Parkinson, Bentivoglio (Gemelli): “Tante possibilità di terapie personalizzate’
La neurologa: "Nel paziente con malattia complicata l’infusione migliora qualità di vita e sonno"
“Nella storia del paziente con malattia di Parkinson ci sono veramente tante possibilità per una personalizzazione del trattamento: dalla terapia per bocca, all’infusionale, fino agli interventi chirurgici”. Così Anna Rita Bentivoglio, professore associato di Neurologia, Istituto di Neurologia Facoltà di Medicina Università Cattolica di Roma e responsabile Uos Disturbi del movimento, Policlinico Gemelli, all’Adnkronos Salute, chiarisce come si tratti “di una patologia complessa che non si esaurisce solo nel tremore a riposo, che è il sintomo conosciuto un po' da tutti, ma comprende altri disturbi, soprattutto non motori”. ( VIDEO )
Nei primi anni di malattia “le persone, nella maggior parte dei casi, prendendo poche pillole al giorno, riescono a guadagnare una condizione motoria e non motoria molto soddisfacente - spiega Bentivoglio - Considerando che ogni storia di malattia è diversa, dopo un certo numero di anni la giornata di chi soffre di Parkinson tende a complicarsi e iniziano a comparire delle fluttuazioni, sia motorie che non motorie. Ci sono quindi delle ore del giorno, subito dopo l'assunzione delle pillole, in cui il paziente si sente bene, il tremore scompare o diventa molto meno evidente, è meno rigido e, se è rallentato nei movimenti, diventa quasi normale nella loro esecuzione. Poi, man mano che si riduce l’effetto dei farmaci, il paziente ripresenta i disturbi anche di notte: si fatica a dormire perché, per esempio, si fatica a girarsi nel letto. Grazie all’infusione dei farmaci, nel paziente con malattia complicata, il sonno torna a essere ristoratore”.
Quando la strategia di primo livello, dove si prendono le pillole per bocca, non è più sufficiente, è necessario passare al secondo che prevede l’iniezione “dei farmaci sottocute oppure li possiamo inserire direttamente nell'apparato digerente attraverso una piccola cannula che si mette nella parete dello stomaco e che si collega a una pompa che eroga piccolissime dosi di farmaco in maniera continua. Questo approccio - illustra la professoressa - cerca di rendere continua la stimolazione cerebrale rimpiazzando la dopamina, il neurotrasmettitore che è carente nel sistema nervoso centrale del paziente. La prima strategia è stata con dei farmaci dopaminoagonisti, ancora oggi è in uso la pompa con apomorfina. Da diversi anni ormai però siamo in grado di iniettare direttamente la levodopa, anche se in una forma modificata, nel sistema digerente o sottocute. In questo modo viene assorbita molto più facilmente. L'ultima frontiera della terapia infusionale è l’impiego della foslevodopa/foscarbidopa sottocute attraverso una pompa di facile gestione da parte dello stesso paziente o dal familiare, il caregiver. La terapia può essere addirittura continuativa nelle 24 ore”. Il paziente può ricevere “dosi diverse, programmate dal neurologo di riferimento, in modo personalizzato: un po' più alte durante il giorno, quando le richieste sono maggiori e un po' più basse durante le ore notturne”.
Un secondo gruppo “di strategie di secondo livello per la gestione del Parkinson sono quelle chirurgiche che permettono, da circa 30 anni, di stimolare dei nuclei cerebrali, non solo chimicamente come fanno i farmaci, ma anche attraverso l'erogazione di piccole scariche elettriche. La possibilità di fornire a un paziente che ha delle fluttuazioni sia motorie che non, una terapia infusionale - chiarisce Bentivoglio - è particolarmente preziosa per tutti coloro che non sono disposti ad andare incontro a un intervento chirurgico”, o è controindicato per varie ragioni, non ultima l’età - dopo i 70 anni “ci sono infatti troppi rischi” - oppure in attesa dell’intervento.
