Diversity in Bureaucracy: l’arte collettiva europea mangia-smog guidata dall’italiana Yourban2030 arriva ad Amsterdam
Già annunciato il 15 marzo 2021, è stato presentato al pubblico internazionale il 28 marzo 2021 il nuovo murales mangia-smog olandese, uno dei primi dei Paesi Bassi: Diversity in Bureaucracy, firmato dalla street Artist JDL e promosso da una cordata che vede capofila l’italiana Yourban2030 con Prince Bernard Culture Fund e Amsterdam Fund for the Arts.
Un’impresa collettiva dal respiro europeo che, prendendo a esempio la progettualità italiana partita da Roma con Hunting Pollution nel 2018, ne ha fatto un modello virtuoso di lavoro sulle città, unendo creatività, arte, ambiente e riqualificazione urbana. Temi che in quest’occasione incontrano anche l’impegno sociale.
Diversity in Bureaucracy rappresenta una danzatrice surinamese che balla in un vortice di documenti amministrativi del Comune di Amsterdam. Con il murale, JDL pone l’attenzione su temi come lo stare insieme, la disuguaglianza di classe e la burocrazia. Da qui il titolo: Diversità nella burocrazia.
“Questo è stato l’anno di Black Lives Matter” spiega JDL “ho visto il documentario Classes, sulle (dis)pari opportunità nell’istruzione, è così aumentata la mia consapevolezza della disuguaglianza nei Paesi Bassi, e da qui è nata l’idea di Diversity in Bureaucracy”.
“Questo è uno dei primi murales nei Paesi Bassi realizzati con una vernice mangia-smog” dichiara ancora la street artist. “Con quest’opera compenseremo le emissioni di quindici auto ogni giorno, per dieci anni. Quando la luce solare riflette sulla vernice, si verifica una reazione chimica. Le sostanze più inquinanti vengono neutralizzate e trasformate in sali innocui, che possono essere lavati via dalla pioggia. Se posso fare arte e quindi anche purificare l’aria, allora non posso che esserne molto felice”.
A promuovere la cordata europea è Yourban2030, la no profit nata in Italia con l’obiettivo di coniugare i punti dell’Agenda 2030 con l’Arte, la valorizzazione del territorio, nuove tecnologie e nuove visioni di imprenditoria, basata sulla responsabilità sociale.
“Diffondere la cultura della sostenibilità attraverso l’arte è la nostra mission, e Judith ha raccolto immediatamente la sfida” dichiara Veronica De Angelis, la Presidente di Yourban2030. “Come imprenditrice, per me tutto parte dall’esigenza di impegnare in prima persona le nostre risorse, per rivedere gli spazi urbani pubblici arricchendoli di nuovi respiri e di bellezza, di tecnologia e di arte. Oltre le parole, le azioni che abbiamo sviluppato e promosso in Italia e oggi in Olanda dimostrano fattivamente che è possibile attivare operazioni reali e concrete, passando dalle idee ai fatti. Hunting Pollution, Outside In, a Roma, e Diversity in Bureaucracy ad Amsterdam dimostrano che è possibile realizzare una riqualificazione reale degli spazi pubblici ad opera anche dei privati, da parte di un’imprenditoria che abbia a cuore la salute pubblica, come progettualità attuabile su larga scala, comprendendo la bellezza come mezzo di riscatto e benessere sociale condiviso. Questa secondo me è la nuova frontiera della responsabilità sociale d’impresa, che si può intraprendere anche attraverso sinergie internazionali e comunioni d’intenti pubbliche e private”.
