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"Ci sono alcuni che sbagliano e poi c’è il grosso dei carabinieri che fa cose giuste. Qui hanno sbagliato"

Beppe Sala

"Qui i carabinieri hanno sbagliato, hanno fatto un inseguimento notturno di 20 minuti e in ogni caso quelle parole sono inaccettabili". Giuseppe Sala, sindaco di Milano, si è espresso così sul caso della morte di Ramy Elgaml, il giovane deceduto dopo lo schianto dello scooter su cui viaggiava e che era guidato da un altro ragazzo. I due erano inseguiti da un'auto dei carabinieri: i militari sono al centro di un un'inchiesta deve stabilire la dinamica dell'episodio.

Sul video registrato dalla dashcam di una delle auto dei carabinieri, che documenta l'inseguimento al motorino, "mi son fatto l’idea che ora, come dice il padre, non dobbiamo andare addosso ai carabinieri. Ci sono alcuni che sbagliano e poi c’è il grosso dei carabinieri che fa cose giuste. Qui hanno sbagliato, hanno fatto un inseguimento notturno di 20 minuti e in ogni caso quelle parole sono inaccettabili", ha detto Sala a Rtl 102.5 riferendosi anche alle frasi pronunciate da alcuni carabinieri nel corso e alla fine dell'inseguimento.

"Dobbiamo anche riconoscere che le forze dell’ordine fanno una fatica tutti i giorni per cercare di garantire la nostra sicurezza" ha sottolineato il sindaco. A chi gli chiedeva poi se a Milano si integrano bene le persone immigrate, dappertutto, Sala ha risposto: "Del tutto ovviamente no. Però posso dire che quando si parla di periferie, c’è stato un grande miglioramento in tanti luoghi periferici. Poi ci sono realtà, come il Corvetto e San Siro, dove dobbiamo ancora lavorare, ne siamo assolutamente consapevoli".

La vicenda Ramy "spiega e dice tante cose - ha evidenziato Sala -. Da un lato il malessere che si cova in certe parti della città, e dall’altro basta guardare la reazione della famiglia di Ramy e del padre in particolare, che è veramente incredibile. Quel ragazzino, come nessuno di noi, non sarà stato un santo, ma aveva la bandiera dell’Italia in camera. Stiamo attenti a creare queste categorie, sennò non andiamo da nessuna parte. Sono meravigliato dalla continua reazione del padre di Ramy e dalla continua capacità di stare dalla parte giusta. Poi che ci sia ancora da lavorare è assolutamente certo".

Il tema della sicurezza è di attualità, in particolare a Milano. "Elly Schlein ha ragione su un punto: non si può attribuire tutto al tema immigrazione. E che la destra soffi sul fuoco, questo da sempre. Sono 9 anni che sono sindaco, me ne sono fatto una ragione, e alla fine è sempre colpa del sindaco", ha detto Sala rispondendo a chi gli chiedeva se ha ragione la segretaria del Pd quando dice che sui presunti autori di episodi violenza c’è una parte politica che soffia sul fuoco o se esiste un problema oggettivo con l'immigrazione da gestire.

"Io sono qua perché capisco e non vivo sulla Luna - ha spiegato -. Quando vado al bar, la gente mi parla di sicurezza, stadio, e se questo è il sentimento, chi fa il sindaco deve esser pronto ad ascoltare e fare le cose". Quindi, "lo dico a tutti i miei concittadini e concittadine - ha evidenziato Sala -. Noi dell’immigrazione, facciamocene una ragione, abbiamo bisogno. La nostra bella vita, quando vai al ristorante...chi sta in cucina? Quando cerchi un infermiere, una badante, il lavoro in casa. Quindi mettere tutto insieme non va bene. Il punto è che ciò non deve portare alla rinuncia di vivere in una realtà dove la gente si sente sicura".

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Attualità

Addio a David Lynch: il maestro che ha riscritto il cinema

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David Lynch ci ha lasciati. Se ne è andato quel visionario che ha saputo trasformare il cinema in qualcosa di più di un semplice schermo. Una notizia che ti colpisce come un pugno allo stomaco, anche se non ti aspettavi che potesse farlo. Perché, volente o nolente, Lynch era parte del nostro immaginario, uno di quei nomi che restano impressi.

E pensare che tutto è iniziato in un posto quasi anonimo, Missoula, Montana. Una cittadina immersa nella natura, con i suoi boschi, i cieli infiniti e quel silenzio che ti entra dentro. Lì, il 20 gennaio 1946, nasce David Keith Lynch. Chi l’avrebbe mai detto che quei paesaggi tranquilli, quasi fuori dal tempo, avrebbero poi plasmato una mente così complessa? Forse era proprio quel contrasto, quella calma apparente, a nascondere già tutto il potenziale per qualcosa di grande, qualcosa di diverso. Lynch era già un artista prima ancora di saperlo. O forse lo sapeva da sempre.