Al di là della questione chirurgica, “l'indicazione al trattamento è per il paziente fluttuante che, con la terapia, non ha più una qualità di vita adeguata”. Si deve considerare che è necessario anche assumere le “medicine 5-6 volte al giorno, tutti i giorni”, magari trovandosi con il “problema irrisolto e con uno stigma lavorativo e sociale”. Questa terapia infusionale, “nella nostra esperienza - aggiunge - dà una svolta radicale alla qualità di vita, non solo della persona che ha la malattia ma anche dei suoi familiari e dei suoi caregiver naturalmente. Questo si può misurare a livello clinico, ma anche con le scale di qualità di vita che misurano tutta la difficoltà o il miglioramento nell'affrontare realtà quotidiane che vanno dall'allacciarsi i bottoni della camicia, a potersi nutrire senza imbarazzo quando si porta un cucchiaio alla bocca, dal guidare l'automobile, all'affrontare una giornata lavorativa. Quando le fluttuazioni sono importanti, si vede che la terapia infusionale determina una vera svolta nel miglioramento”. Tale aspetto, valutato negli studi registrativi, viene misurato anche dal clinico, nella valutazione periodica del paziente.
Il bisogno che spesso rimane non soddisfatto del paziente in fase complicata di malattia è però il riposo notturno. Il paziente che è in terapia con farmaci per bocca, la sera prende una dose molto inferiore rispetto a quella del giorno e la notte, dopo un certo numero di ore, quando si esaurisce l’effetto, comincia ad avere difficoltà, si sente rigido, ha difficoltà se si deve alzare per recarsi in bagno, ma anche girarsi nel letto. Il paziente quindi si sveglia continuamente, compromettendo la qualità del sonno che può veramente avere una svolta e tornare a essere ristoratore quando il paziente invece durante la notte riceve la giusta quantità di farmaco che - ricorda - gli permette di riposare”.
Prima dell’avvento della terapia infusionale sottocute, “lo stesso tipo di farmaco veniva somministrato all'interno del sistema nervoso digerente - conclude Bentivoglio - e questo richiedeva necessariamente di fare un piccolo foro sulla parete addominale, che pure se mini-invasivo, significa sempre un tramite che condizionava anche la possibilità di svolgere alcune attività.
Salute e Benessere
College of Sciences a Malta: un ponte tra formazione...
in collaborazione con: Acs college
Come accade in tutti gli ambiti della società contemporanea, anche il settore accademico si adatta costantemente ai progressi, alle evoluzioni e alle sfide imposte dalla modernità, rispondendo alle nuove esigenze che questa comporta. In tale contesto, una delle richieste emergenti tra gli studenti è la crescente necessità di integrare le conoscenze teoriche con competenze pratiche, affrontando situazioni reali e concretamente legate al mondo del lavoro sin dalle fasi iniziali del percorso formativo.
Gli istituti universitari sono chiamati a rispondere a questa esigenza in continua evoluzione, e in tale scenario si distingue l'ACS Asomi College of Sciences, Istituto di Alta Formazione con sede a Malta e campus in Italia ed Europa. ACS è accreditato dalla Malta Further Higher Education Authority (MFHEA), un riconoscimento che ne attesta la qualità e l'affidabilità nel panorama educativo internazionale.
La missione primaria del College è quella di promuovere un'integrazione sinergica tra il mondo accademico e quello professionale, mettendo al centro un percorso formativo orientato al mercato del lavoro. L’obiettivo è fornire agli studenti una preparazione che vada oltre le conoscenze teoriche, equipaggiandoli con le competenze pratiche indispensabili per un inserimento rapido, efficace e di successo nel contesto professionale. In questo modo, il College garantisce un'esperienza formativa che non solo stimola la crescita intellettuale, ma prepara gli studenti ad affrontare con sicurezza le sfide e le opportunità di un mondo in continua evoluzione.
L’offerta formativa di ACS College of Sciences copre una vasta gamma di settori e ambiti professionali, tra cui spiccano i dipartimenti: Design & Fine Arts, Innovation & Technology, Finance and Law e Health & Sciences. Indipendentemente dalla scelta disciplinare degli studenti, basata sulle loro inclinazioni personali, l'elemento comune a tutte le aree è l'impegno a sviluppare una sinergia tra formazione accademica e mondo aziendale. Questo obiettivo viene perseguito attraverso collaborazioni internazionali, partnership strategiche e opportunità di stage, che consentono agli studenti di acquisire esperienza pratica e di entrare in contatto diretto con le dinamiche del mercato del lavoro. Un aspetto fondamentale di questo percorso formativo è rappresentato dalle competenze del corpo docente, che, grazie alla propria esperienza, garantisce un elevato livello di preparazione accademica. A supporto degli studenti, l'istituto offre programmi di tutoraggio personalizzati e servizi di consulenza, assicurando una guida costante e un ambiente di apprendimento favorevole alla crescita professionale e personale.
