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Cecilia Sala libera, quando i fatti pesano più delle opinioni

Il ritorno a casa della giornalista italiana detenuta in Iran era l'unico obiettivo possibile

Cecilia Sala

La liberazione di Cecilia Sala, dopo venti giorni di detenzione in Iran, è una notizia che riporta il sereno in una vicenda che aveva preso una pessima piega. La giornalista del Foglio e di Chora Media è finita in un complicato intreccio internazionale, utilizzata come arma di ritorsione dopo l'arresto in Italia, su richiesta degli Stati Uniti, dell'ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi.

Le prossime ore, e i prossimi giorni, aiuteranno a capire quale siano stati gli accordi presi per arrivare alla svolta di oggi, e quali saranno le conseguenze che ne deriveranno, ma c'è un elemento che è già chiaro: la sequenza dei fatti di queste settimane pesa più di qualsiasi opinione. Si possono discutere le scelte strategiche, le modalità e le procedure che sono state adottate, ma non ci sono dubbi sul risultato finale. La premier Giorgia Meloni, il suo governo, i servizi segreti italiani e la macchina diplomatica che è stata attivata sono riusciti a centrare l'unico obiettivo possibile: riportare a casa, più rapidamente possibile, la giornalista.

Il passaggio chiave è stato evidentemente il viaggio lampo di Meloni in Florida, a Mar a Lago, per incontrare Donald Trump. E' servito a creare le condizioni per un sostanziale via libera alla trattativa con Teheran e a rendere ancora più forte l'asse tra Roma e Washington, a pochi giorni dall'insediamento alla Casa Bianca del nuovo Presidente degli Stati Uniti. Un contatto diretto, faccia a faccia, ritenuto indispensabile per sbloccare una situazione complicata dalla richiesta di estradizione di Abedini e dalle decisioni ritenute necessarie per convincere l'Iran a liberare Sala.

Ci saranno delle conseguenze? Gli Stati Uniti avranno un credito da spendere con l'Italia? Tutto lascia presumere di sì. Quale peso hanno avuto le indiscrezioni sul contratto con Starlink, smentite dal governo almeno nella dimensione di causa ed effetto con l'affaire Sala, e il rapporto con Elon Musk? Andranno verificate e ponderate le prossime mosse, soprattutto in una chiave strategica di più ampio respiro. Ma oggi c'è un innegabile e tangibile risultato da rivendicare: Cecilia Sala è tornata libera grazie al lavoro fatto, su tutti i tavoli disponibili, da chi poteva e doveva farlo: Giorgia Meloni e tutte le altre personalità istituzionali coinvolte. (Di Fabio Insenga)

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Spettacolo

Djokovic: “Cosa penso se mi dite Sinner? Agli...

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L'ex numero uno al mondo si è raccontato in una lunga intervista, toccando temi di campo e non solo

Novak Djokovic - Fotogramma

Per Novak Djokovic, Jannik Sinner è sinonimo di... sci. Il serbo, ex numero 1 del mondo, non pensa al tennis quando sente nominare l'azzurro, attuale re dell'Atp. Una battuta o una frecciata? Nell'intervista a GQ, il fuoriclasse di Belgrado si sofferma su una serie di temi, compreso quello del ritiro: a quasi 38 anni, quanta benzina c'è ancora nel serbatoio?

"Ritiro? Penso più al come che al quando. Sul quando, non ci penso ancora così intensamente. Come vorrei chiudere? Immagino che se dovessi iniziare a perdere troppe volte, ad avvertire un divario sempre maggiore con gli avversari e ad avere più difficoltà a superare i veri ostacoli negli Slam, probabilmente la farei finita. Al momento, però, sto bene e continuo ad andare avanti", dice.

Djokovic, frecciata a Sinner?

Il 37enne serbo trova una parola per ognuno dei suoi rivali. "Roger Federer? Eleganza. Rafael Nadal? Tenacia. Carlos Alcaraz? Carisma. Jannik Sinner? Sci". Djokovic non ha nascosto il rispetto per Nadal: "Il più intimidatorio? Ti rispondo Nadal. Era famoso per questo".

Djokovic e il Covid

Djokovic, vincitore in carriera di 24 Slam, parla poi della sua espulsione dall'Australia del 2022, per non aver accettato il vaccino contro il Covid. "Si trattava di una questione politica. Non aveva nulla a che vedere con il vaccino, il Covid o qualsiasi altra cosa. Era solo politica. I politici non sopportavano la mia presenza. Per loro, era meno dannoso mandarmi via. Rientrato a casa, ho avuto dei problemi di salute. E mi sono reso conto che in quell’hotel di Melbourne mi hanno dato del cibo tossico. L’ho scoperto appena sono tornato in Serbia. Non l’ho mai rivelato a nessuno pubblicamente. Dalle analisi è venuto fuori che avevo in corpo un livello di metallo pesante davvero alto, c’erano piombo e mercurio. Ero decisamente malato. Sulle prime sembrava un’influenza, una banale influenza. Tuttavia, nei giorni successivi, quello che pensavo essere un male passeggero mi ha debilitato. Ho avuto diverse ricadute, finché sono stato costretto a sottopormi a una serie di esami tossicologici".

