Kne – I Kustodi di Napoli Est, intervista all’autore Ivan Orrico
E’ quasi tutto pronto per la presentazione di Kne – I Kustodi di Napoli Est, il film di Ivan Orrico la cui anteprima, per la stampa, è prevista per il prossimo 23 febbraio 2023 a Napoli. Con le musiche del Maestro Vincenzo Sorrentino, l’opera sarà incentrata sulla storia di una famiglia criminale del quartiere Ponticelli. Un ritratto nudo e crudo della criminalità organizzata della Camorra dal sapore neorealista, di cui Orrico ci ha parlato in questa intervista.
A cura di Roberto Mallò per MassMedia Comunicazione
Ivan, com’è nata l’idea di Kne – I Kustodi di Napoli Est?
“L’idea è nata durante il periodo di permanenza su Napoli per la realizzazione di un altro progetto. Parliamo del 2017-2018 circa.La storia di una famiglia criminale di Ponticelli, a Napoli Est, da cui ho voluto prendere ispirazione. Mi ha colpito, infatti, come queste persone, nonostante i loro affari con la malavita, avessero il consenso della gente. Questo mi ha spinto a riflettere. Perché davvero in alcuni quartieri, vige veramente l’Antistato, che fa da padrone. Mi sono quindi fatto raccontare come queste persone vivevano, quello che facevano per avere il consenso della gente, che li idolatrava e si metteva al loro servizio facendoli diventare I Kustodi del Territorio .E da queste premesse ho preso spunto per scrivere la storia di Kne – I Kustodi di Napoli Est. Con la famiglia protagonista del film ho avuto modo di portare in scena la differenza tra il modo di vivere dei camorristi di oggi rispetto a quelli di ieri. Pur essendo ambientato ai giorni nostri, i criminali si muovono seguendo il vecchio stampo. Mi piaceva raccontare entrambi i modi di pensare di questa gente, di come mettono in gioco la vita della famiglia e dei figli per il Dio Denaro. Racconto ciò dunque mettendo tutto a nudo, senza romanzare, a tratti in maniera cruda. In Kne è molto importante anche la figura dello Stato, rappresentato dall’ispettore Galletti, che combatte con ogni mezzo il malaffare. Un servitore della giustizia, anche egli realmente esistito, che lascia la firma su ogni sua operazione scrivendo sui muri delle abitazioni dei criminali Arrestato per rimarcare la forza e la presenza delle istituzioni. Il suo è un modo per ricordare ai giovani ‘adulatori’ che questo mondo puzza di morte, ed è assolutamente da evitare. Il film appunto racconta e illustra senza alcuna censura la sofferenza a cui porta la strada della Malavita”.
Entriamo nel vivo della trama. Al centro ci sono quattro fratelli in antitesi con il loro mondo, perché sono in contrasto con un altro capoclan, e con lo stato.
“Sono personaggi che ho scritto interamente io. Nella realtà, si trattava di quattro fratelli maschi, mentre ho voluto inserire la figura femminile, che in questo mondo è molto forte e presente. Le donne di mafia e di camorra in moltissimi casi detengono il potere; sono per alcuni versi più sanguinarie e feroci degli uomini. Riescono a gestire e comandare decine e decine di soldati per aizzarli contro la vendetta dei propri mariti e figli. Riescono ad essere maggiormente spregiudicate. Ho dunque ritenuto necessario mettere in risalto anche una figura femminile, che incarnasse le tante donne che purtroppo, come dicevo,comandano veri e propri clan al posto dei mariti carcerati o defunti”.
E poi poteva dare luogo, come ha già detto, ad altre sfumature del mondo che racconta.
“Sì, dava molteplici sfumature alla narrazione. Ovviamente, pur partendo da una storia vera, ho inserito aneddoti e nito altri eventi realmente accaduti nella provincia di Napoli ottenendo una storia,dal punto di vista criminale, direi completa, mettendo in risalto anche la loro mentalità ed il loro codice d’onore. Ad esempio, c’è una scena molto forte, in cui questi criminali giustiziano due pedofili che hanno ucciso una bambina dopo averne abusato perché nel loro regolamento i bambini sono intoccabili (che fa riferimento alla tragedia di una bimba della periferia a nord di Napoli lanciata da un balcone dai suoi aguzzini). Così come alcuni episodi risalenti agli anni 80 in cui la criminalità era organizzata in vere e proprie bande, da uomini armati fino ai denti, che si scontravano ogni giorno con i rivali o con le forze dell’ordine che provavano a fermarli e dove sono caduti anche decine e decine di innocenti come la Strage di Ponticelli, dove soltanto per un affronto scaturito da uno schiaffo si innescò una faida . In Kne chiunque conosce la storia può rivedere fatti ed episodi realmente accaduti e capire così la gravità di quelle circostanze, lavorando insieme perché questo non possa più accadere”.
