Giulio Regeni, nato il 15 gennaio 1988 a Trieste, era un brillante studente dell’Università di Cambridge, crudelmente assassinato tra il 25 gennaio e il 3 febbraio 2016 in Egitto, dopo il suo sequestro avvenuto il 25 gennaio 2016. Giulio Regeni stava preparando un dottorato di ricerca presso il Girton College dell’Università di Cambridge e stava conducendo in Egitto una delicata ricerca sui sindacati indipendenti.
Cresciuto a Fiumicello, un comune in provincia di Udine, nel nord-est Italia nel Friuli-Venezia-Giulia.
Fiumicello, Filumisel in friulano, Clandorff in tedesco medievale.
Il comune di Fiumicello ha cessato di esistere dal 1º febbraio 2018 dopo l’istituzione del Comune di Fiumicello Villa Vicentina, dove è confluito insieme al Comune di Villa Vicentina come da legge regionale 28 dicembre 2017, n° 48.
Il corpo efferatamente mutilato e nudo di Giulio Regeni, è stato scoperto al Cairo il 3 febbraio 2016, in un fosso al confine con l’autostrada che collega Il Cairo ad Alessandria. I suoi martoriati resti mostrano segni di torture estreme: il suo corpo completamente ricoperto di contusioni e abrasioni dovute a ripetute percosse, notevoli ecchimosi dovute a calci, pugni e bastonate, più di ventiquattro fratture, comprese sette costole rotte, tutte le dita delle mani e dei piedi spezzate, nonché le gambe, le braccia e le scapole, ferite multiple al corpo comprese le piante dei piedi, probabilmente eseguite con un rompighiaccio o un attrezzo simile, numerosi tagli su tutto il corpo inflitti con uno strumento appuntito, probabilmente un rasoio affilato, numerose bruciature di sigaretta, un’ustione più grande tra le scapole causata da un oggetto duro e rovente, emorragia cerebrale, una vertebra cervicale rotta.
Le autorità italiane ed egiziane hanno effettuato separatamente le autopsie sul corpo martoriato di Giulio Regeni. Il 1° marzo 2016, un ufficiale forense egiziano riferisce che Giulio Regeni è stato interrogato e torturato per almeno sette giorni, ad intervalli di 10-14 ore consecutive, prima di essere infine ferocemente ucciso. I risultati dell’autopsia egiziana non sono stati mai resi pubblici. Un rapporto di 300 pagine sui risultati dell’autopsia italiana è stato consegnato alla Procura di Roma, che ha negato precedenti affermazioni sui segni di scosse elettriche effettuate ai genitali di Giulio Regeni.
Il 24 marzo 2016, la polizia egiziana, in un conflitto a fuoco, ha ucciso quattro uomini sospettati di aver rapito Giulio Regeni. Secondo un messaggio pubblicato sulla pagina Facebook ufficiale del Ministero degli Interni, la banda era specializzata nel rapimento e nel riscatto di stranieri. Durante un raid della polizia nell’appartamento di uno dei membri di questa banda, la Polizia egiziana afferma di aver trovato molti effetti appartenenti a Giulio Regeni, tra cui il suo passaporto e la carta dello studente. Tuttavia, l’ufficio del Procuratore del New Cairo ha successivamente negato che la banda criminale fosse coinvolta nell’omicidio.
L’8 aprile 2016, l’Italia comunica di aver richiamato per consultazione, Antonio Badini, proprio Ambasciatore in Egitto, in segno di protesta contro la lentezza delle indagini sull’assassinio, che le autorità egiziane prima presentato come “un incidente stradale” poi come “un crimine di natura sessuale” ed infine, come “un rapimento che non sarebbe andato a buon fine” .
L’11 aprile 2016, il Ministero del Commercio italiano annuncia il ritiro della licenza di esportazione alla società Hacking Team, società italiana specializzata in software spia che annovera tra i propri clienti statali il Governo egiziano.
