Disfunzione erettile, cresce consumo ‘pillole del sesso’: pochi gli impianti protesi pene
Il caso dell'ex falconiere della Lazio Bernabé riaccende i riflettori sulla gestione del problema
Il caso dell'ex falconiere della Lazio Juan Bernabé - che si è sottoposto all'impianto di una protesi peniena - ha riaccesso le luci sulle possibilità oggi offerte dalla chirurgia rispetto a un problema della sessualità maschile, la disfunzione erettile, dovuto spesso alle conseguenze di malattie oncologiche. Bernabé, in un'intervista dopo le polemiche per la pubblicazione di un video esplicito post operazione, ha raccontato che "mi affidavo giornalmente alle pasticche come il Cialis per aumentare la mia potenza sessuale".
I farmaci per la disfunzione erettile, spesso ribattezzati 'pillole del sesso', si confermano tra quelli maggiormente acquistati dai cittadini: nel 2023 la spessa annuale - secondo l'ultimo rapporto Osmed dell'Aifa - è stata di 250 milioni di euro, pari a 10,38 euro pro capite e in aumento del 3,9% rispetto al 2022. Ma negli ultimi 8 anni il consumo di questa categoria di farmaci "evidenzia una costante crescita, con un incremento del 56% tra il 2016 e il 2023". Non si può dire la stessa cosa delle protesi peniene.
Stando ai dati del Registro nazionale della Sia (la Società italiana di andrologia), "a fronte di 3mila richieste, le protesi erogate sono circa 400 l'anno, concentrate per il 75% fra Nord e Centro". Sempre la Sia ricorda che "ogni anno in Italia circa 20mila uomini vengono sottoposti a un intervento di rimozione radicale della prostata a seguito di un tumore e, di questi, almeno 10mila vanno incontro a disfunzione erettile con indicazione all'impianto di protesi peniena per risolverla". Non tutte le Regioni mettono a disposizione gratuitamente la protesi, che ha dei costi molto alti e necessita di chirurghi specializzati.
L'impianto infatti non è inserito nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), così solo poche strutture pubbliche lo assicurano e "appena il 10% degli italiani che hanno bisogno di una protesi peniena riesce a farsi operare in ospedale per tornare a una normale attività sessuale. Il restante 90% è costretto a ricorrere al privato", evidenzia la Sia. Come ha fatto Bernabé, affidandosi al chirurgo Gabriele Antonini.
Salute e Benessere
Violenze in pronto soccorso, i progetti di Asl e ospedali...
La mappa della Fiaso: da body-cam a infermieri di processo, fino a volontari che raccolgono le esigenze specifiche delle persone in sala d'attesa
Il 2024 potrebbe essere stato l'anno nero delle aggressioni ai danni degli operatori sanitari. Il trend dalla fine del Covid è comunque in crescita, si stima solo per l'anno passato un +33% di episodi e anche il 2025 si è aperto con diversi fatti violenti nei pronto soccorso. Lo scorso anno il Governo è corso ai ripari approvando un Dl che prevede l'arresto obbligatorio in flagranza e, a determinate condizioni, l'arresto in flagranza differita per i delitti di lesioni personali commessi nei confronti di professionisti. Il Dl ha introdotto anche il reato di danneggiamento delle strutture sanitarie pubbliche. Ma le Asl e gli ospedali non sono stati a guardare. Da Nord a Sud ci sono stati interventi su questo fronte e una ricognizione per l'Adnkronos Salute l'ha realizzata la Fiaso, la Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere. Rispetto all'emergenza violenza, la Fiaso ricorda che "in 7 pronto soccorso su 10 è operativo personale di sorveglianza coadiuvato da sistemi elettronici di telecamere e in oltre metà dei nostri Dea sono presenti presidi fissi di polizia".
La mappa dei progetti 'anti-violenza' delle Asl-ospedali . L'Ausl di Piacenza, storicamente in prima fila sul problema delle aggressioni agli operatori, ha organizzato diversi convegni negli anni passati, attuando alcuni interventi nei pronto soccorso. Ad esempio, l'allestimento di cartelli e video con spiegazione dei motivi delle attese, dei criteri con cui vengono definite le priorità e con l'aggiornamento in tempo reale; la presenza fissa di volontari che raccolgono le esigenze specifiche delle persone in sala d'attesa e le comunicano agli operatori sanitari; il pre-triage non sanitario a cura di personale della sicurezza, per filtrare gli accessi, individuando tempestivamente particolari segnali di pericolo; la formazione specifica degli operatori su modalità comportamentali e organizzative per evitare potenziali aggressioni.