Da ragazzo, Lynch fa le valigie e parte. Si lascia alle spalle i silenzi e i cieli aperti del Montana per buttarsi nelle città, quelle grandi, dove senti il caos sotto la pelle. Vuole inseguire l’arte, sentirla addosso, sporcarci le mani. Si iscrive alla Pennsylvania Academy of the Fine Arts. Qui non è che studia il cinema come lo farebbe chiunque altro, no. Per lui è una questione di pelle, di visioni. Dipinge, si sporca di colori e poi si accorge che non basta. Che c’è qualcosa che manca, che le immagini ferme non riescono a dire. Così inizia a giocare col movimento, con il tempo. E il cinema diventa la sua tela, ma una tela viva, che respira, che ti parla e ti confonde. Era questo, per lui. Non è che raccontava storie. Le faceva vivere, ti ci buttava dentro. Emozioni, frammenti, pezzi di qualcosa che capisci e non capisci nello stesso momento.

Ed è così che, nel 1977, arriva Eraserhead. Un film che è molto più di un film: è un incubo in pellicola, un viaggio nell’inconscio che lascia turbati e affascinati. E da lì, il mondo capisce che Lynch non è come gli altri. Non segue le regole. Le riscrive.

Twin Peaks: il fenomeno che ha cambiato tutto

Chi ha ucciso Laura Palmer?”. Quattro parole che, nel 1990, tengono milioni di spettatori incollati allo schermo. Twin Peaks non è solo una serie TV. È un evento culturale. Una rivoluzione.

L’idea di ambientare un mistero così complesso in una piccola cittadina americana è geniale. Ma Lynch va oltre: ci regala un mondo fatto di personaggi indimenticabili, atmosfere che mescolano il familiare con il surreale e una colonna sonora che sembra venire da un altro pianeta. Non è solo una storia di omicidio. È una riflessione sulla dualità dell’essere umano, sulla corruzione dell’anima e sul confine sottile tra reale e sovrannaturale.

La poetica del mistero

Lynch ha sempre amato il mistero. Non quello semplice, da risolvere. Ma quello che ci mette di fronte a domande senza risposta, quello che ci lascia con un senso di inquietudine e meraviglia. Pensate a Mulholland Drive (2001). Un film che è un enigma dentro un sogno, una dichiarazione d’amore e odio a Hollywood e ai suoi falsi miti.

Oppure Blue Velvet (1986), con quella scena iniziale che è già un manifesto: una città tranquilla, il prato verde, i fiori colorati… e poi una scoperta inquietante, che ci svela gli abissi nascosti sotto la superficie. Lynch ci invita a guardare oltre, a non fermarci alle apparenze.

Non solo cinema

David Lynch. Parlare di lui come regista è riduttivo, quasi ingiusto. Era molto di più. Un pittore che usava la cinepresa come fosse un pennello. Un musicista che creava melodie con le immagini. Un filosofo che non dava risposte, ma ti lasciava con mille domande. Ogni suo progetto era un salto nel vuoto, un invito a seguire strade che non sai dove portano. E la cosa incredibile è che riusciva a farti sentire al sicuro anche nel caos.

Certo, ha vinto premi: la Palma d’Oro per Cuore Selvaggio, l’Oscar alla carriera. Ma chi se ne importa dei premi? Quello che conta davvero è l’impronta che ha lasciato in chi ha avuto il coraggio di guardare il mondo con i suoi occhi. Perché non è facile. Lynch ti sfida, ti scuote, ti porta dentro i suoi sogni – o i suoi incubi – e ti costringe a sentire tutto, fino in fondo. E quando esci da quel viaggio, non sei più lo stesso.

Negli ultimi anni, Lynch aveva rallentato. Una battaglia contro l’enfisema lo aveva costretto a ridurre la sua attività pubblica. Eppure, non aveva mai smesso di condividere pensieri e idee, attraverso interviste, progetti e i suoi canali personali. Anche lontano dai riflettori, era una fonte di ispirazione.

Un addio che lascia il segno

È difficile accettare che non ci sarà un altro film, un altro progetto firmato David Lynch. Ma il suo lavoro rimane. I suoi mondi, i suoi personaggi, le sue atmosfere continueranno a vivere, a ispirare. Lynch ci ha insegnato a non avere paura del buio, a esplorare l’ignoto, a lasciarci trasportare dall’inatteso.

Grazie, David, per averci fatto sognare, tremare e riflettere. Per averci ricordato che il cinema è molto più di una storia. È un viaggio. E tu sei stato il nostro miglior compagno di viaggio.

Keep your eye on the doughnut, not on the hole.” (David Lynch)

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Cronaca

Cultura, Fontana: “Dialetti patrimonio culturale da...