Il 21 aprile 2016, l’Agenzia di Stampa Reuters riporta un’indagine schiacciante, basata su testimonianze di membri della Polizia e dei Servizi di Intelligence. Secondo queste fonti, Giulio Regeni sarebbe stato arrestato al Cairo la sera del 25 gennaio da poliziotti in borghese nei pressi della stazione della metropolitana Gamal Abdel Nasser, prima di essere portato alla Stazione di Polizia Izbakiya nel centro della città, in un minibus bianco con targhe riservate alla polizia. Secondo quanto riferito, è stato poi rapidamente trasferito al Centro di Sicurezza Nazionale di Lazghouli. Le fonti dicono di ignorare cosa sia successo in seguito.
A causa delle attività di ricerca di Giulio Regeni e delle sue inclinazioni politiche di sinistra, i Servizi di Sicurezza del Governo di Abdel Fattah al-Sisi sono fortemente sospettati di essere coinvolti nel suo assassinio. In primo luogo, Giulio Regeni è scomparso la sera del quinto anniversario della rivoluzione del 25 gennaio del 2011, nel mezzo di un’ondata di arresti nei circoli rivoluzionari. D’altra parte, i segni trovati sul suo corpo testimoniano una lenta ed atroce morte sotto l’effetto delle torture comunemente praticate dalle forze di sicurezza. Infine, i presunti “indizi” lanciati dalla stampa egiziana per screditare lo studente italiano, presentato come spia straniera o come omosessuale, sono stati visti come tentativi di occultamento della vicenda.
Da parte loro, i Media ufficiali e il Governo egiziano negano questa interpretazione e sostengono che Agenti Segreti appartenenti ai Fratelli Musulmani abbiano agito sotto copertura, per mettere in imbarazzo il Governo egiziano e destabilizzare i rapporti tra Italia ed Egitto.
Le aberranti torture e l’orrenda morte di Giulo Regeni, hanno scatenato uno scandalo mondiale. Più di 4.600 accademici hanno firmato una petizione per chiedere un’indagine sulla sua morte e sulle numerose sparizioni che avvengono ogni mese in Egitto. La filiale italiana di Amnesty International ha lanciato il 24 febbraio 2016 la campagna “Verità per Giulio Regeni”. Nel corso di una conferenza stampa, uno dei suoi legali rappresentanti ha fortemente contestato le banalità affermate sulla morte sotto tortura in Egitto, nonché le “sparizioni forzate”, di cui il quotidiano Corriere della Sera ha elencato 532 casi in otto mesi. Una petizione è stata anche pubblicata su Change.org, che ha ricevuto più di 100.000 firme.
Il 10 marzo 2016, il Parlamento Europeo ha adottato una proposta di risoluzione che condanna la tortura e l’assassinio di Giulio Regeni e le continue violazioni dei diritti umani da parte del Governo dell’ex Generale Abdel Fattah al-Sisi, attualmente sesto Presidente della Repubblica egiziana. In quel periodo più di mille cittadini egiziani sono tragicamente deceduti nelle mani dello Stato, all’interno di prigioni, caserme, stazioni di polizia, corti militari. Tantissimi hanno fatto la stessa dolorosissima fine di Giulio Regeni, moltissimi giovani come appunto il ricercatore italiano torturato e ucciso dentro uno delle stanze segrete della National Security del Cairo e poi gettato in un fosso lungo la strada del deserto Cairo-Alessandria, alla periferia del Cairo.
La risoluzione è stata approvata a stragrande maggioranza.
Il 12 aprile 2016, il Governo britannico, fino a quel momento silenzioso sulla questione, ha affermato di aver sollevato il caso della morte di Giulio Regeni presso le autorità egiziane, e ha chiesto un’indagine completa e trasparente. La dichiarazione è arrivata dopo che una petizione ha raccolto più di 10.000 firme nel Regno Unito, chiedendo al Governo britannico di garantire un’indagine completa sull’omicidio.
Il 14 aprile 2016, un editoriale del New York Times descrive come “vergognoso” il silenzio della Francia di fronte alle richieste dell’Italia di fare pressione sull’Egitto.
