Caos Procure, giudici: ”Da pm Fava accesso abusivo per creare dossier”
Le motivazioni della sentenza del Tribunale di Perugia, ‘piuttosto che denunciare ha consegnato documenti a Palamara per ‘sensibilizzare’ ambienti a lui favorevoli’
“Se Fava sapeva (e stava già operando verifiche documentali contro Ielo), doveva o segnalare i fatti al capo dell'ufficio o denunciare, e non già accedere a Tiap e stamparsi sentenza e verbali, e soprattutto, tenerseli per sé, quasi (ed anzi senza quasi) a precostituirsi una sorta di dossier”. È quanto scrivono i giudici di Perugia nella sentenza con cui lo scorso 10 luglio hanno condannato l’ex pm di Roma Stefano Rocco Fava a 5 mesi, pena sospesa, per accesso abusivo, assolvendolo invece dalle accuse di abuso d’ufficio “perché il fatto non sussiste” e da quella di concorso in rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio insieme a Luca Palamara “per non aver commesso il fatto”.
Nel processo, che vede come parte civile il magistrato Paolo Ielo, a Fava, all’epoca dei fatti sostituto procuratore nella capitale e ora giudice civile a Latina, viene contestato di essersi "abusivamente introdotto nel sistema informatico Sicp e nel Tiap acquisendo verbali d'udienza e della sentenza di un procedimento". Fatto che secondo i pm Gemma Miliani e Mario Formisano avveniva "per ragioni estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso era attribuita". Il suo obiettivo, secondo l’atto di accusa "era di avviare una campagna mediatica ai danni di Pignatone, da poco cessato dall’incarico di procuratore di Roma e dell'aggiunto Paolo Ielo". Secondo l’accusa Fava avrebbe acquisito atti di procedimenti penali "per far avviare un procedimento disciplinare nei confronti dell'allora procuratore Pignatone" e "effettuare una raccolta di informazioni volta a screditare Ielo, anche attraverso l'apertura di un procedimento penale a Perugia" e quindi "a cagionare agli stessi un danno ingiusto".
“Tra l'altro - si legge nelle 232 pagine di motivazioni- Fava stampa non solo la sentenza, ma parla con Palamara e stampa anche i verbali del procedimento. Ma se voleva accertare se e come aveva concluso Ielo, perché stampare tutti i verbali? Appunto non per denunciare ma per crearsi un dossier. Sul punto - sottolineano i giudici umbri - appare davvero inconsistente, e si commenta da sé, l'argomentazione di Fava di non aver fatto in tempo per denunciare perché chiamato ad interrogatorio dal pm di Perugia (oltre 20 giorni dopo)”.
Per i giudici di Perugia “la scelta processuale di non impugnare una sentenza assolutoria è valutazione tecnico-discrezionale del pm in sé priva dei connotati di una violazione del dovere di imparzialità (a maggior ragione quando neppure la Procura Generale ha ritenuto di dover impugnare). L'incarico all’avvocato Domenico Ielo (fratello del magistrato Paolo Ielo ndr.) veniva conferito a distanza di oltre due anni rispetto alla sentenza assolutoria nei confronti di Bruno Brunella e alla scelta di Paolo lelo di non impugnare, e, tra l'altro, in esito non già ad una decisione di affidamento proveniente dal professor Bruno (a sua volta nominato non ad personam ma in base ad una procedura di sorteggio) bensì ad una valutazione tecnica delle capacità professionali dell’avvocato lelo operata da un organo collegiale, susseguente ad un beauty contest, e pur dopo che la società Condotte aveva rinunciato al concordato preventivo e si era applicata la procedura di cui alla Legge Marzano. In buona sostanza - sottolineano i giudici - Paolo lelo avrebbe dovuto esercitare delle virtù predittive di portata evidentemente divina”.
Inoltre, “la pattuizione di un corrispettivo all'ignaro fratello per una prestazione professionale non riveste, in sé i caratteri dell'utilità illecita dovendosi, appunto, provare il legame sinallagmatico (nel caso di specie neppure ipotizzabile). In sostanza - si legge - non un'ipotesi investigativa, ma un vero e proprio esercizio di fantasia, impensabile non solo per un pm esperto come Stefano Fava, ma anche per uno studente universitario. L'insensatezza della costruzione di una corruzione susseguente in esito alla vicinanza tra il professor Bruno e Amara è, se possibile, ulteriormente asseverata dal fatto che Amara aveva già collaborato con la Procura di Roma e definito gran parte delle sue posizioni per i fatti di corruzione, mentre doveva definire un procedimento per bancarotta e, al momento dell'incarico a Domenico Ielo non era sottoposto ad indagini per la vicenda Napag”.