Com’è avvenuta la scelta del cast? E’ stato lei a scegliere gli attori?
“Li ho scelti insieme all’aiuto di diverse figure che hanno da subito creduto nel progetto, come l’attore Tommaso Palladino,facendo tantissimi provìni. Per quanto riguarda il cast principale,il primo che ho scelto è stato proprio lui. Un attore che ha fatto oltre cinquanta film, tra cui alcuni diventati dei veri e propri cult, come Napoli Spara!, Napoli Violenta. L’ho scelto perché era quello che rappresentava la vecchia frangia dei camorristi; un caratterista con uno sguardo, a mio avviso, non replicabile. Non è certamente una tipologia di boss disposto ad uccidere per 2.000 euro o un bracciale. Questa nuova frangia, di cui stiamo parlando, l’ho dunque affidata a Carmine Monaco, che nel film rappresenta Toni De Marco ed è ispirato sempre ad un personaggio realmente esistito, condizionato dalla madre nelle sue decisioni, visto che era lei a spingerlo verso il malaffare, l’azione criminale. Poi la scelta di Walter Lippa, dapprima chiamato per coprire il ruolo di un altro dei fratelli e invece, dopo le prime battute, ho voluto dare a lui – poiché secondo me è il più carismatico – il ruolo del capofamiglia. Una volta trovato con Adriano Piccolo e Rosa Miranda il giusto mix che equilibrava l’azione corale recitativa sono partiti i provini per gli attori secondari. Abbiamo visto migliaia e migliaia di persone. Il risultato alla fine è stato eccellente . Un equilibrio che ha portato la scelta di puntare su attori emergenti ad essere vincente, seguendo la politica di uno dei miei registi preferiti come Stefano Sollima che in Gomorra ha dimostrato che non serve un nome per fare grande una persona e quindi un progetto .C’è una scena nel film , che proprio per questo considero una fra le più belle , dove la Figurazione alla sua prima esperienza ha comunicato con la sua espressione qualcosa di speciale, di sorprendente. E’ riuscito ad esprimere quella sensazione di paura che la scena prevedeva, alla stregua di un attore professionista, in un modo che magari quest’ultimo non sarebbe mai riuscito . C’è stata una sinergia tale, dove ogni interprete è riuscito a rendere al meglio il personaggio che rappresentava, a prescindere dalla esperienza, bilanciando o escludendo totalmente il gap che naturalmente sì sarebbe dovuto verificare”.
Una cosa bella, no?
“Sono molto critico. Penso davvero che non ci sia un attimo dove lo spettatore possa perdere l’attenzione sulla storia per qualcosa che lo faccia distogliere dalla realtà del film .Un ritmo costante in un progetto corale dove ogni personaggio ha avuto la possibilità di esprimersi e di venire fuori, di emergere. E assicuro che non è cosa semplice dare spazio ad ogni interprete, che a sua volta ha saputo ricambiare con il massimo delle potenzialità. La mia è stata una sfida il cui obiettivo non era solo vincere ma arrivare alla fine superando degli schemi convenzionali, preimpostati e dei pregiudizi. Penso di esserci riuscito risolvendo problemi e a virare, recuperando la rotta, arrivando all’obiettivo”.
Anche lei interpreta un ruolo nel film, giusto?
“Esatto, sono uno dei protagonisti. Interpreto Uacchi e Brillante , tenebroso e carismatico criminale che detiene le redini di un piccolo ma efficiente clan. Un professionista del crimine realmente esistito. Un leader spietato che, insieme al suo fedelissimo Tito Arpea, si vuole avvicinare al boss che raccontava Tornatore , di ‘altri tempi’. Ho visto tante volte il Camorrista ed era quello a cui, secondo me, bisognava ispirarsi per far uscire ancor più la differenza tra la camorra con organizzazione gangsteristica e quella di oggi che subisce di più la pressione microcriminale. Spero di esser riuscito ad interpretare nel miglior dei modi il personaggio e che la sua diversa ‘estrazione’ arrivi al pubblico con tutte le sue peculiarità .