Il dipartimento più interessante e professionalmente stimolante dell’offerta formativa dell’ACS Asomi è sicuramente quello rivolto alle professioni sanitarie: Health & Sciences. La School of Medicine, infatti, nasce dallo sviluppo di questo dipartimento, il quale annovera fra i corsi di studio quelli in Osteopatia, Fisioterapia,
Igiene Dentale, Psicologia, Fisioterapia dello Sport (Master) e il Corso di Laurea a ciclo unico in Medicina e Chirurgia.
Proprio in quest’ultimo corso, emerge con forza l’importanza della connessione fra il mondo accademico e quello professionale, dove il tirocinio clinico ha un ruolo cruciale già a partire dal terzo anno di corso. Gli studenti avranno la possibilità di svolgere questa fondamentale esperienza pratica in strutture prestigiose in Italia e in Europa, grazie alle partnership solide di ACS Asomi.
Oltre al qualificato corpo docente, composto non solo da ricercatori e accademici, ma anche da medici specialisti, bisogna segnalare i servizi di tutoraggio e consulenza rivolte agli studenti. In questo contesto, ogni studente è accompagnato da una rete di esperti e mentori che lo supportano nel proprio percorso di crescita professionale, creando così una solida base per un inserimento efficace e sostenibile nel mondo del lavoro. Il successo di chi si forma all'ACS Asomi College of Sciences non è solo il risultato di un percorso accademico, ma di una preparazione integrata e mirata a rispondere alle richieste di un mercato in continua evoluzione.
Salute e Benessere
Diagnosi precoce schizofrenia, studio svela possibili...
La schizofrenia rappresenta uno dei disturbi psichiatrici con maggiori ricadute in termini di qualità della vita per chi ne è affetto e di costi per la salute pubblica. Tuttavia, le cause di questo disturbo restano ancora oggi in gran parte sconosciute, di fatto rendendo difficoltosa anche l’individuazione di marcatori biologici di diagnosi e prognosi di tale condizione. In questo scenario, una recente ricerca italiana ha portato alla luce conoscenze che potrebbero dare un impulso innovativo proprio alla diagnosi precoce della schizofrenia, svelando possibili biomarcatori nel sangue.
Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista internazionale Schizophrenia (Nature Group)*, è stato condotto presso il CEINGE Biotecnologie Avanzate Franco Salvatore di Napoli e coordinato da Alessandro Usiello, direttore del Laboratorio di Neuroscienze Traslazionali del CEINGE e professore ordinario di Biochimica Clinica dell’Università della Campania Lugi Vanvitelli, in collaborazione con i professori di Psichiatria Antonio Rampino e Alessandro Bertolino dell’Università di Bari Aldo Moro, con il dottor Matteo Vidali, direttore della Struttura Complessa di Patologia clinica dell’Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, e con Francesco Errico, professore di Biochimica dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.
"I nostri esperimenti - spiega Usiello – hanno rivelato che i livelli sierici di due amminoacidi atipici D-aspartato e D-serina, potrebbero rappresentare biomarcatori utili per tracciare gli stadi precoci di psicosi, prima che i sintomi della schizofrenia diventino clinicamente manifesti, candidandosi a diventare potenziali indicatori di rischio della transizione da fasi prodromiche del disturbo all’esordio conclamato della malattia". Inoltre, prosegue il neuroscienziato, "lo studio, durato oltre 5 anni e finanziato dai ministeri della Ricerca e della Salute e con i fondi Pnrr (progetto MNESYS), ha utilizzato una metodologia di chimica analitica per misurare i livelli di una serie di amminoacidi che modulano lo stato di attivazione di recettori noti per essere implicati nella fisiopatologia della schizofrenia. In particolare, grazie alla stretta collaborazione con l’Ospedale di Bari abbiamo esaminato 251 individui, suddivisi in quattro gruppi di diagnosi clinica, ciascuno ad un diverso stadio della malattia".