“Ed infine va ancora una volta rimarcato che Fava, piuttosto che denunciare, ha consegnato documenti a Palamara per ‘sensibilizzare’ ambienti a lui favorevoli - scrivono i giudici di Perugia- Ed infatti, l'attività di accesso avviene in non casuale concomitanza temporale con ripetute, prolungate, comunicazioni con Palamara, del cui astio verso Pignatone e Ielo Fava stesso era, come si è visto, perfettamente consapevole”.
In merito alle assoluzioni dall’accusa di rivelazione contestata a Palamara e Fava di aver rivelato notizie d'ufficio "che sarebbero dovute rimanere segrete", per i giudici perugini “la circostanza che gli imputati avessero accolto favorevolmente la pubblicazione degli articoli di stampa, per motivazioni distinte, in assenza di ulteriori elementi probatori concretamente valorizzabili al fine di ricostruire con ragionevole certezza la dinamica prodromica alla divulgazione delle notizie coperte da segreto investigativo, consente, al più, di ipotizzare condotte di mera connivenza, o di adesione morale all'iniziativa, ma è inidoneo a sostanziare l'ascrizione di responsabilità per il reato contestato”.
“Nella medesima prospettiva, appare verosimile che, come dagli stessi riferito in sede di esame testimoniale, gli autori degli articoli di stampa si siano avvalsi di più canali informativi, collazionando plurimi dati e pervenendo alla redazione dell'articolo mediante giustapposizione di contenuti di conoscenza acquisiti in diverse sedi. Né può ritenersi - si legge nella sentenza - alla luce della dimensione di circolazione delle informazioni pubblicate, che le stesse fossero nella esclusiva disponibilità di Stefano Fava, il quale solo avrebbe potuto veicolarle agli autori degli articoli, direttamente o per il medio di Luca Palamara. La tesi del Csm e degli uffici di Procura romani come reparti a ‘compartimenti stagni’ appare, infatti, alla luce delle considerazioni svolte, un assunto smentito dall'evidenza fattuale. Per completezza va rammentato, sul punto, come il focus della norma si appunti sulle notizie presidiate da segreto investigativo, e l'eventuale comunicazione di dati ulteriori, pur riportati nell'articolo di stampa, da parte degli odierni imputati, non varrebbe comunque a sostanziare un giudizio di penale responsabilità” concludono i giudici di Perugia.
Cronaca
Superenalotto, numeri combinazione vincente oggi 9 gennaio
Centrato un '5' da 177.381,44 euro
Nessun '6' né '5+1' al concorso del Superenalotto di oggi, 9 gennaio 2024 ma centrato invece un '5' da 177.381,44 euro. La schedina vincente è stata giocata presso un punto vendita di Cirò Marina (KR). Il jackpot per il prossimo concorso sale a 56,8 milioni di euro. Si torna a giocare domani, venerdì, per la penultima estrazione settimanale.
Come si vince, i punteggi e i premi
Al SuperEnalotto si vince con punteggi da 2 a 6, passando anche per il 5+. L'entità dei premi è legata anche al jackpot complessivo. In linea di massima:
- con 2 numeri indovinati, si vincono orientativamente 5 euro;
- con 3 numeri indovinati, si vincono orientativamente 25 euro;
- con 4 numeri indovinati, si vincono orientativamente 300 euro;
- con 5 numeri indovinati, si vincono orientativamente 32mila euro;
- con 5 numeri indovinati + 1 si vincono orientativamente 620mila euro.
Quanto costa giocare
La schedina minima nel concorso del SuperEnalotto prevede 1 colonna (1 combinazione di 6 numeri). La giocata massima invece comprende 27.132 colonne ed è attuabile con i sistemi a caratura, in cui sono disponibili singole quote per 5 euro, con la partecipazione di un numero elevato di giocatori che hanno diritto a una quota dell'eventuale vincita. In ciascuna schedina, ogni combinazione costa 1 euro. L'opzione per aggiungere il numero Superstar costa 0,50 centesimi.