In precedenza, ha detto che il film serve anche a far capire che “il sano resta sano”. Cosa intendeva con questo concetto?
“Il nostro compito, pur raccontando l’esaltazione di chi intraprende questa strada, è fare arrivare il messaggio che “il sano resta sano “. E’ proprio la vendetta, perpetrata e realizzata attraverso un sistema calcolatore e vessatorio, quell’attenuante che “muove e smuove”, individualmente , gli animi dei fratelli, che rappresentano, nella loro veste meno tecnica, i diversi archetipi dei camorristi. Essa rappresenta il tragico epilogo di un racconto di persone deviate dal bene che, private dei loro affetti più cari, provati dalla precarietà socioeconomica hanno progettato azioni criminose e crudeli con spargimento di sangue, anche di innocenti. E’, dunque, “l’apoteosi distorsiva” di un gruppo di persone che ha scelto come “ultima speme”, di uscire dalle proprie difficoltà personali, utilizzando mezzi da veri e propri aguzzini, frutto della “degenerazione” di una società che ha omologato a valori la vita criminale. Per capire chi è sano, bisogna capire che cos’è il male. Se riesci a vedere il male per com’è realmente ti attacchi al sano. Sono molto credente. Ritengo che la fede si acquisisca maggiormente solo se conosci ed individui il male. Più quest’ultimo ti è vicino e più capisci quanto è grande Dio. Solo così hai consapevolezza di qual è la differenza tra il bene e il male. Se il male si presenta sai almeno la strada giusta da seguire”.
Da regista, che giudizio dà a Kne – I Kustodi di Napoli Est?
“E’ un film come dicevo corale, ben bilanciato e con un grande ritmo. L’azione è il suo cuore pulsante; è un action Movie da cardiopalma. Però non vorrei continuare a dare giudizi perché sarei troppo di parte. Sono grato a tutto il cast perché, secondo me, ha contribuito a formare una grande famiglia con cui è stato un piacere lavorare ed il risultato ne è la prova. Ringrazio a chi ha creduto nel progetto e in me; hanno capito l’importanza dei ruoli che avrebbero interpretato. E ad alcuni che avevo già visto in Gomorra, come nel caso di Monaco e Lippa, mi ero già interessato per come avevano saputo interpretare i personaggi. E’ come se avessi voluto dare ancor più spazio alla loro bravura e interpretazione attoriale, per non parlare di Tommaso Palladino, figura emblematica del genere che stavo trattando. E, mi permetta di dirlo, sono anche delle grandi persone con tanta umiltà e dei valori che, in questo mondo vortice, è sempre più raro trovare. Sono del parere che anche il nome più importante del panorama cinematografico se non ha questo mix non è completo e, personalmente, preferisco lavorare con chi ha queste caratteristiche e devo dire che così i risultati sono garantiti .
Il film è prodotto dalla Move produzione indipendente e distribuito dalla Mediterranea Production. E’ stato difficile portare avanti questo progetto?
“Non è stato sicuramente semplice. Era però mia premura dimostrare che anche con un low budget si possono realizzare delle belle opere. Chi lo potrà vedere noterà gli accorgimenti stilistici, dal punto di vista della regia, degli effetti speciali e del trucco, che sono stati fatti. Abbiamo avuto un maestro d’armi dal vero e vfx. Ci siamo impegnati per rendere il film altamente qualitativo . Ed anche questo è un modo per far capire che, con un piccolo budget, si possono comunque realizzare prodotti audiovisivi di un certo livello se c’è la volontà, la forza e una squadra di persone capaci. Anche perché penso che le produzioni indipendenti debbano essere aiutate maggiormente. Se avessi dovuto aspettare il finanziamento della regione, le Film Commission varie e l’aiuto di altre produzioni, credo che ancora non sarebbe uscito. Con tanto lavoro e sudore, se si considera la pandemia, Kne sarà disponibile dopo due anni di realizzazione. E’ un grande risultato per noi, che abbiamo realizzato tutto in seisettimane. Consideri che molte produzioni in tante occasioni non riescono a ultimare i lavori, anche se ricevono soldi dalle Film Commission. Il fatto che noi ci siamo riusciti, senza ricorrere alle stesse, può essere d’esempio per chi vuole realmente fare cinema e svolgere la professione in maniera professionale”.