Il caso vaccini

Sul vaccino Covid, Djokovic spiega: "Non sono a favore dei vaccini. Non sono anti-vax. Sono un sostenitore della libertà di scegliere ciò che è giusto per te e il tuo corpo. Perciò, non credo sia corretto che qualcuno possa negarmi il diritto di scegliere cosa introdurre nel mio organismo. Sono una persona sana, mi prendo cura di me stesso, sto sempre attento alle mie esigenze di salute e sono un atleta professionista. E proprio perché sono un atleta professionista, sono estremamente cauto su cosa assumo e mi sottopongo regolarmente a esami, analisi del sangue e a qualsiasi altro tipo di controllo. So esattamente cosa sta succedendo. Perciò, non ho sentito il bisogno di farlo. Questo non significa che per me fosse ininfluente sapere di non essere un pericolo per gli altri. Non lo ero, avevo gli anticorpi".

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Esteri

Abedini, il legale integra istanza domiciliari:...

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L'integrazione dell'istanza è stata presentata alla corte d'Appello

Abedini, il legale integra istanza domiciliari: braccialetto e casa privata a Milano

La disponibilità degli arresti domiciliari con il braccialetto e a vivere da solo in un appartamento privato, in zona Washington a Milano, diverso da quello già proposto. E' l’integrazione dell'istanza presentata alla corte d'Appello, tramite il suo legale Alfredo De Francesco, da Mohammad Abedini Najafabadi, l'ingegnere iraniano bloccato a Malpensa lo scorso 16 dicembre su richiesta degli Stati Uniti, e ora nel carcere milanese di Opera. L’integrazione della richiesta è arrivata dopo il parere negativo della procuratrice generale di Milano Francesca Nanni sui domiciliari.

Del caso Abedini ha parlato oggi la premier Giorgia Meloni durante la conferenza stampa di inizio anno. Il caso "è al vaglio del ministero della Giustizia, al vaglio tecnico e politico. Anche seguendo quello che c'è scritto nel trattato di mutua cooperazione giudiziaria con gli Stati Uniti, bisogna continuare a discutere anche con i nostri amici americani: avrei voluto parlarne anche con il presidente Biden che doveva essere qui a Roma oggi", ha detto la presidente del Consiglio rispondendo a una domanda in conferenza stampa.

Sull'ingegnere iraniano, "le interlocuzioni ovviamente ci sono e ci sono state finora, ci saranno comunque e quindi insomma il lavoro è ancora molto complesso, non è una cosa che è terminata ieri, ma penso che si debba discutere dei dettagli nelle sedi che sono competenti", ha aggiunto Meloni.

In una intervista a 'La Stampa', il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha spiegato che "la situazione di Abedini è squisitamente giuridica, e va studiata nella sua complessità, indipendentemente dal felice esito della vicenda Sala". "Dell'estradizione è prematuro parlare - ha detto Nordio - anche perché sino ad ora la richiesta formale non è ancora arrivata al nostro ministero".

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Lavoro

Africa, Dal Checco (Assafrica): “Bene Meloni su piano...

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Il presidente: "Riconosciuto come unico vero piano per l'Africa sia da tutto il mondo dell'economia reale che dal mondo finanziario"

Massimo Dal Checco, presidente di Confindustria Assafrica & Mediterraneo

"Del Piano Mattei ci è piaciuta molto l'attenzione da parte del governo a un Continente in così forte sviluppo. Il Piano nel corso del 2024 è stato riempito piano piano di contenuti, e i contenuti hanno iniziato a dare risultati. E mano a mano che passava il tempo è stato come un aggregatore del sistema Paese, con le banche di investimento, la cooperazione economica, Confindustria. Tutti hanno iniziato a parlare del tema in modo più coordinato. Il Sistema Paese ha dato quindi attenzione, dal punto di vista dell'impresa, allo sviluppo del Continente. E quindi il Piano è diventato non solo strategico e importante per l'Italia, ma è riconosciuto come l'unico vero piano per l'Africa sia da tutto il mondo dell'economia reale che dal mondo finanziario". Così con Adnkronos/Labitalia, Massimo Dal Checco, presidente di Confindustria Assafrica & Mediterraneo, commenta le parole di oggi su Africa e Piano Mattei della premier Giorgia Meloni, nel corso della conferenza stampa con la stampa parlamentare.

Per Dal Checco quindi il Piano Mattei è diventato "un piano non più fatto solo di annunci e di che cosa si voleva fare, ma un piano concreto. Noi abbiamo fatto a settembre scorso un incontro con 70 aziende, al quale hanno partecipato tutti gli attori coinvolti".

E per Dal Checco è fondamentale che "con questo piano la cooperazione italiana, che prima era rivolta esclusivamente a tutto il mondo no profit, si sia rivolta anche al mondo profit. Perché si è capito che lo sviluppo economico in questi Paesi fa molto bene, anche associato a quella che era tutta la parte no profit".

Positivo per Dal Checco, l'ampliamento del Piano ad altri Paesi, come annunciato dalla premier. "Da due punti di vista: il primo motivo sicuramente per le imprese, per avere più opportunità di più Paesi dove si può essere appoggiati dal piano Mattei. Ma l'altra cosa secondo me molto importante, non solo dal punto di vista economico, è contribuire alla crescita dell'Africa in un'etica che è conforme alla nostra, in modo tale da avere più facilità di rapporto nel futuro", sottolinea. E il prossimo 22 gennaio Confindustria Assafrica & Mediterraneo terrà la propria assemblea pubblica che sarà occasione per fare il punto proprio con le imprese associate sul piano Mattei.

(di Fabio Paluccio)

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