Il 10 dicembre 2020, la Procura di Roma chiude le indagini. Verso il processo quattro uomini delle forze di sicurezza egiziana. Agli indagati il Procuratore Capo Michele Prestipino ed il PM Sergio Colaiocco contestano, a vario titolo, il reato di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali e omicidio. Il ricercatore Friulano è stato torturato e seviziato per giorni prima di essere barbaramente ucciso e gettato in un fosso. Nell’avviso di conclusione delle indagini, nell’atto giudiziario, si leggono queste testuali parole:
I quattro indagati – il generale Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, dopo aver osservato e controllato direttamente ed indirettamente, dall’autunno 2015 alla sera del 25 gennaio 2016, Giulio Regeni abusando delle loro qualità di pubblici ufficiali egiziani, lo bloccavano all’interno della metropolitana del Cairo e, dopo averlo condotto contro la sua volontà e al di fuori di ogni attività istituzionale, prima presso il commissariato di Dokki e successivamente presso un edificio a Lazougly, lo privavano della libertà personale per nove giorni per motivi abietti e futili ed abusando dei loro poteri, con crudeltà. Cagionavano a Giulio Regeni lesioni, che gli avrebbero impedito di attendere alle ordinarie occupazioni per oltre 40 giorni e che hanno comportato l’indebolimento e la perdita permanente di più organi. I quattro, «seviziandolo», hanno causato a Regeni «acute sofferenze fisiche, in più occasioni ed a distanza di più giorni». In il maggiore Sharif «cagionava imponenti lesioni di natura traumatica a Giulio Regeni da cui conseguiva una insufficienza respiratoria acuta di tipo centrale che lo portava a morte».
Il 13 dicembre 2020 il giornalista, scrittore, conduttore, autore televisivo, drammaturgo ed ex politico italiano Corrado Augias, dopo che il Presidente Emmanuel Macron ha insignito della Legion D’Onore Abdel Fattah Al Sisi, Presidente di quell’Egitto che si è reso responsabile dell’efferato omicidio di Giulio Regeni, annuncia di restituire alla Francia, la Legion D’Onore che era stata anche a lui stesso conferita, scrivendo una profonda lettera aperta, pubblicata sul quotidiano La Repubblica e consegnata all’Ambasciatore francese in Italia Christian Masset: “Caro direttore, domani lunedì 14 dicembre, andrò all’Ambasciata di Francia per restituire le insegne della Legion d’onore a suo tempo conferitemi. Un gesto nello stesso grave e puramente simbolico, potrei dire sentimentale. Sento di doverlo fare per il profondo legame culturale e affettivo che mi lega alla Francia, terra d’origine della mia famiglia. La mia opinione è che il Presidente Macron non avrebbe dovuto concedere la Legion d’Onore ad un Capo di Stato che si è reso oggettivamente complice di efferati criminali. Lo dico per la memoria dello sventurato Giulio Regeni, ma anche per la Francia, per l’importanza che quel riconoscimento ancora rappresenta dopo più di due secoli dalla sua istituzione. Dove e quali sono i meriti del Presidente Al-Sisi? I riconoscimenti e le onorificenze degli Stati sono soggetti al mutevole andamento della storia, può accadere che un’insegna elargita in un dato momento si trasformi in un gesto imbarazzante per il comportamento successivo della persona insignita. In questo caso però le cose sono già chiare oggi. Il comportamento delle autorità egiziane, a partire dal suo Presidente Abdel Fattah al-Sisi, è stato delittuoso, ha violato i canoni della giustizia, prima ancora quelli dell’umanità. Ora l’Italia si trova di fronte un’autentica alternativa del diavolo. Rischia di sbagliare qualunque decisione prenda. Se manterrà normali relazioni diplomatiche con l’Egitto sembrerà tradire la memoria di un bravo ricercatore universitario torturato e ucciso per il lavoro accademico che stava svolgendo. Se li interromperà sarà sostituita, tempo pochi giorni, da altri Paesi in molti fruttuosi rapporti commerciali e industriali. In un caso e nell’altro una perdita secca, anche se di diversa natura. Le rimetto le insegne con dolore, ero orgoglioso di mostrare il nastrino rosso all’occhiello della giacca. Però non mi sento di condividere questo onore con un Capo di Stato che si è fatto oggettivamente complice di criminali. L’assassinio di Giulio Regeni rappresenta per noi italiani una sanguinosa ferita e un insulto, mi sarei aspettato dal Presidente Macron un gesto di comprensione se non di fratellanza, anche in nome di quell’Europa che, insieme, stiamo così faticosamente cercando di costruire.” Conclude l’esimio e determinato Corrado Augias.
