantemente i canali ufficiali per eventuali aggiornamenti.

Una crisi senza precedenti

Questa situazione di emergenza mette in evidenza le sfide crescenti legate alla gestione degli incendi in California, un problema aggravato dal cambiamento climatico e dall’espansione urbana. Gli esperti sottolineano che eventi come questo potrebbero diventare sempre più frequenti, richiedendo un approccio ancora più strategico e coordinato per proteggere vite umane e beni.

Le prossime ore saranno decisive per determinare l’evoluzione di questa crisi, con le squadre di soccorso che continuano a lottare contro le fiamme in condizioni estremamente difficili.

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Cronaca

Caso Ramy, procura Milano valuta omicidio volontario per...

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L'ipotesi dopo aver attentamente valutato il video dell'inseguimento, lungo otto chilometri, nel quartiere Corvetto

Caso Ramy, procura Milano valuta omicidio volontario per carabinieri

La procura di Milano valuta di poter contestare l'ipotesi di omicidio volontario con dolo eventuale per l'incidente che è costato la vita a Ramy Elgaml, morto la notte del 24 novembre scorso, in via Quaranta all’angolo con via Ripamonti, nel quartiere Corvetto, mentre veniva inseguito da tre auto dei carabinieri. Un'ipotesi che arriva dopo aver attentamente valutato il video dell'inseguimento, lungo otto chilometri e a tratti contromano, le cui immagini sono state diffuse ieri al Tg3.

Al momento sono tre i carabinieri indagati, sui sei intervenuti: il vicebrigadiere alla guida è indagato per omicidio stradale, altri due militari invece sono indagati per falso e depistaggio.

Si tratta, al momento, di un'ipotesi di scuola. La gazzella che sperona lo scooter, l'incitamento dei militari via radio a 'stringere' il mezzo a due ruote guidato da Fares Bouzidi, ventiduenne amico della vittima, e gli ultimi metri in cui auto dei carabinieri e il T Max viaggiano allineati prima di abbattere un semaforo e fermarsi potrebbero far scattare l'ipotesi di omicidio volontario con dolo eventuale. La fattispecie sussiste quando chi agisce, pur di realizzare un determinato risultato, accetta che le conseguenze della sua condotta possano produrre (anche) un altro e diverso risultato non direttamente voluto.

I video delle telecamere, tra cui una installata su una gazzella, i messaggi audio che si scambiano i militari potrebbero dunque aggravare la posizione, di tutti o di alcuni, degli uomini dell'Arma intervenuti la notte del 24 novembre.

L'inchiesta, coordinata dal procuratore Marcello Viola e dai pm Marco Cirigliano e Giancarla Serafini, potrebbe dunque vedere - a stretto giro - un aumento del numero degli indagati e delle accuse. In tutto sono quattro gli indagati per l'incidente: il ventiduenne e il carabiniere rispettivamente alla guida dello scooter e della gazzella devono rispondere di omicidio stradale, altri due militari invece sono indagati per favoreggiamento e depistaggio per aver fatto cancellare un video, girato con il cellulare, a un testimone nella fase finale dello scontro.

Le reazioni

Il video delle telecamere di videosorveglianza dell'incidente, che ha portato alla morte, lo scorso 24 novembre nel quartiere Corvetto di Milano, del giovane, ha suscitato un'ondata di polemiche. Anche perché, nel servizio, oltre all’incidente e all'impatto, si sentono alcune frasi dei carabinieri.

In una lettera inviata al comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, Salvatore Luongo, Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, è perentoria: "C’è chi non merita di indossare la divisa". “Oggi ho visto le terribili immagini trasmesse dal tg che documentano gli ultimi istanti della folle corsa dello scooter da lui condotto verso la morte. Di fronte ad esse io non posso e non voglio trarre sentenza perché ritengo che questo sia compito della Magistratura e certo non mio. Lo lascio fare ad altri che, pur essendo Ministri della Repubblica, cedono alle lusinghe di una facile ed ‘ignorante’ propaganda - scrive la senatrice di Avs - Io Le chiedo scusa se mi permetto, ma, come cittadina, Le chiedo la sospensione e conseguente destituzione dei carabinieri che hanno messo negli atti ufficiali una ricostruzione dell’accaduto che mi pare proprio incompatibile con quanto documentato dalle immagini”, scrive la senatrice di Avs.

Gli fa eco il vicecapogruppo di Avs alla Camera, Marco Grimaldi che parla di "frasi shock negli audio della dashcam delle gazzelle dei carabinieri che inseguivano Ramy Elgaml. Scene che ricordano le pagine più buie della cronaca statunitense. Con la famiglia di Ramy, chiediamo verità e giustizia sulla morte insensata di un ragazzino diciannovenne, siamo certi che anche il ministro della Difesa Crosetto non sottovaluti la gravità dell’episodio, aspettiamo una sua presa di posizione".

"Non possiamo restare in silenzio davanti alle inquietanti immagini e alle parole degli agenti durante l’inseguimento di Milano al temine del quale ha perso la vita Ramy Elgam. Bisogna fare piena luce su questi fatti per far emergere eventuali abusi che nulla hanno a che vedere con la giustizia e la sicurezza dei cittadini. Soprattutto va condannato il clima securitario avvelenato da anni di propaganda che divide e criminalizza, che spinge le forze dell’ordine a inseguire due ragazzini come fossero latitanti mafiosi, fino a speronarli", scrive sui suoi canali social il segretario di +Europa, Riccardo Magi.