L'Areu (Agenzia regionale per l'emergenza urgenza) della Lombardia ha adottato delle 'body-cam' indossate dagli operatori per riprendere in video i soccorsi fatti a domicilio dei pazienti, questo perché diversi episodi di violenza si sono verificati in tali circostanze.
Il 21 aprile 2023 perse la vita a Pisa, dopo essere stata brutalmente aggredita, la psichiatra Barbara Capovani. Sulla scia di questo episodio che colpì la comunità locale e l'intero Paese, l'Azienda ospedaliera universitaria pisana ha puntato molto sulla prevenzione con una strategia a 360 gradi e interventi anti aggressione. Ad esempio, la disposizione di telecamere interne nei luoghi a maggior rischio; i pulsanti di allarme al bancone per segnalazione di pericolo; il protocollo di intesa con la Prefettura con organizzazione del supporto delle forze dell'ordine; l'attivazione dell'emergenza con numero preferenziale per l'invio di una volante del 112; gli incontri con forze dell'ordine per descrizione di criticità e raccolta di consigli da parte della polizia; il sopralluogo sistematico di équipe incaricata in seguito a segnalazione di episodio di violenza; la formazione degli operatori sulla comunicazione con gli utenti; gli interventi sugli utenti con l'obiettivo della pacificazione fra operatori e utenti.
La Regione Siciliana ha definito un gruppo di lavoro sul tema delle aggressioni degli operatori sanitari e ha redatto delle linee guida per le aziende che includono: la valutazione del rischio (con 'check list'), l'analisi degli episodi di violenza, le misure di prevenzione (strutturali e tecnologiche, organizzative e relazionali), modalità di formazione degli operatori.
L'Asl di Salerno ha promosso la sperimentazione delle body-cam, come quelle già in uso alla forze di polizia, per riprendere quello che accade davanti all'operatore o soccorritore sanitario che le indossa.
La Puglia a settembre 2024 è stata il teatro di uno dei fatti di cronaca che ha lasciato il segno nell'immaginario collettivo: i medici dell'ospedale di Foggia asserragliati perché minacciati da un gruppo di persone dopo la morte di una ragazza. Il video ha fatto il giro dei social. Sulla scia anche di quel fatto, è partita dal Policlinico di Bari l'istituzione in Puglia dell'infermiere di processo. E' una figura sanitaria a cui è affidato il compito di fornire supporto, dopo la fase di triage, ai pazienti, offrendo supporto e chiarimenti sulle procedure e i tempi di attesa. Al contempo fornisce informazioni sull'iter clinico anche ai familiari in attesa, migliorando la trasparenza e riducendo l'insorgere di possibili conflittualità, anche segnalando eventuali criticità sulle tempistiche nell'esecuzione di esami. L'infermiere di processo collabora con il team sanitario del pronto soccorso anche per ottimizzare i il flusso di pazienti. La Regione Puglia ha poi approvato a luglio del 2024 le 'Linee di indirizzo per la prevenzione, protezione e gestione degli atti di violenza a danno degli operatori sanitari e socio-sanitari', che integra gli elementi di sicurezza sul lavoro alle raccomandazioni ministeriali in ambito di rischio clinico. La figura dell'infermiere di processo è oggi presente nei principali pronto soccorso della regione.
Sul fronte delle violenze ai danni degli operatori sanitari, "per quanto riguarda la deterrenza non possiamo fare di più. L'ultimo Dl anti-aggressioni - che ho condiviso ed era giusto fare - è andato in questa direzione, ma dobbiamo ragionare sul fatto che si deve puntare sulla prevenzione. Cosa vuol dire? - spiega Giovanni Migliore, presidente della Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere. Come Fiaso abbiamo analizzato il fenomeno e le situazioni di rischio, ed emerge che il tema delle violenze non è legato agli ospedali delle città perché la metà degli episodi avvengono nei piccoli centri e sul territorio. Quindi occorre rivedere il sistema della continuità assistenziale, perché oggi non ci possiamo permettere che le guardie mediche siano esposte a rischio e serve uno sforzo per analizzare le condizioni in cui operano e modificare la dislocazione delle strutture. Ma non è secondario che più viene sollecitato un sentimento di disaffezione nei confronti del Ssn e di coloro che ci lavorano e più si creano le condizioni" per alcune tipologie di episodi di violenza". (di Francesco Maggi)
Attualità
Quel mostro invisibile: la storia di Debora e la sua lotta...
