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La nave Alan Kurdi pronta per sbarcare migranti nel nostro Paese.

Dopo la rotta per la Francia, la nave umanitaria Alan Kurdi dovrebbe sbarcare oggi venerdì 25 settembre in Sardegna con i 125 migranti soccorsi a bordo, secondo l’ong Sea-Eye.

Ad Alan Kurdi è stato appena assegnato un porto sicuro” dall’MRCC di Roma (centro di coordinamento per i soccorsi in mare). È la città di Olbia nel nord della Sardegna“, è Gorden Isler, il leader della ONG bavarese che noleggia la barca, ha detto all’AFP.

La nave dovrebbe raggiungere il porto oggi venerdì 25 settembre e poter sbarcare le persone soccorse in mare, compresi i bambini.

L’80% dei migranti soccorsi è stato trasferito in altri Paesi europei
La Alan Kurdi spera quindi di poter salpare per il porto di Marsiglia dove dovrà in particolare cambiare l’equipaggio. Ricordiamo che le navi di soccorso sono state recentemente bloccate dalle nostre autorità.

All’inizio della giornata, l’Alan Kurdi aveva raggiunto il porto di Arbatax in Sardegna e “ha ricevuto istruzioni dalle autorità portuali di gettare l’ancora e attendere ulteriori istruzioni“, ha detto l’organizzazione.

A Roma il Ministero dell’Interno ha affermato di aver autorizzato l’imbarcazione a sbarcare le persone a bordo.

La procedura di ricollocazione europea è stata avviata contemporaneamente all’autorizzazione a queste richieste per accogliere e sbarcare i migranti. L’80% dei migranti salvati sarà trasferito in altri Paesi europei“, ha assicurato il Ministero dell’Interno in un comunicato stampa.

Il Ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha detto che solo 25 dei migranti a bordo della Alan Kurdi rimarranno in Italia.

Mercoledì 23 settembre, la Francia aveva chiesto all’Italia di consentire l’attracco ad Alan Kurdi, che sabato 19 settembre ha soccorso 133 persone nel Mediterraneo, mentre era in viaggio verso il porto francese di Marsiglia per non poter sbarcare sulle coste italiane (ne abbiamo parlato qui).

50 minori a bordo

Otto persone, tra cui un bambino di cinque mesi, erano state però evacuate dalla guardia costiera italiana. Secondo Sea-Eye, a bordo della barca ci sono ancora più di 50 minori, molti dei quali sono giovani non accompagnati.

Sulla nave ci sono anche bambini piccoli, ma la situazione tra i soccorsi è definita “stabile” dalla ONG. “Anche se alcune persone hanno dovuto essere curate per il mal di mare, non ci sono problemi seri a bordo”, ha detto Sea-Eye.

Il principio dello sbarco dei sopravvissuti nel più vicino “porto sicuro”, sancito dal diritto marittimo internazionale, in genere equivale ad affidare, durante le operazioni di soccorso nel Mediterraneo Centrale, questa prima accoglienza all’Italia oppure a Malta.

Il portavoce del governo francese Gabriel Attal ha detto mercoledì che la nave Sea-Eye doveva “essere ricevuta nel porto sicuro più vicino“, con la Francia che rifiuta implicitamente ogni possibilità di lasciare attraccare la nave a Marsiglia.

Dall’inizio della crisi migratoria, la Francia non si è mai sottratta alle sue responsabilità per quanto riguarda l’accoglienza delle persone in difficoltà che possono presentarsi ai confini dell’Europa“, ha aggiunto Attal, e “lo farà continuate a partecipare a questa accoglienza“.

Aumento dei tentativi di attraversamento nel 2020

Questa richiesta dalla Francia è arrivata il giorno della presentazione da parte della Commissione Europea di un “Patto europeo su migrazione e asilo” che prevede in particolare l’attivazione di un meccanismo di solidarietà in caso di soccorso in mare, è come dire che esige che i Paesi si offrano volontari per soccorrere l’Italia e Malta“.

In questo vasto catalogo di misure che devono ancora essere sottoposte al voto dei Ventisette, Bruxelles raccomanda anche che le ONG che vengono in aiuto dei migranti in difficoltà siano protette dall’azione penale.

Il 2020 ha visto un’impennata nel Mediterraneo centrale di barche cariche di candidati all’esilio in Europa, in partenza dalla Libia o dalla Tunisia.

Tra gennaio e fine luglio i tentativi di attraversamento dalla Libia sono aumentati del 91% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, per un totale di 14.481 persone. Quelli in uscita dalla Tunisia sono aumentati del 462%.

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Cronaca

Turetta, oggi parla il pm: chiederà ergastolo per omicidio...