Fondata nel 2018 da Veronica De Angelis, in collaborazione con la vice presidente e project manager Maura Crudeli e un team composto da Emanuela Conti, Giuseppe Molinari, esperto di politiche legate alla sostenibilità, Daniele Bernardi la no profit Yourban2030 si ispira ai 17 obiettivi dell’Agenda 2030, con cui crea connessioni virtuose tra arte e innovazioni tecnologiche per dar vita a progetti artistici in grado di parlare di ambiente e sostenibilità. L’arte al servizio della Terra, l’arte generatrice dell’immagine del futuro verso cui dovrebbe tendere l’umanità, l’arte messaggera ed educatrice. Nel 2020 insieme a Frank Ferrante decidono di portare Yourban2030 negli Stati Uniti dove hanno l’esclusivo uso di Airlite per progetti artistici.
Turismo
Come raggiungere comodamente gli aeroporti di Milano: le...
Milano è una delle mete di maggior interesse nel nostro paese. Si tratta di una metropoli multiculturale, ricca di opportunità professionali ed accademiche aperte ai giovani e non solo. La metropoli meneghina si afferma, inoltre, come un polo finanziario di altissimo livello in ambito europeo e mondiale, rappresentando la capitale italiana del business. Una città frenetica, intensa e ricca di storia, all’interno della quale giorno dopo giorno confluiscono decine di migliaia di persone per i motivi più disparati. C’è chi sceglie Milano per i propri viaggi d’affari e chi, invece, desidera visitare una delle destinazioni europee più in vista, godendo di giorno del suo patrimonio culturale e, di notte, della sua iconica movida. Ancora, c’è chi a Milano si trasferisce per poter inseguire i propri sogni e conseguire obiettivi di carriera a lungo termine. Vista la densità in termini di popolazione e di differenti esigenze che si riscontrano nel tessuto sociale meneghino, dunque, la necessità di collegamenti efficienti è diventata sin da subito una impellenza in piena regola. Fortunatamente, il capoluogo lombardo risponde alle richieste di abitanti e turisti, offrendo, oltre ai collegamenti interni, anche tre efficienti aeroporti con cui poter raggiungere destinazioni territoriali e internazionali in totale comodità. Scopriamo nelle prossime righe alcuni consigli utili per raggiungerli al meglio.
Noleggio con conducente
Tra le opzioni sempre più apprezzate da parte del pubblico, soprattutto quando si viaggia per lavoro o con la famiglia al seguito, troviamo sicuramente il noleggio con conducente. Si tratta di una soluzione particolarmente comoda e flessibile, attraverso la quale è possibile raggiungere celermente e nel comfort i principali scali meneghini. Questo servizio offre un trasferimento privato, con auto di ultima generazione, attraverso il quale potersi assicurare di raggiungere uno dei tre aeroporti in totale comfort e con puntualità. Si tratta, inoltre, della soluzione di punta quando si hanno molti bagagli o si punta ad evitare lo stress dei mezzi pubblici. Il noleggio con conducente consente di accedere ad una tariffa fissa, permettendo di pianificare meglio il budget rispetto ai taxi classici. Più info su www.transfer-milano.com.
Treno
Il servizio ferroviario milanese risulta essere uno dei più efficienti nel nostro paese. Per questo motivo, occorre menzionare all’interno di questo approfondimento anche le soluzioni di trasporto su rotaia. Possiamo, comunque, affermare che il comfort maggiore sia offerto ai passeggeri che partono da Malpensa, grazie alla presenza del celebre Malpensa Express: servizio che collega con efficienza Milano Centrale e Milano Cadorna con l’aeroporto di Malpensa, per l’appunto. Questo treno parte frequentemente, offrendo un viaggio comodo di circa 50 minuti. Il treno è l’ideale per chi desidera evitare il traffico cittadino. D’altro avviso potrebbero essere i passeggeri in partenza da Orio al Serio o Linate, visto che quest’ultimo scalo non ha collegamenti diretti, mentre per Orio al Serio occorrerà servirsi di un bus navetta dalla stazione.