Non è mai facile raccontare il dolore, quello invisibile. Ma è ancora più difficile viverlo sulla propria pelle ogni giorno, sapendo che non se ne andrà. Debora lo sa bene: tutto è cominciato con un fastidio al collo, qualcosa di apparentemente banale. Aveva venticinque anni, una vita davanti e mai avrebbe immaginato che quel piccolo dolore sarebbe diventato il primo segnale di una battaglia senza fine. Ora, a trentanove anni, ripercorre quegli anni con lucidità ma anche con un filo di amarezza.
Debora ci pensa, con la faccia che mescola amarezza e rassegnazione. “I sintomi? Ce li avevo già da anni, ma mica li prendevo sul serio”, dice con un sorriso stanco. All’inizio erano dolori strani, un po’ al collo, poi giù fino alla schiena, alle gambe. Roba che uno pensa: stress, posture sbagliate, forse l’età. Niente che ti mandi subito dal medico, insomma. E invece. Le analisi, le visite, i farmaci buttati giù come caramelle senza effetto. Un girotondo di speranze e delusioni. Finché, un giorno, un reumatologo non mette insieme i pezzi di questo puzzle maledetto: fibromialgia. E te lo dice così, dritto in faccia, senza giri di parole: “Non si cura. Non davvero. Devi imparare a viverci.” Boom. Ti casca il mondo addosso. E in quel momento capisci che niente sarà più semplice. Niente.
È una condizione che prosciuga. Non solo le energie ma anche la pazienza, la fiducia, la voglia di affrontare le giornate. Il dolore è costante, spesso insopportabile. A volte, persino sorridere diventa un gesto che richiede uno sforzo immenso. Debora lo sa bene: i muscoli del viso così tesi da dover usare un bite notturno per alleviare la rigidità della mascella. Ma è il dolore invisibile a fare più male. Quello che gli altri non vedono, che non riescono a capire.
“Non sembri malata.” Quante volte si è sentita dire questa frase? E quante volte ha dovuto spiegare, giustificare, difendersi? Il medico del lavoro, un giorno, ha persino insinuato che stesse fingendo. Una pugnalata, più che un dubbio. “Non è facile far capire agli altri che il dolore c’è, anche se non si vede”, confessa. E questa incomprensione è una ferita che non si rimargina mai del tutto.
Per ventun anni, Debora ha lavorato in fabbrica. Un ambiente ostile per chiunque, figuriamoci per chi deve affrontare una malattia debilitante. Temperature estreme, movimenti ripetitivi, il peso del giudizio altrui. Ma lei ha resistito. Ha continuato, giorno dopo giorno, anche quando il suo corpo sembrava gridare basta. Finché non è arrivato un problema serio, l’ennesimo: un’ernia espulsa al collo, con il rischio concreto di perdere l’uso di un braccio. A quel punto, anche i colleghi e i superiori hanno dovuto arrendersi all’evidenza. Ma la sensazione di dover sempre dimostrare qualcosa non l’ha mai abbandonata.
Eppure, in mezzo a tanto buio, Debora ha trovato anche qualche spiraglio di luce. Uno di questi è arrivato grazie a un fisioterapista con una marcia in più. Non solo competenze tecniche, ma anche una formazione da mental coach. “Mi ha insegnato a credere di nuovo in me stessa”, racconta. Quando è arrivata nella sua clinica, il muscolo del braccio sembrava svanito. In pochi mesi, grazie a esercizi mirati e tanta forza di volontà, quel braccio è tornato a funzionare. Un piccolo miracolo che le ha ridato speranza: la dimostrazione che, con il medico giusto, si può davvero fare la differenza.
Ma non è solo una questione fisica. La fibromialgia colpisce anche e forse soprattutto, a livello psicologico. Debora ha visto amiche abbandonare il lavoro, persone cadere in depressione, altre ancora lottare contro l’indifferenza generale. E poi c’è il peso economico: la malattia non è riconosciuta tra i livelli essenziali di assistenza del sistema sanitario italiano. Questo significa che ogni visita, ogni terapia, ogni aiuto deve essere pagato di tasca propria. Un fardello pesante, per chi già vive una situazione complicata.
Proprio da questo senso di oppressione è nata l’idea di raccontare la sua storia. Un giorno, Debora si è imbattuta in una giovane regista con un progetto ambizioso: realizzare un cortometraggio sulle vite di chi combatte contro malattie invisibili. “Quel mostro invisibile” è il titolo del cortometraggio che racconterà la sua battaglia contro la fibromialgia. Le riprese inizieranno a Napoli il 26 gennaio e anche se Debora non potrà essere presente fisicamente, ci sarà comunque. Con un videomessaggio rivolto ai medici, ai malati, a tutti coloro che vogliono capire.