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Così il presidente della Camera intervenuto nell'aula dei gruppi parlamentari, a un convegno in occasione della 'Giornata nazionale del Dialetto e delle Lingue locali'

Cultura, Fontana:

''I dialetti e le lingue locali sono molto più di semplici strumenti di espressione. Sono lo specchio delle nostre identità locali, che alimentano il senso di appartenenza alla terra alla quale apparteniamo e in cui viviamo. Sono il riflesso delle nostre radici più profonde, che rafforzano il legame con le comunità di ieri e di oggi. Sono la memoria delle nostre tradizioni e un ponte che collega le generazioni attraverso i secoli''. Lo ha detto il presidente della Camera, Lorenzo Fontana intervenendo nell'aula dei gruppi parlamentari, a un convegno in occasione della 'Giornata nazionale del Dialetto e delle Lingue locali'.

''L’Italia è un mosaico di culture e ogni dialetto è una tessera che lo arricchisce giorno dopo giorno. I dialetti raccontano storie di vita, di lavoro, di speranza. E soprattutto ci ricordano da dove veniamo. Per molti, me compreso, era la lingua esclusiva dei nonni e dei genitori, quella che si parlava in famiglia. Per molti è ancora così. Valorizzare i dialetti e le lingue locali significa dunque riconoscere la dignità di ogni territorio e di ogni cittadino. Ma dobbiamo essere consapevoli delle sfide che questo patrimonio sta affrontando. La sua salvaguardia non è una questione di nostalgia, ma è una responsabilità. Un ruolo cruciale può essere svolto, ad esempio, dall’educazione e dalla ricerca, con progetti come laboratori linguistici nelle scuole o archivi digitali per la loro conservazione e diffusione. I dialetti non devono infatti essere considerati in contrapposizione all’italiano, ma parte integrante del nostro patrimonio linguistico ed espressione di un preciso contesto geografico e culturale. Dobbiamo fare in modo che ognuno possa sentirsi parte di un Paese in cui la diversità linguistica sia considerata una risorsa e non un ostacolo.Penso a quanto i dialetti e le lingue locali siano stati importanti per facilitare la comunicazione tra popoli diversi. Il dialetto veneto ha avuto, ad esempio, un ruolo cruciale nelle relazioni commerciali e diplomatiche''.

''Oggi onoriamo tutti i dialetti e tutte le lingue locali del nostro Paese e quindi anche il principio fondamentale della nostra democrazia: il rispetto di ogni voce. Custodirli è indispensabile per preservare le nostre più autentiche radici identitarie e per trasmettere anche alle future generazioni un’eredità dal valore inestimabile.I dialetti e le lingue locali sono il volto più genuino delle comunità. Facciamo in modo che questo volto continui a sorridere, a raccontare e a insegnare. Quando io voglio dare confidenza a una persona - ha concluso Fontana - io parlo esclusivamente in lingua locale, perché è la lingua della famiglia, dei sentimenti. E' importante studiare l'italiano, le lingue straniere però non perdiamo questo patrimonio dei dialetti, un patrimonio culturale, di ragionamento e di sentimenti'' che ''va salvaguardato e tramandato alle generazioni future perché riguarda la nostra storia''.

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Cronaca

La Spina (Unpli): “Dialetto rappresenta il legame tra...

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Il presidente Unione nazionale pro loco d'Italia, 'grazie al presidente Lorenzo Fontana che ha voluto questo appuntamento alla Camera dei Deputati'

Antonino La Spina, presidente Unpli

“La giornata nazionale del dialetto e delle lingue locali, istituita ormai 13 anni fa, vuole mettere al centro quello che è il valore del nostro dialetto e delle nostre lingue locali. Un valore legato all’identità culturale che intende rappresentare al meglio il legame tra l’uomo e la propria comunità. È un modo per proseguire il grande lavoro che le pro loco stanno facendo nella salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e che rappresenta al meglio il percorso di valorizzazione di quelle che sono le identità culturali locali e di quello che può essere un modo di sviluppo della nostra cultura anche in termini economici”. Queste le parole di Antonino La Spina, presidente Unpli, Unione nazionale pro loco d'Italia, durante il convegno "Giornata nazionale del dialetto e delle lingue locali". Lo scopo della giornata, che si celebra il 17 gennaio, è sensibilizzare istituzioni e comunità locali alla tutela e valorizzazione di questi patrimoni culturali; attività promossa per valorizzare dialetti e lingue locali, portatori di un immutabile senso di identità e comunità.

“Grazie al presidente Lorenzo Fontana – conclude La Spina – che ha voluto questo appuntamento alla Camera dei Deputati per parlare di questa importante giornata e condividere con tutta Italia il valore di questo momento dedicato al nostro dialetto”

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