“Gli uomini coraggiosi non si riuniscono in migliaia per torturare e uccidere un singolo individuo, imbavagliato e legato in modo tale da non poter opporre neanche una debole resistenza o difesa.” (Ida B. Wells)
Attualità
Camera approva pene più severe per reati contro gli...
“Dedico alle vittime mute e invisibili, soprattutto agli animali di cui non si è mai parlato e mai si parlerà, il frutto di questo grande e incessante impegno”. Esulta l’on. Michela Vittoria Brambilla, presidente dell’Intergruppo per i Diritti degli animali e della Lega italiana per la Difesa degli animali e dell’ambiente, per l’approvazione nell’aula di Montecitorio della pdl AC30, di cui è prima firmataria e relatrice, che finalmente garantisce maggiore tutela penale agli animali: “Una rivoluzione”.
“Il testo – ricorda la deputata di Noi moderati – aumenta le pene, sia detentive che pecuniarie, per i principali reati e illeciti a danno degli animali: l’uccisione, il maltrattamento, l’organizzazione di combattimenti. Di fronte all’obiettiva gravità di certe condotte, tutti – partiti, associazioni, società civile – reclamavano sanzioni più severe, più deterrenza”. Tra le principali novità la rubrica del titolo IX bis del Codice penale: non più “Dei delitti contro il sentimento dell’uomo per gli animali”, ma, in linea con la recente riforma costituzionale, “Dei delitti contro gli animali”. Viene tutelato non più il sentimento dell’uomo ma direttamente l’animale. Aumentano le pene per l’uccisione di animali (544-bis): si passa da quattro mesi di reclusione nel minimo e due anni nel massimo a sei mesi nel minimo e tre anni nel massimo, sempre congiunti ad una multa – finora non prevista – da 5 mila a 30 mila euro. “Se il fatto è commesso adoperando sevizie o prolungando volutamente le sofferenze dell’animale” si passa a un anno nel minimo e quattro nel massimo, con una multa raddoppiata da 10 mila a 60 mila euro: si potrà finire in carcere. Aumentano le pene per il maltrattamento degli animali (544-ter): si passa da tre mesi nel minimo e diciotto nel massimo a sei mesi nel minimo e due anni nel massimo, accompagnati sempre dalla multa (tra i 5 mila e i 30 mila euro) che oggi è alternativa alla reclusione.
Aumentano le pene pecuniarie per chi organizza spettacoli e manifestazioni con sevizie e strazio per gli animali (544-quater): aumenta significativamente la multa da 5 mila a 15 mila euro nel minimo, da 15 mila a 30 mila nel massimo. Aumentano le pene per la violazione del divieto di combattimenti o di competizioni non autorizzate tra animali (544-quinquies): la pena detentiva aumenta da uno a due nel minimo e da tre a quattro anni nel massimo. Sarà punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 5 mila a 30 mila euro anche chi partecipa a qualsiasi titolo ai combattimenti o alle competizioni. Aumentano le pene per l’uccisione o il danneggiamento degli animali altrui (art. 638): il reato diventa finalmente perseguibile d’ufficio, come quelli del titolo IX bis. La pena passa da sei mesi a un anno nel minimo e da un anno a quattro anni nel massimo, ai quali un ordine del giorno chiede di aggiungere la multa da 10 mila a 60 mila euro. L’articolo sarà applicabile all’uccisione o al danneggiamento anche di un solo bovino o equino. Per tutti questi reati contro gli animali sono previste nuove aggravanti, con l’introduzione dell’articolo 544-septies: se i fatti sono commessi alla presenza di minori, se i fatti sono commessi nei confronti di più animali, se il fatto è diffuso attraverso strumenti informatici e telematici. Il divieto di tenere il cane alla catena, finora previsto solo da alcune leggi regionali, è introdotto a livello nazionale e sorretto da adeguate sanzioni (da 500 a 5 mila euro).