A che punto è il cinema di oggi?
“Penso che il cinema, purtroppo, sia diventato soltanto un modo dove veicolare i soldi e regalarli a persone che veramente non sono interessate all’audiovisivo o al prodotto in sé per sé, ma a fare cassa. Per questo dobbiamo farci una domanda e capire perché il cinema sta scomparendo. In Italia non diamo più spazio alle produzioni indipendenti; pensiamo soltanto a fare i film kolossal, che costano tantissimo, invece di dare spazio a tutti. Non bisogna dare la colpa alla pandemia, alla guerra, alla crisi. La colpa è soltanto di chi gestisce i fondi, di chi decide come e in che maniera darli alle piccole produzioni. Questo fa sì che i produttori indipendenti non esistano quasi più”.
In quali sale uscirà il film?
“Come ha già detto, il film verrà distribuito dalla Mediterranea Production, che è una società molto forte e solida nell’ambito della distribuzione. Il fondatore Angelo Bassi, che è un caro amico, ha creduto molto nel progetto ed ha voluto distribuirlo. E’ stato il primo a visionarlo, quando ancora giravamo, ed ha scelto di entrare a far parte di Kne – I Kustodi di Napoli Est tramite la distribuzione. Il film uscirà in tutta Italia, in quasi tutte le regioni dove la Mediterranea ha la sua lente distributiva. Anche se siamo amanti dei cinema, ci sarà poi il passaggio sulle piattaforme, con cui attualmente stiamo prendendo accordi”.
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Interviste
Intervista a Nicol Angelozzi, dal set a Madrina del Catania...
Nicol Angelozzi è un’attrice emergente dal talento e dalla determinazione straordinari. Nonostante la giovane età, ha già conquistato ruoli importanti, arrivando al pubblico televisivo con la serie Confusi, disponibile su RaiPlay, in cui ha interpretato un ruolo da protagonista. Ora è pronta a ricoprire il prestigioso ruolo di Madrina al prossimo Catania Film Fest, evento di spicco nel panorama del cinema indipendente.
In questa intervista, Nicol condivide la sua passione per la recitazione, i sogni ed i progetti che la attendono nel futuro.
Nicol, sei giovanissima ma hai già fatto passi importanti nella tua carriera di attrice, come ad esempio il ruolo da protagonista in Confusi. Come è nata questa passione per la recitazione e cosa ti ha spinta ad intraprendere questa strada?
“Da quando ero piccola ho sempre amato il mondo dello spettacolo. Ricordo che appena trovavo una spazzola in giro per casa, la prendevo e iniziavo a cantare, ballare e ad inventare storie. A scuola, non perdevo occasione di partecipare alle recite; ero sempre in prima linea. Da lì ho capito che quello poteva essere il mio mondo. La recitazione mi rende viva e mi fa provare emozioni intense. Per questo, mi impegno ogni giorno con tutta me stessa per inseguire il mio sogno.”
Sarai la Madrina della prossima edizione del Catania Film Fest, che si terrà dal 13 al 17 novembre 2024. Cosa significa per te questo ruolo e quale contributo speri di portare al festival?
“Sono molto emozionata di poter ricoprire un ruolo così importante, tornare nella mia città Catania e aprire le porte del festival. Spero di portare tanta freschezza e gioia, e di contribuire al successo di questo evento che valorizza il cinema indipendente.”
Il Catania Film Fest è un importante evento per il cinema indipendente. Secondo te, qual è il valore di questi festival per i giovani attori e per l’industria cinematografica in generale?
“Ieri in un’intervista dicevo che i festival avvicinano le persone al mondo del cinema e permettono di approfondire le proprie conoscenze. Avere l’opportunità di vedere film che in sala sono spesso difficili da trovare è un’occasione preziosa. Tantissime scuole ed università parteciperanno al programma del festival, e questa adesione mi rende molto felice.”
Guardando alla tua esperienza professionale, c’è un ruolo o un progetto che consideri particolarmente significativo nel tuo percorso?
“Sicuramente il ruolo di Maria Grazia in Confusi mi ha segnato particolarmente. Avere la possibilità di interpretare un personaggio per un mese intero è una sfida bellissima: ti permette di creare e cucirti il personaggio addosso, di viverlo davvero dall’inizio alla fine.”