Autobus navetta
Ricollegandoci a quanto affermato poco prima, dunque, menzioniamo gli autobus privati utili per raggiungere gli aeroporti partendo dal centro di Milano. Questi mezzi offrono partenze piuttosto frequenti dalle stazioni principali e, come detto, dal centro della città. Si tratta di servizi nati appositamente per il raggiungimento degli scali e dedicati proprio a chi è in cerca di un buon compromesso tra l’accessibilità del trasporto pubblico, non libero da problematiche di sorta come scioperi o altri impedimenti, e l’affidabilità di rivolgersi a delle realtà privateper poter raggiungere comodamente lo scalo di interesse. Va detto, comunque, che le navette non siano esenti dall’influenza del traffico cittadino e che chi sceglie questa tipologia di soluzioni di trasporto deve pianificare a fondo la propria tabella di marcia.
Attualità
Pavia e il Tesoro Longobardo: il fascino di una storia che...
Ci sono luoghi che sembrano respirare il tempo, che portano sulle spalle il peso dolce della memoria e che, con un sussurro, riescono a catapultarti in epoche lontane. Pavia, incastonata tra le rive del Ticino e la storia, è uno di questi luoghi. Antica capitale del regno longobardo, oggi questa città lombarda ci regala un nuovo frammento del suo glorioso passato: un tesoro archeologico, nascosto per secoli, è tornato alla luce, rivelando storie di re, nobili e monaci che sembrano pronte a intrecciarsi con le nostre.
Un frammento di eternità sotto i nostri piedi
Nel cuore pulsante di Pavia, tra le antiche mura del Piccolo Chiostro del Santissimo Salvatore, gli archeologi guidati dalla Professoressa Caterina Giostra dell’Università Cattolica del Sacro Cuore hanno fatto una scoperta straordinaria. Qui, sotto la superficie apparentemente muta del terreno, è emerso un complesso funerario longobardo che ha il sapore della storia vera, quella che si può quasi toccare.
Queste non sono tombe qualsiasi. Ogni dettaglio – dalle mura ben conservate alla disposizione ordinata – racconta di un’epoca in cui Pavia non era semplicemente una città, ma il centro del potere, della cultura e della fede. Tra le sepolture spicca una tomba unica, decorata con cura, intonacata e dipinta, forse appartenuta a un membro della corte reale. Immaginate chi potrebbe esserci stato lì: un uomo o una donna che camminava accanto ai sovrani, che assisteva a decisioni cruciali per il destino di un regno, che forse, senza saperlo, stava lasciando una traccia indelebile nella storia.
Il monastero che racconta storie dimenticate
Il Chiostro del Santissimo Salvatore, fondato nel VII secolo dal re longobardo Aiperto I, è un luogo che trasuda silenzio e mistero. Nel tempo, ha subito trasformazioni profonde: nel X secolo l’Imperatrice Adelaide lo ridisegnò, cancellando molte tracce delle sue origini. Ma ora, grazie agli scavi, quelle radici lontane tornano a parlare.
Accanto alle tombe dei nobili, ci sono sepolture più semplici, forse di monaci che hanno vissuto e pregato qui nei secoli successivi. E poi frammenti di ceramica, un antico cunicolo che conduce al pozzo centrale del chiostro… sono dettagli che ci parlano di una quotidianità fatta di fede, fatica e comunità. È come se il monastero, con le sue pietre consumate, ci stesse raccontando il suo segreto più intimo.
Ossa che parlano, frammenti che narrano
E la storia non si ferma qui. Grazie al lavoro dell’Antropologa Cristina Cattaneo e del suo team, presto conosceremo ancora più dettagli sulla vita dei longobardi. Analizzando i resti ritrovati, si ricostruirà un quadro vivissimo di ciò che mangiavano, di come vivevano, delle loro origini. Non si tratta solo di frammenti di ossa: sono finestre su un passato che, sorprendentemente, si intreccia con il nostro presente.
Un sogno che guarda lontano
E poi c’è chi, come Don Franco Tassone, il Parroco del Santissimo Salvatore, non riesce a trattenere l’emozione. Per Don Franco, questa non è solo una scoperta archeologica. È un dono. Il suo sogno è che il chiostro diventi un luogo aperto a tutti, un museo vivo, un ponte tra i secoli. Immagina i visitatori che passeggiano tra le tombe, ascoltano il mormorio del passato e sentono, per un attimo, di essere parte di qualcosa di molto più grande di loro stessi.