"Abbiamo notato differenze significative nella composizione amminoacidica del siero di questi differenti gruppi di individui - aggiunge Rampino, prima firma dello studio -. È venuto fuori un quadro biochimico che potrebbe indicare che la progressione da stadi prodromici e precoci della malattia a fasi in cui la stessa diventa clinicamente manifesta, fino a cronicizzarsi, sono caratterizzati da una diversa composizione del milieu di D-aminoacidi circolanti nel siero dei soggetti. I nostri risultati gettano le basi per un potenziale utilizzo di tali marcatori periferici nella diagnosi precoce e nella stadiazione della schizofrenia". "Gli esperimenti devono essere ripetuti e confermati in altri gruppi di pazienti presso altri ospedali italiani, in quanto potrebbero rappresentare un primo passo nella crescente ricerca di strategie per la diagnosi e l’intervento precoce nella schizofrenia" conclude Errico.
Salute e Benessere
Tumori, +30% diagnosi melanoma in 2024, mai così tanti
Non sono mai stati stimati così tanti casi di melanoma come per lo scorso anno. Nell’ultimo rapporto 'I numeri del cancro in Italia 2024', presentato dall’Associazione italiana di oncologia medica, le previsioni indicano come le diagnosi di melanoma possano raggiungere quota 17.000, circa 4.300 in più rispetto ai 12.700 registrati nel 2023. "Tuttavia, a questo bilancio delle diagnosi - commenta Paolo Ascierto, presidente della Fondazione Melanoma - si contrappongono gli eccezionali successi nella terapia. Grazie infatti all’immunoterapia anche nei casi di melanoma metastatico, le forme più gravi e contro le quali fino a poco tempo fa avevamo poche opzioni di cura, oggi il 50% dei pazienti sopravvive dopo 10 anni dalla diagnosi".
È per questo che nelle nuove linee guida sul melanoma della European Society for Medical Oncology (Esmo), pubblicate solo di recente, l’immunoterapia è passata dall’essere l’ultima opzione a terapia di prima scelta. In ogni caso "la possibilità che l’anno appena passato sia un’anno 'nero' per questa malattia è alta. Certo, questo numero così elevato può essere letto sia come una maggiore sensibilità della popolazione a sottoporsi a controlli regolari, fondamentali per una diagnosi precoce del tumore, che come una maggiore esposizione ai fattori di rischio, ad esempio ai raggi solari senza adeguata protezione o il ricorso ai lettini abbronzanti", aggiunge Ascierto
"Il melanoma – dice Ascierto – è uno dei principali tumori che insorgono in giovane età e costituisce in Italia attualmente il terzo tumore più frequente in entrambi i sessi al di sotto dei 50 anni. Negli ultimi 20 anni la sua incidenza è aumentata drammaticamente passando dai 6.000 casi nel 2004 agli 11.000 nel 2014, fino ad arrivare ai possibili 17.000 nel 2024". Anche le chances di sopravvivenza sono aumentate progressivamente e significativamente negli anni, in particolar modo grazie all’immunoterapia che occupa uno spazio di rilievo nelle ultime linee guida dell’Esmo. Le nuove raccomandazioni sono state messe a punto da un gruppo multidisciplinare di esperti provenienti da Europa, Stati Uniti e Australia e si basano sui dati scientifici più recenti.
"Nel documento l'immunoterapia adiuvante, quella post-intervento chirurgico - continua Ascierto - viene raccomandata sia nei casi di melanoma di stadio IIB e IIC, che di stadio III, quindi anche in presenza di malattia metastatica. L'immunoterapia adiuvante viene indicata anche come prima opzione nei casi di melanoma metastatico, prima o in sostituzione della terapia target. Inoltre, nelle nuove linee guida è presente la cosiddettà immunoterapia ‘dual block’, quella composta da due farmaci che agiscono su due 'blocchi' diversi di inibizione del sistema immunitario, da poco resa rimborsabile dall'Agenzia italiana del farmaco nei casi di melanoma non resecabile o metastatico".
Come atteso, gli esperti hanno inserito nelle raccomandazioni anche l'immunoterapia neoadiuvante, cioè quella che si somministra prima dell'intervento chirurgico, nei casi di melanoma metastatico.
"Le nuove linee guida tengono conto degli enormi progressi fatti nella diagnosi e nella cura di questa malattia in forte crescita. Ma anche se le terapie evolvono rapidamente, un punto rimane fermo e sempre valido ed è la prevenzione che rimane la nostra migliore arma contro il melanoma", conclude Ascierto.