La giocata minima della schedina è una colonna che con Superstar costa quindi 1,5 euro. Se si giocano più colonne basta moltiplicare il numero delle colonne per 1,5 per sapere quanto costa complessivamente la giocata.
Come scoprire se la schedina è vincente
E' possibile verificare eventuali vincite attraverso l'App del SuperEnalotto. Per controllare eventuali schedine giocate in passato e non verificate, è disponibile on line un archivio con i numeri e i premi delle ultime 30 estrazioni.
La combinazione vincente
La combinazione vincente del concorso di oggi del Superenalotto: 15, 33, 40, 71, 74, 82. Numero Jolly: 89. Numero Superstar: 15.
Cronaca
Carceri: mons. Ambarus a Meloni: “Posizione...
Il vescovo che ha attraversato la Porta Santa col Papa a Rebibbia: "Noi continueremo a batterci"
La "posizione securitaria" sulle carceri "non è la strada". Parola di mons. Benoni Ambarus, vescovo ausiliare di Roma per l’ambito della diaconia della carità, il sacerdote che ha attraversato la Porta Santa nel carcere di Rebibbia col Papa, che commenta così all'Adnkronos le dichiarazioni di Giorgia Meloni che oggi, in conferenza stampa di inizio anno, ha sostanzialmente detto no all’amnistia ai detenuti per risolvere i problemi delle carceri. “E’ chiaro che chi non ha contezza del fatto che ci sono reati che possono essere gestiti diversamente adotta la posizione securitaria, ma non è questa la strada”, osserva Ambarus.
“Più che per catturare consenso" le parole di Giorgia Meloni dimostrano che non c'è "contezza dell’umanità che sta dentro al carcere. Si ha una idea come se tutti fossero brutalmente delinquenti, mi dispiace di questo. Un approccio più umanitario non va a discapito della società ma è’ un guadagno. L’umanizzazione del carcere significa umanizzazione dei carcerati, gli appelli del Papa vanno in questa direzione”.
“Noi però - incalza mons. Ambarus - non smetteremo di parlare lo stesso e di chiedere perché è proprio il tema del Giubileo: la speranza non delude. Noi continueremo a dire: provate a capire un po’ meglio cosa c’è dentro un carcere, potreste cambiare idea”. La richiesta di amnistia o di condono della pena e’ uno dei punti cruciali della bolla ‘Spes non confundit’ con cui il Papa ha indetto il Giubileo.
Cronaca
Emanuela Orlandi, mons. Vergari: “Mai conosciuta e De...
L'ex rettore della Basilica di Sant'Apollinare ha parlato nel corso di un'audizione davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta
Non ha mai visto, conosciuto o incontrato Emanuela Orlandi quando era rettore della Basilica di Sant'Apollinare. Lo ha riferito, rispondendo alle domande dei commissari, monsignor Pietro Vergari, ex rettore della basilica dove in una cripta fu sepolto Enrico De Pedis, nel corso di un'audizione davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori. Un'audizione molto complicata e a tratti confusa per le condizioni di mons. Vergari che, in sedia a rotelle, ha parlato con un filo di voce.
Nel corso dell'audizione mons. Vergari ha raccontato della sua conoscenza con De Pedis e rispondendo alle domande dei commissari ha detto di averlo conosciuto "prima" della scomparsa di Emanuela Orlandi. Mons. Vergari ha riferito di ricordare che De Pedis "era stato in prigione" dove aveva una buona condotta e che frequentava "la chiesa di Sant'Apollinare" ed "era molto affezionato alla chiesa". De Pedis le ha mai parlato di Emanuela o della vicenda Orlandi? "No", ha replicato mons. Vergari.
Secondo quanto riferito da don Vergari, suor Dolores, all'epoca direttrice della scuola di musica, conosceva De Pedis che, oltre Sant'Apollinare, secondo l'ex rettore della basilica, sosteneva economicamente anche la scuola con "piccole donazioni". Nel corso dell'audizione, replicando ai commissari, mons. Vergari ha anche detto di non aver "mai" conosciuto Sabrina Minardi, ex di De Pedis.