E gli scavi non sono finiti. Il prossimo anno si continuerà a scavare, a cercare, a sognare. Perché ogni pietra spostata, ogni centimetro di terreno esplorato potrebbe nascondere un nuovo capitolo di questa incredibile storia.
Pavia: un cuore che batte tra passato e futuro
Camminare per Pavia oggi è un viaggio straordinario tra le pieghe del tempo. Ogni passo è come sfogliare un libro senza fine, dove ogni pagina svela una parte della nostra anima, una traccia di ciò che siamo stati e un sogno di ciò che possiamo diventare. Le tombe longobarde che riaffiorano nel cuore pulsante della città non sono solo frammenti di pietra e ossa, ma voci potenti che ci parlano, ci invitano a riscoprire la nostra origine e a riflettere sul destino che ci attende.
Ogni strada, ogni angolo di Pavia è un abbraccio che ci accoglie con il suo mistero e la sua bellezza senza tempo, pronta a rivelarci segreti dimenticati. E questo nuovo capitolo, scritto nella polvere degli scavi, non è solo un invito: è un richiamo vibrante, un appello irresistibile a fermarsi, a sentire che il passato, con la sua forza e il suo splendore, è più vicino di quanto pensiamo.
“Perché la storia non è un semplice ricordo, ma un dono inestimabile, un tesoro da custodire con gratitudine e passione. E in questo dono c’è la meraviglia di chi siamo stati, la potenza di chi siamo oggi e la straordinaria promessa di tutto ciò che possiamo ancora diventare. Un viaggio senza fine, che continua a battere nei cuori di chi ha il coraggio di ascoltarlo.” (Anna Del Bene)
Attualità
La fine di un’era: Il Fondaco dei Tedeschi chiude nel...
Venezia sta per perdere un altro pezzo della sua storia recente. Il Fondaco dei Tedeschi, quel posto incredibile che si affaccia sul Canal Grande, proprio lì, a due passi dal Ponte di Rialto, chiuderà per sempre nel 2025. Sapete, dopo anni di sfarzo, di lusso sfrenato, di tentativi di tenerlo a galla, il gruppo DFS (sì, quelli di LVMH, il colosso del lusso) ha deciso che non ne vale più la pena. Non ha più senso andare avanti. E ci sta. Alla fine, i tempi cambiano e forse questo tipo di attrattiva non funziona più come prima.
Non rinnoveranno il contratto di affitto. Le perdite si sono accumulate, anno dopo anno, senza sosta – più di 100 milioni di euro negli ultimi cinque anni – e ora è tempo di lasciare la scena. Ma, sapete, questa non è solo una storia di numeri o di affari andati male. È una riflessione profonda sul futuro di una città che già soffre, una città meravigliosa come Venezia, che ora deve fare i conti con un’altra ferita aperta.
Un cambiamento che invita alla riflessione
Venezia è un posto unico al mondo, un gioiello di cultura e architettura. Ma diciamocelo, i problemi che affronta sono sotto gli occhi di tutti, e il Fondaco dei Tedeschi è solo l’ultima goccia di un vaso già colmo. Ma sapete, forse questa è anche un’opportunità: un momento per fermarsi, ripensare la città, capire davvero come gestire e vivere questi luoghi che sono così speciali. La chiusura del Fondaco non è solo una questione di soldi o di affari in perdita – certo, il turismo asiatico è calato, la pandemia ha cambiato tutto, e il mercato del lusso è in declino – ma qui si parla di qualcosa di più grande. È un simbolo di cambiamento, un invito a guardarci attorno e capire che forse è ora di andare oltre il turismo di massa, oltre quel consumismo che consuma tutto, anche le nostre città.