Quali sono i tuoi progetti futuri?
“Ci sono dei progetti di cui purtroppo non posso ancora parlare, ma che saranno molto entusiasmanti. Soprattutto, continuerò a studiare ed a formarmi, perché credo che lo studio faccia davvero la differenza in questo mestiere.”
Quali attori o registi ti ispirano di più nel tuo lavoro, e con chi sogni di collaborare in futuro per continuare a crescere professionalmente?
“Mi piacerebbe interpretare un ruolo action, magari sullo stile di Lara Croft—sarebbe davvero divertente! Vorrei lavorare con Ferzan Ozpetek, per la sua grande delicatezza nella narrazione. Spero di avere la possibilità di esplorare sempre di più in questo mestiere, passando dalla recitazione alla televisione, o anche alla radio.”
Cultura
L’evoluzione dei graffiti nell’arte: intervista a Nico...
Nico “Lopez” Bruchi è un artista poliedrico: pittore, fotografo, video-maker ed attivista sociale, incarna l’arte nella sua totalità. La sua passione per la creatività si manifesta in ogni campo in cui si esprime.
Nato a Volterra, in una famiglia di creativi, “Lopez” si è immerso fin da giovane nelle subculture urbane come lo skateboard e la street art, che hanno profondamente influenzato il suo percorso artistico e di cui, ed in breve tempo, è diventato uno dei punti di riferimento più importanti.
Oggi ricopre il ruolo di direttore artistico della EDFcrew, un ambizioso progetto di arte sociale che si dedica alla riqualificazione urbana. Con questo collettivo, Bruchi realizza decine di interventi artistici all’anno, trasformando spazi trascurati in opere d’arte, e continua a lavorare come direttore creativo su scala internazionale, collaborando a progetti innovativi che uniscono arte, design e impegno sociale. Lo incontriamo per parlare di urban art.
Cosa sono i graffiti per te?
Sono la più antica e necessaria espressione e affermazione dell’esistenza umana. Nascono nella preistoria e sono antecedenti alla scrittura. Sono cambiati i modi, ma non abbiamo mai smesso di farne, quindi si può dire che siano la più primordiale forma espressiva che abbiamo. Sono da sempre anche una forma di appropriazione di spazi e concetti, per questo motivo sono stati spesso generati in occasione di ribellione di manifestazioni di dissenso, con desiderio d’imponenza, d’invasione di spazi pubblici per autoproclamare sovversivi messaggi alla popolazione. Sono stati vera e propria pubblicità, decorazione, espressione di potenza e ricchezza (affreschi nelle ville), raffigurazione del divino (affreschi nelle chiese).
Per me, però, tutto nasce con i graffiti di Fernando Oreste Nannetti, meglio noto come NOF4, uno degli ospiti del manicomio di Volterra che, durante gli anni di reclusione, incise con le fibbie delle cinture tutte le mura esterne del padiglione manicomiali, creando un vero e proprio diario della sua mente. Considerato un capolavoro dell’Art Brut, il graffito di Nannetti, nella sua cripticità, riportava autoaffermazioni della sua esistenza e personali definizioni del proprio essere, tra le più leggibili, si distingueva questa: “…io sono un astronautico ingegnere minerario nel sistema mentale. Questa è la mia chiave mineraria. Sono anche un colonnello dell’astronautica astrale e terrestre.”
Crescere circondato da un’opera così potente ti lascia un segno profondo. La prima volta che scrissi su un muro avevo circa 7 anni, usando un pezzo di alabastro che un artigiano lasciava fuori dalla sua bottega per farci disegnare. Anni dopo, intorno ai 14, scoprii i graffiti “a bomboletta”, come i chiamo io. Praticando skateboard da rollerblading ero spesso negli skatepark ed inevitabilmente inciampai in alcuni writers milanesi e svizzeri. Rimasi affascinato e qualche anno più tardi cominciai dilettarmi nell’uso degli spray.
Vivendo a Volterra, con le sue antiche mura vincolate come beni storici, per evitare denunce iniziai a sperimentare coi graffiti nell’ex manicomio abbandonato. Passavo le giornate da solo a esercitarmi con gli spray. Quel luogo divenne il centro dei graffiti a Volterra, e per rispetto di NOF4, mi sono sempre impegnato a proteggere il suo lavoro, raccontando la sua storia agli artisti e invitandoli a dipingere altrove.