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Accusato di omicidio volontario aggravato, sequestro di persona e occultamento di cadavere

Filippo Turetta

Filippo Turetta ha pianificato l'omicidio Giulia Cecchettin: si è appuntato su un foglio gli oggetti da comprare per immobilizzare l'ex fidanzata, ha studiato le mappe per potersi disfare del corpo e ha organizzato la sua fuga da Vigonovo (Padova). Non ha mai considerato l'idea di poter lasciare in vita chi aveva deciso di lasciarlo, tanto meno ha pensato di fare del male a se stesso. Ne è convinto il pm Andrea Petroni che lo ha incalzato durante l'interrogatorio e che oggi, davanti alla corte d'Assise di Venezia, è pronto a chiedere l'ergastolo per il ventiduenne, imputato per omicidio volontario pluriaggravato, sequestro di persona e occultamento di cadavere.

In aula, il pubblico ministero - nella Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne - ricostruirà la relazione altalenate di circa un anno e mezzo fra i due studenti di Ingegneria biomedica, la crescente ossessione dell'imputato, la scelta della vittima di allontanarsi e l'insistenza di Turetta che si trasforma in persecuzione soffocante - fino a spiarla con un'app sul cellulare - che gli costa l'aggravante dello stalking. Impossibile, per l'accusa, non sostenere la crudeltà: sono 75 le coltellate inflitte contro la vittima che lo rifiutava.

Cosa ha detto Turetta

"Ho ucciso Giulia perché non voleva tornare con me, soffrivo di questa cosa. Volevo tornare insieme e lei non voleva…mi faceva rabbia che non volesse" le parole di Turetta. E' nel patriarcato che il femminicidio di Giulia Cecchettin affonda le sue radici.

Dopo una serata insieme e l'ultimo 'no', Turetta realizza il suo piano appuntato nella lista, un elenco di oggetti da comprare e idee, che è la prima parziale confessione. "Ho ipotizzato di rapirla in macchina, di allontanarci insieme verso una località isolata per stare più tempo insieme…poi aggredirla, togliere la vita a lei e poi a me" dice interrogato. Bugie, il piano è sempre stato uno.

La ricostruzione

L'11 novembre 2023 nel parcheggio di Vigonovo, a pochi passi da casa Cecchettin, Turetta sa cosa vuole. Quando uno dei coltelli si rompe lui non si ferma: costringe l'ex a salire in macchina, la blocca con dello scotch e quando prova a scappare la finisce con un'altra lama, nella zona industriale di Fossò. Dopo cento chilometri abbandona il corpo, avvolto in sacchi neri, vicino al lago di Barcis e prosegue la fuga in solitaria tra stradine studiate in anticipo, usando solo contanti e spegnendo il telefono per non farsi trovare. Fino alla resa in Germania, una settimana dopo l'omicidio di Giulia Cecchettin.

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Cronaca

La storia di Diego il clochard, ‘cacciato di casa per...

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La storia di Diego il clochard, 'cacciato di casa per la droga e ora in strada a Roma'

"Sto in strada da sei mesi. I miei mi hanno cacciato di casa perché mi drogavo". Lui è Diego, ha 28 anni, nato e cresciuto in quelle che lui stesso chiama "borgate romane", e da cui i genitori lo hanno mandato via: "Dovevo fare un percorso di riabilitazione dalla tossicodipendenza, ma i centri diurni erano pieni. Sono andato a Bracciano al Sert ma ho visto che comunque non c'erano cambiamenti: stando in borgata e tornando a casa tutti i giorni, andavo a sbattere sempre contro le stesse persone, che volevano darmi qualcosa da prendere. Mia madre, in extremis, ha preso e mi ha cacciato di casa: "Mi ha detto 'vai per la strada tua'", racconta Diego, mentre si scalda tenendo fra le mani un bicchiere di tè caldo, portatogli da alcuni volontari.

La sua strada è via della Conciliazione, ora, sotto il colonnato di San Pietro, dove sono decine quelli che non hanno una casa e trovano rifugio fra le colonne marmoree e possono contare sull'assistenza fornita loro dal Vaticano e dalle organizzazioni di volontariato: "Io mica lo sapevo che c'erano questi rifugi e queste associazioni, prima di arrivare qui sono stato un mese al parco sotto la Basilica di San Paolo. Sono arrivato qui per un colpo di fortuna: un giorno mi sono addormentato sull'autobus e sono arrivato al capolinea, fermandomi proprio a San Pietro". Fra i sampietrini, la vita non è facile, soprattutto per chi non ha un soldo per sopravvivere: "Per mangiare, i primi tempi, lo devo ammettere, andavo a rubare un panino a pranzo e uno a cena. Niente di più di quello che mi serviva per sopravvivere, perché avevo fame, null'altro", giura Diego. Per difendersi dal freddo poi, una vera lotta: "Avevo un sacco a pelo, ma me l'hanno rubato. Purtroppo qui si gioca a rubarsi le cose fra di loro, anche quando si dorme. Per questo alcuni evitano di andare nelle strutture, perché non possono portare la loro roba e rischiano di perderla". Ma c'è anche tanta solidarietà in strada: "Grazie a un ragazzo ho avuto una tenda, un altro mi ha regalato una delle sue stecche per montarla. Una stecca per uno - sorride Diego - ma almeno dormiamo bene entrambi".