Il Fondaco dei Tedeschi è stato una vera e propria icona del lusso. Storicamente, questo edificio risale al XIII secolo, quando fungeva da magazzino per le merci provenienti dalla Germania. Poi, nel 2016, è stato trasformato in un centro commerciale di lusso, con spazi culturali e una terrazza panoramica mozzafiato che – inutile negarlo – ha attirato migliaia di visitatori. Ma ora tutto questo non basta più.
Un modello insostenibile e il futuro da immaginare
Diciamolo chiaramente, il modello proposto da DFS non è stato sostenibile. La crisi economica e la pandemia hanno fatto a pezzi il settore del lusso, questo lo sappiamo tutti. Ma sapete cosa sembra ancora più chiaro? Che il pubblico, le persone, sono cambiate. E anche il turismo, inutile negarlo, non è più quello di prima. Quindi, ecco che la chiusura del Fondaco diventa un’occasione, un momento per ripensare il futuro non solo di questo posto ma di tutte le città d’arte, come Venezia.
Ecco, siamo qui, davanti a una sfida vera: come possiamo reinventare questo luogo? Come possiamo evitare che diventi solo un altro spazio vuoto, un altro segno di qualcosa che non c’è più? Magari è davvero il momento giusto per fare un passo indietro e pensare ad una gestione più sostenibile, qualcosa che non metta più al centro il lusso, ma la cultura, la comunità, la storia. Qualcosa che abbia senso per tutti noi, non solo per pochi.
Un’opportunità per Venezia
Immaginate il Fondaco come uno spazio rinnovato: non più solo un luogo per pochi, ma uno spazio per tutti. Un centro culturale, un luogo che valorizzi l’artigianato locale, un hub per eventi culturali che diano voce ai cittadini e ai visitatori in maniera nuova e responsabile. Potrebbe diventare un simbolo della rigenerazione urbana, un posto che celebri l’identità veneziana senza però ripetere i soliti schemi del passato.
Pensateci un attimo: Venezia, già così sovraccarica di turismo e pressioni esterne, ha l’occasione di trasformare questo edificio storico in qualcosa che abbia un valore vero, un impatto concreto sulla vita della città. La crisi climatica ci impone di cambiare, di prendere decisioni radicali. Venezia potrebbe approfittarne per reinventarsi, per creare un esempio di sostenibilità, di città che non solo valorizza il suo patrimonio, ma lo protegge e lo rende vivo in maniera intelligente.
Una nuova visione per il Fondaco dei Tedeschi
Insomma, non è solo una questione di numeri, di perdite economiche o di strategie commerciali fallite. Qui c’è una domanda davvero importante da porsi: che tipo di città vogliamo per il futuro? Vogliamo davvero continuare a vedere questi luoghi pieni di storia trasformati in centri di lusso dove nessuno di noi può entrare? O vogliamo che tornino a essere vivi, pieni di energia, di persone, di storie? Insomma, vogliamo che siano posti che uniscono passato e futuro in un modo che abbia davvero senso, che sia qualcosa di nuovo e che appartenga a tutti, non solo a pochi privilegiati?
La chiusura del Fondaco dei Tedeschi è una perdita, certo, è inutile negarlo. Ma è anche un riflesso delle contraddizioni che tutti noi viviamo ogni giorno. È una chiamata, un momento in cui ci si deve fermare e riflettere. Magari trasformare questo spazio in qualcosa di nuovo, di diverso, potrebbe essere un passo vero verso una Venezia più sostenibile, che riesce a cambiare senza mai dimenticare chi è, la sua anima, quello che la rende speciale.
Vedremo cosa succederà nel 2025. Chissà. Ma sapete cosa? Ci piace pensare che questo sia solo l’inizio di una nuova storia. Una storia in cui Venezia non è più solo vittima di un turismo di massa che la schiaccia ma trova il modo di essere protagonista di un cambiamento autentico, reale. Una città che si rinnova, sì, ma senza vendere la sua anima. Una città che valorizza ciò che è, per renderla ancora più bella, più viva, più vera.