“Questo – sottolinea l’on. Brambilla – è il cambiamento che in molti attendevano, credo che se ne coglierà presto la portata. Alla percezione di sostanziale impunità, che accompagna chi commette crimini contro gli animali, corrisponde un sentimento di profonda indignazione in ampi settori dell’opinione pubblica, di tutti gli orientamenti politici e culturali, un sentimento che non era e non è possibile ignorare. A chi invece sogna l’impunità solo perché le vittime sono animali e non possono neanche parlare, dico che continui a sognare o si trasferisca in un altro Paese, perché qui per l’impunità non c’è spazio”.
“Da quattro legislature – conclude – porto avanti, e ne sono orgogliosa, questa battaglia di civiltà, che non ha colore politico, come dimostra il lavoro trasversale che facciamo nell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali. Avevo promesso giustizia agli ultimi tra gli ultimi, ai tanti animali seviziati e uccisi da mani scellerate. Ricordo il cane Angelo torturato a morte nel Cosentino, il cane Aron bruciato a Palermo, il gatto Leone scuoiato vivo nel Salernitano, il gatto Green ucciso a botte in Veneto. E poi ci sono gli altri che non potrei citare tutti neppure se avessi a disposizione molte ore. Oggi posso dire di avere raggiunto un traguardo, di aver ottenuto pene più elevate, di aver mantenuto la promessa. E garantisco che non mi fermerò qui, proseguirò su tutti i fronti che richiedono l’attenzione di chi veramente ama e rispetta gli animali, nostri fratelli minori, nostri compagni di viaggio sull’arca planetaria”.
Attualità
Nuovo Codice della Strada: tutto quello che cambia dal 2024...
Il giorno in cui il Senato ha dato il via libera definitivo al Nuovo Codice della Strada è arrivato. Una riforma che ci tocca tutti, chi più e chi meno e che introduce novità importanti per garantire una maggiore sicurezza sulle nostre strade. Tutto è pensato per ridurre gli incidenti, disciplinare meglio nuovi mezzi di trasporto come i monopattini elettrici e – diciamocelo – dare una stretta a chi proprio non riesce a seguire le regole.
Ma andiamo con ordine, perché di novità ce ne sono tante e meritano tutte un po’ della nostra attenzione.
Guida in stato di ebbrezza: tolleranza zero e nuove pene severe
Lo sappiamo tutti: mettersi al volante dopo aver bevuto o sotto l’effetto di droghe è una pessima idea. Le pene sono severe, ecco, ma ora sono ancora più dure. Perché? Beh, non c’è da stupirsi: i numeri parlano chiaro e sono terribili. Troppe vite spezzate, troppi incidenti che si potevano evitare. Che sia una birra di troppo o qualcosa di peggio, le conseguenze sono serie, pesanti e ti colpiscono dritto nel portafoglio, oltre che nella vita.
– Tassi alcolemici e sanzioni: Facciamola semplice. Se hai un tasso tra 0,5 e 0,8 g/l, preparati a pagare fino a 2.170 euro e addio patente per almeno 3-6 mesi. Superi questa soglia? Peggio per te: la multa arriva fino a 6.000 euro, patente sospesa fino a due anni e nei casi più gravi, potresti finire dietro le sbarre per un anno. Non è uno scherzo.
Ah, e poi c’è la novità dell’Alcolock. Cos’è, ti chiedi? Un dispositivo che non ti fa neanche accendere la macchina se hai bevuto. Zero tolleranza, sul serio. Sarà obbligatorio per chi è stato già beccato a guidare ubriaco. Forse, finalmente, riusciremo a evitare che qualcuno ci ricaschi.
Uso del cellulare alla guida: più che una distrazione, un pericolo
Non ci giriamo attorno: il cellulare alla guida è una piaga. Tutti lo sappiamo ma quanti riescono davvero a resistere alla tentazione di dare un’occhiata veloce al messaggio arrivato o alla notifica che vibra? Bene, ora ci sarà un motivo in più per resistere, perché le multe sono salite.
– Chi viene colto in flagrante rischia una multa tra 250 e 1.697 euro. Non solo: la patente può essere sospesa da una settimana fino a 15 giorni. E per chi insiste e viene beccato più volte? Si parla di multe fino a 2.588 euro, con sospensione della patente da uno a tre mesi e la decurtazione di 10 punti.