Cosa si può fare in quindici minuti? Non molto, direbbe qualcuno. Ma Debora ci crede: è sufficiente per aprire una porta, per accendere una scintilla. Questo cortometraggio, “Quel mostro invisibile”, non è un film qualunque. Vuole gridare una verità scomoda, quella che tanti non vogliono ascoltare: la fibromialgia è reale. Ti logora, ti piega, ma non ti spezza se trovi il modo di reagire. Ecco, quindici minuti per mostrare tutto: il dolore che ti annienta, le persone che non ti credono, i soldi che finiscono in cure e terapie. E poi quella forza che ti risale da dentro, quella voglia testarda di non mollare, di guardare il mostro negli occhi e dirgli: “Tu non mi avrai.”
Debora spera che questo film breve non resti uno dei tanti. Desidera che tocchi, che scuota, che faccia male ma che, allo stesso tempo, dia speranza. Anche se cambierà solo un’idea, solo una piccola mentalità, sarà un passo avanti. E Debora è pronta a scommetterci tutto.
“Non cerco compassione”, dice. “Voglio solo che ci sia riconoscimento, rispetto. Voglio che chi soffre non si senta più solo e che chi non conosce questa malattia impari a guardare oltre le apparenze.”
Perché, alla fine, la fibromialgia è questo: un mostro invisibile che ti accompagna ogni giorno. Ma che, con la giusta consapevolezza, si può affrontare. E se anche una sola persona, guardando il cortometraggio, troverà un po’ di forza o di speranza, allora tutto questo sarà servito a qualcosa.
Salute e Benessere
Farmaceutica: J&J MedTech Italia, Nicolas Reboud a capo...
L'Ad e presidente Fischetto, 'area fondamentale di crescita per il nostro business'
Una forte esperienza, un background eterogeno e la capacità di leadership dimostrata negli anni: sono i motivi che hanno portato Nicolas Reboud alla guida della divisione Orthopedics di Johnson & Johnson MedTech Italia. Come spiega la farmaceutica, Reboud - nato in Nicaragua, ma cittadino francese, una laurea in Business Administration presso l'Università di Miami, in Florida, e un Mba alla Bocconi - guiderà questo settore considerato dall'azienda un'area di business strategica con una ampia offerta di soluzioni e tecnologie per la chirurgia ortopedica e traumatologica e dove - come è stato recentemente annunciato - è entrata anche in Italia la robotica per la chirurgia del ginocchio.
"L'ortopedia rappresenta per noi di J&J MedTech Italia un'area fondamentale di crescita per il nostro business e soprattutto in Italia, dove l'età media della popolazione avanza, esistono interessanti prospettive per dare il nostro contributo a migliorare sempre di più la qualità di vita dei pazienti anche in questo ambito - afferma Gabriele Fischetto, presidente e amministratore delegato J&J MedTech Italia, al quale Reboud riporterà direttamente - Siamo certi che Nicolas in questo nuovo ruolo, grazie alla sua esperienza maturata in questi anni all'interno dell'azienda, possa guidarci per raggiungere obiettivi importanti".
Negli anni, Reboud ha assunto ruoli di crescente responsabilità su più piattaforme dell'azienda come Product Manager, Marketing Manager, Sales Manager e Sales Director sino a quando, nel 2019, è stato nominato Business Unit Director per Joints Italy. Nel 2020 si è occupato della zona dell'Europa centrale e orientale come Strategic Marketing & Customer Solutions Director della divisione Orthopaedics, dove ha giocato con successo un ruolo chiave legato alla strategia del franchising. Nel 2022, quando è stato nominato Business Unit Director Orthopaedics per la Francia, dove si è trasferito per entrare a far parte dell'organizzazione francese MedTech, ha dimostrato grandi capacità raggiungendo la più alta crescita di vendite dell'ultimo decennio, legata anche al lancio della soluzione di robotica assistita in questa area. "Tornare in Italia in questo nuovo ruolo - commenta Reboud - rappresenta per me una sfida importante: oltre all'entusiasmo porto con me anche la voglia di mettere la mia esperienza al servizio dell'organizzazione italiana, dove sono certo che potrò contare sulla collaborazione di un team di professionisti di valore per accelerare sempre di più sulle soluzioni di cura innovative che stiamo portando anche in Italia, grazie anche alle prime istallazioni del nostro più avanzato sistema di chirurgia robotica del ginocchio, che sta già dimostrando le sue potenzialità nell'assistere sempre meglio i nostri clienti e i pazienti italiani", conclude.