Dalla maggioranza prende posizione Riccardo De Corato, deputato di Fratelli d’Italia e vice presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera. "Il fatto che un giovanissimo ragazzo perda la vita è sempre un dispiacere. In questo caso, però, ricordo che la morte è avvenuta dopo che i due ragazzi sul T-max hanno forzato un posto di blocco delle Forze dell’Ordine e, peraltro, Ramy, nel momento della caduta era pure senza casco! L’Arma, quindi, ha fatto il proprio encomiabile dovere nei confronti di chi non rispetta la legge, come in questo caso, dove non è stato rispettato un alt da parte dei Carabinieri".

Parla invece di "linciaggio mediatico indecente" Silvia Sardone, eurodeputata e consigliere comunale della Lega. "È partita l'ennesima ondata di accuse, sostenute dalla sinistra e da alcuni commentatori, che parlano di omicidio volontario, speronamento, intenzione di causare la caduta. Il nuovo video dimostra che nella fase finale dell'inseguimento non c'è stato alcun speronamento, come già confermato dall'analisi della Polizia Locale. Quanto alle frasi sentite nell'audio, è evidente che derivano dalla tensione di un'operazione complessa e pericolosa nelle strade di Milano", scrive in una nota.

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Cronaca

Liberazione Sala, la psicologa: “Ora rielaborare...

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Fernandez, presidente Emdr 'l’esperienza non è terminata per la mente, con un aiuto percorso più veloce ed efficace'

Liberazione Sala, la psicologa:

"È stata sicuramente un’esperienza molto intensa dal punto di vista emotivo e psico-fisico perché possiamo solo immaginare le condizioni infernali del carcere in cui era prigioniera. La sua mente avrà bisogno di smaltire, elaborare, dare un senso a questa esperienza così pesante anche dal punto di vista emotivo". Così Isabel Fernandez, psicologa e psicoterapeuta, presidente dell'Associazione italiana di Emdr, Eye movement desensitization and reprocessing, ossia Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari, all’Adnkronos Salute riflette su quello che attende Cecilia Sala, la giornalista liberata oggi dopo 20 giorni di detenzione nel carcere iraniano di Evin a Teheran. "Adesso lei avrà moltissimi supporti dalla famiglia, dagli amici, anche dalle Istituzioni - continua Fernandez - Tutto questo sarà molto importante, ma non basterà a sentirsi al sicuro perché anche se l’esperienza traumatica è terminata, per la mente non lo è. Ora si deve concedere del tempo per chiudere questo capitolo", meglio se con un aiuto qualificato.

Alla prima fase "di eccitazione intensa dal punto di vista emotivo per la liberazione - spiega l’esperta - seguiranno momenti di down", di sconforto. "La cosa importante è avere un aiuto, anche breve, ma mirato, in modo che tutto il vissuto dell’esperienza non resti come un fattore di rischio per il futuro". La giornalista infatti "deve affrontare lo stress post traumatico: si chiude l’esperienza, ma resta lo stress. In questi casi, l’approccio Emdr si è rivelato essere tra i più efficaci, tanto che è raccomandato dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità per la gestione dello stress che rimane dopo un trauma".

Nel dettaglio, "potrebbe ancora rivivere, per settimane o mesi, delle immagini, degli incubi o provare ansia in presenza di particolari situazioni. Queste sono reazioni normali dopo un'esperienza di questo tipo - chiarisce Fernandez - Nel contesto detentivo avrà vissuto una sensazione di impotenza, di vulnerabilità e di pericolo di vita. Si sarà probabilmente posta la possibilità di non potercela fare. Tutte queste sensazioni rimangono e la mente continua a riproporle. Sarebbe importante che concedesse un po’ di tempo al cervello per rielaborare quanto vissuto, dargli un senso. Con l’aiuto di un professionista potrebbe ridurre i tempi e ottimizzare il percorso. Certo, è un processo che una persona può fare anche da sola - osserva - dipende da quanto è stata intensa la sua sensazione di pericolo, di vulnerabilità, in particolare di pericolo di vita. Più si è detta ‘passerà’, più ha avuto questa sensazione, più è facilitata nel recupero".

Nelle situazioni traumatiche, "le persone devono trovare delle risorse - sottolinea la psicoterapeuta - Quando si è in pericolo di vita, è fondamentale pensare alle risorse positive che sono state d’aiuto in precedenti situazioni traumatiche. Tutti abbiamo un dialogo interiore in cui ci diciamo delle cose - rimarca Fernandez - Più siamo catastrofici e in allarme e più peggioriamo la situazione. La cosa migliore, quando si è in pericolo, è parlarsi con calma e trovare le risorse utilizzate in altri momenti o pensare alle persone che ci sono state di supporto. La fede può essere d’aiuto perché dà il senso di avere qualcuno che ci protegge, che ci salva. Bisogna evitare i pensieri catastrofici e cercare di rafforzare le capacità, le risorse positive, le figure di protezione, con determinazione. Questo - conclude - è molto importante" nell’immediato e nel dopo.

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