L’obiettivo è chiarissimo: meno distrazioni, più attenzione. Le distrazioni al volante sono un pericolo non solo per chi guida ma per tutti gli altri utenti della strada. E qui il messaggio è chiaro: basta scuse.
Neopatentati: restrizioni più lunghe per imparare meglio
I neopatentati sono considerati una categoria a rischio e non è difficile capire il perché: poca esperienza, magari un pizzico di spavalderia. Per questo, le limitazioni sono state estese.
– Il periodo in cui i neopatentati non possono guidare veicoli di elevata potenza è passato da uno a tre anni. Tre anni in cui dovranno fare pratica con auto che non superino una potenza specifica massima di 75 kW/t e comunque non oltre i 105 kW, che corrispondono a circa 142 cavalli.
È una scelta che può sembrare restrittiva, ma che mira a far crescere i nuovi conducenti in sicurezza, senza la pressione di dover gestire auto troppo potenti prima di essere veramente pronti.
Monopattini elettrici: più sicurezza, meno anarchia
Negli ultimi anni, i monopattini elettrici hanno letteralmente invaso le città italiane. Veloci, pratici, ma anche un po’ pericolosi, soprattutto per la mancanza di regole chiare. Bene, ora le regole ci sono e sono abbastanza stringenti.
- Targa e assicurazione obbligatorie: tutti i monopattini dovranno avere una targa e un’assicurazione. Sì, proprio così, non sono più chiacchiere. Basta con l’anarchia totale: ora, se succede qualcosa, bisogna sapere chi è stato, chi deve rispondere. Serve per responsabilizzare chi guida, ma soprattutto per avere un nome e un cognome in caso di incidente.
- Casco obbligatorio per tutti: Che tu sia un ragazzino o un adulto, il casco va messo. Punto. Non importa l’età, importa la sicurezza. E poi, niente strade super trafficate: solo quelle urbane e solo se il limite è sotto i 50 km/h. Insomma, ci vuole un po’ di testa.
Le sanzioni? Non sono uno scherzo. Parliamo di multe da 100 a 400 euro se vai in giro senza assicurazione e da 200 a 800 euro se ti mancano cose essenziali come i freni o le frecce. Più regole, più sicurezza, meno rischi. E meno problemi per tutti.
Autovelox e infrazioni: più precisione nei controlli
L’uso degli autovelox è stato spesso criticato, soprattutto quando sembrava più uno strumento per fare cassa che per garantire la sicurezza. Ora, con la riforma, si punta a un uso più mirato e preciso.
– Gli autovelox potranno rilevare più infrazioni contemporaneamente: oltre alla velocità, potranno segnalare la mancanza di revisione o il mancato pagamento dell’assicurazione. Saranno installati solo in zone ad alta incidentalità e vietati in strade urbane con limiti sotto i 50 km/h o extraurbane sotto i 90 km/h.
L’idea è di usarli dove davvero servono, non per riempire le casse dei Comuni ma per evitare tragedie.
Abbandono di animali: pene più severe per tutelare tutti
Una delle novità più importanti riguarda l’abbandono di animali lungo le strade. Questo comportamento non è solo crudele, ma è anche pericoloso per gli automobilisti. Chi abbandona un animale e provoca un incidente rischia fino a sette anni di carcere. La patente potrà essere sospesa da sei mesi a un anno.
È un messaggio forte: gli animali non si abbandonano, e chi lo fa non mette a rischio solo la vita di un essere indifeso ma anche quella degli altri utenti della strada.
Obiettivi della riforma: un futuro più sicuro per tutti
Con queste modifiche, il messaggio è chiaro: basta incidenti evitabili, basta rischi inutili. Serve una stretta vera, una mano ferma che riporti ordine sulle strade. Pene più severe, regole nuove per quei mezzi che finora erano un po’ fuori controllo e controlli più rigorosi. Tutto questo per cercare di ridurre il numero di tragedie che, troppo spesso, si potrebbero evitare. Le nostre strade devono tornare a essere sicure. Per tutti.