Prima di finire per la strada Diego ha lavorato per 12 anni nei cantieri: "Ogni giorno, quando i poliziotti ci vanno sgomberare per le 5 e mezza o le 6 del mattino, io cerco un lavoro, non demordo. Ho imparato un mestiere grazie a mio papà. Qualcosa si trova, magari in nero... Ma la mia speranza è quella di rimboccarmi le maniche. So che tutto questo è transitorio, molti stanno anche peggio di me e hanno storie che fanno venire i brividi. E l'ho detto anche a mia madre: quando le ho detto di questo percorso - conclude Diego - mi ha detto 'non me l'aspettavo' anche perché un percorso migliore di questo per disintossicarmi non c'è".

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Cronaca

Violenza su donne, il presidente del Tribunale di Milano:...

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Roia: "L'intermittenza o il giustificazionismo non fa bene, non fa bene un linguaggio improprio, non fanno bene interventi scomposti o inappropriati perché il tema maggiore è fare capire agli uomini che agiscono violenza che quello è un crimine"

Fabio Roia, presidente del Tribunale di Milano - Fotogramma

"Non sono gli immigrati che creano il problema della violenza sulle donne, il problema della violenza di genere è storico, strutturale e sociale". Il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia, intervistato dall’Adnkronos alla vigilia della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, non fa giri di parole e d'altronde ha i numeri dalla sua parte.

Gli italiani condannati in tribunale a Milano per reati legati al genere sono 440 negli ultimi 12 mesi, con un incremento del 15%. Se si guarda alla nazionalità, gli italiani rappresentano il 62% delle 714 condanne totali, in crescita del 3% rispetto all'anno precedente. Nel 2024 il Tribunale di Milano, dove si registra un aumento delle misure cautelari (1.246 a fronte delle 758 precedenti, +64% in un anno) ha inflitto pene per 798 anni di carcere. Inutile negare che in alcuni paesi la donna gode di meno diritti rispetto agli standard medi europei, ma se "questo può incrementare il numero delle violenze, non incrementa un fenomeno che ha solide radici nel patriarcato".

E' l'identità della donna che chi compie violenza vuole cancellare. "Deve cambiare il linguaggio, a maggior ragione quello degli atti giudiziari", per non incorrere in "una cattiva informazione e nella vittimizzazione secondaria" spiega Roia. "Ad esempio, abbiamo ancora una categoria giuridica, che applichiamo dal diritto romano, che è la 'diligenza del buon padre di famiglia' che è espressione di un linguaggio antico che necessiterebbe di un cambiamento". Occorre insomma una rivoluzione culturale per un fenomeno che anche quest'anno tocca le tre cifre: sono quasi cento i femminicidi in Italia. Secondo i dati diffusi a inizio novembre dal Tribunale di Milano, le vittime più numerose - il totale è di 1.132 (circa il 70% italiane) - ha tra 26-35 anni (187, pari al 16,5%) seguita dalla fascia 36-45 anni (180).

E' tra le "mure domestiche" che si annida maggiormente la violenza, conferma il presidente Roia che definisce "Allarmante" i dato sui minorenni coinvolti come vittime: sono 325 con un aumento pari al 46% rispetto al 2023. "Quando i figli sono esposti a situazioni di violenza subiscono un trauma e da adulti possono sviluppare un trauma mediato, come autori o come vittime. Quando ci sono minori che assistono a fatti di violenza è importante parlarne, andare ai centri antiviolenza, trovare dei riferimenti per uscire da un legame tossico che fa più vittime".

Gli strumenti offerti dal legislatore sono "ottimi per intervenire sotto tutti i punti di vista: nel settore penale, nel campo della prevenzione dove possiamo usare per la violenza domestica il codice antimafia, o nel civile con gli ordini di protezione in caso di violenza familiare in presenza di un bambino. Le leggi ci sono, vanno applicate bene, con competenza, efficacia e specializzazione". Eppure la violenza di genere sembra un problema che non riguarda tutti.

L'emergenza "viene vista a intermittenza, con troppo giustificazionismo, forse con troppa ideologia, non capendo che questo è un tema di civiltà trasversale che deve andare da destra a sinistra, da sinistra a destra passando per il centro, che deve interessare e impegnare tutti i punti cardinali della politica perché è una spia del grado di civiltà di un paese". L'intermittenza o il giustificazionismo "non fa bene, come non fa bene un linguaggio improprio, come non fanno bene certi interventi scomposti o inappropriati perché il tema maggiore è fare capire agli uomini che agiscono violenza che quello è un crimine al pari di commettere una rapina in un officio postale o spacciare droga" conclude il presidente del Tribunale di Milano, Fabio Roia. (di Antonietta Ferrante)

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