Però, diciamocelo: una legge, da sola, non può bastare. Serve anche il nostro impegno, quello di tutti. Non è solo questione di seguire le nuove regole: è questione di responsabilità, di prendersi cura gli uni degli altri quando siamo al volante. La sicurezza stradale è una sfida comune, qualcosa che riguarda ognuno di noi. E sì, con un po’ di impegno da parte di tutti, possiamo davvero fare la differenza.
Quindi, occhi aperti, testa sulle spalle e cuore in quello che facciamo: la strada è di tutti e ognuno di noi ha il dovere di renderla più sicura.
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Chi vuole parlare d’amore? La nuova docuserie che...
Ragazzi, amori, sesso e verità senza filtri. Da martedì 19 novembre, arriva in esclusiva su RaiPlay una nuova docuserie dal titolo intrigante: “Chi vuole parlare d’amore?“. Le registe Isabel Achaval e Chiara Bondì, entrambe amiche e mamme, si sono lanciate in un’avventura per capire davvero cosa passa per la testa dei ragazzi quando si parla di sentimenti. Cos’è cambiato dall’epoca in cui loro stesse erano adolescenti? E cos’è invece rimasto lo stesso?
Immaginate due donne che camminano per le strade di Roma, con un microfono in mano e mille domande che fanno battere il cuore. Si fermano davanti ai ragazzi nei posti più autentici: fuori dalle scuole, nelle piazze dove ci si perde in chiacchiere fino a tardi, in biblioteca. Vogliono capire cosa c’è davvero dietro quegli sguardi quando si parla di amore. Così nasce “Chi vuole parlare d’amore?”. Non è solo un’indagine sociale, è molto di più: è un viaggio profondo, un tuffo nelle emozioni più vere, senza filtri, senza barriere.
La verità? Spesso i ragazzi parlano poco di queste cose. Un po’ perché sono timidi, un po’ perché hanno paura di non essere capiti. E va bene, è normale. Ma Isabel e Chiara non si fermano. Loro vogliono andare oltre, vogliono capire davvero. E così, puntata dopo puntata, esplorano ogni aspetto della vita sentimentale e sessuale dei giovani. Senza moralismi, senza pregiudizi, senza filtri. Si comincia dai “Primi amori” – quei primi batticuori che ti travolgono e ti fanno sentire come se niente altro al mondo contasse. Poi si passa agli “Amori difficili”, quelli che ti mettono alla prova e si arriva fino alla scoperta del sesso. Una puntata in cui si parla anche di educazione sessuale, con tutte quelle domande che i ragazzi spesso non trovano il coraggio di fare, né a scuola né a casa. Ecco, qui possono finalmente farle.
In questa docuserie non ci sono risposte preconfezionate: ci sono ragazzi veri, con le loro storie e i loro dubbi. C’è chi si chiede cosa sia il vero amore, chi si sente insicuro rispetto alla propria identità sessuale, chi fatica a capire cosa significhi avere una relazione sana nell’era del digitale. Le questioni di identità, di orientamento e il rapporto con il mondo digitale sono tutti temi che emergono, a volte con leggerezza, altre con più difficoltà.
Il bello è che questo viaggio non lo fanno da soli. In ogni episodio c’è una guida speciale: psichiatri, scrittrici, ginecologhe e persino filosofi, come Vittorio Lingiardi, Maria Grazia Calandrone e Violeta Benini, che aiutano a dare profondità e chiarezza a temi che spesso sembrano complicati da affrontare. È un percorso che si conclude guardando avanti, con l’episodio sul “Futuro”, in cui si parla di desideri, di speranze e perché no, della poesia che può educare ai sentimenti.
“Chi vuole parlare d’amore?” è un’occasione per fermarsi e riflettere su come cambiano le emozioni, su cosa significa oggi amare, essere vulnerabili, crescere. Noi crediamo che questo progetto rappresenti un punto di partenza per aprire un dialogo vero, senza barriere. Parlarne non dovrebbe mai essere un tabù, anzi, è un primo passo bellissimo per iniziare a capirsi e non possiamo che supportare un’iniziativa così importante, che arriva da Rai Contenuti Digitali.
Dal 19 novembre, su RaiPlay. Lasciatevi conquistare da questi racconti. Chissà, magari ci ritroveremo un po’ tutti in quelle storie.