Come hai incontrato la EDFcrew?
Un giorno, un amico (Daniele Orlandi a.k.a. Umberto Staila) mi invitò a una jam di graffiti a Pontedera, dove parteciparono artisti da tutta Italia. Fu stupendo e a fine evento, lui e il suo socio (Niccolò Giannini a.k.a. Joke) mi proposero di entrare nella loro crew, la EDFcrew. Da quel momento, la mia vita cambiò e la crew divenne la mia priorità. Oggi, 20 anni dopo, sono il direttore artistico della EDFcrew, composta da sei artisti e molte figure professionali. I graffiti, da mezzo per esplorarmi e affermarmi, si sono trasformati in uno strumento di creatività sociale e comunitaria, diventando il motore della mia rivoluzione personale.
I graffiti e le opere d’arte urbana hanno attraversato un incredibile viaggio culturale, trasformandosi da attività clandestina a fenomeno celebrato ed integrato nella società contemporanea.
Nel corso degli anni, i graffiti hanno subito una straordinaria trasformazione culturale, passando dall’essere una forma clandestina di espressione ad un fenomeno celebrato ed integrato nella società. Artisti come me hanno contribuito a questo cambiamento, trasformando i graffiti in opere d’arte che suscitano riflessioni e dialoghi. Si è verificata una separazione tra il ‘Writing’ puro, che si basa sull’auto-affermazione egotica attraverso la scrittura del proprio nome, e i graffitisti figurativi che desideravano esprimersi senza i rischi del Writing clandestino.
Gli artisti figurativi, partendo dal concetto di graffiti “Puppet”, hanno evoluto il loro stile, dedicando più tempo alla creazione rispetto ai rapidi interventi clandestini sui treni. Con il tempo, i graffiti si sono spostati in spazi legali, più adatti alla realizzazione di opere complesse e decifrabili anche da chi non appartiene alle Street Cultures. Molti artisti hanno partecipato a jam su muri concessi dalle istituzioni, portando all’integrazione dei graffiti nell’ambiente urbano e alla nascita di movimenti come la Street Art e il muralismo. Grazie a internet, i graffiti hanno raggiunto una diffusione globale, entrando anche nei musei e nel mercato dell’arte.
E cosa succederà alle città invase dai murales, quando questi inevitabilmente si deterioreranno?
I murales che contengono un forte valore concettuale ed estetico rimarranno nei ricordi di chi li ha vissuti. Le città si evolvono costantemente, e i murales deteriorati potranno aggiungere un fascino ‘neorealista’ a certi quartieri, o essere restaurati o sostituiti. La natura effimera del muralismo lo rende affascinante: alcune persone potrebbero stancarsi, ma altri continueranno a trovare ispirazione nella loro bellezza, proprio come accade per le grandi opere d’arte.
Noi della EDFcrew ci impegniamo a creare arte sociale, coinvolgendo le comunità nei processi creativi e producendo murales che portano la loro voce. Chiudo dicendo che per molti (e mi metto anch’io tra questi) questa forma d’arte non è che l’inizio di un percorso artistico che poi, col tempo, prende nuove strade contemporanee dell’arte.
Interviste
Intervista esclusiva a Lola Abraldes, protagonista...
Lola Abraldes ci racconta il suo percorso in Margarita, la nuova serie legata all’universo di Floricienta (Flor speciale come te) e le sfide per interpretare Daisy, in una trama piena di colpi di scena. Ricordiamo che la serie narra le vicende della figlia di Flor e Massimo.
Lola Abraldes, a soli 21 anni, è già una promessa nel mondo dello spettacolo. È attrice, ballerina, cantante, modella e ha una determinazione che emerge chiaramente sin da bambina. La sua carriera ha radici profonde: a soli sei anni ha iniziato a lavorare nelle pubblicità, spesso al fianco di suo padre Flavio Abraldes, anche lui attore, che è stato una guida importantissima per lei. Con il suo sostegno e i suoi consigli, Lola ha affrontato ogni sfida con una sicurezza davvero invidiabile.
Ma non è solo il talento di famiglia a distinguerla: Lola ha sempre avuto una passione innata per l’arte, alimentata dai suoi studi di teatro e danza, iniziati a sette anni, e dal canto, che ha aggiunto alla sua formazione quattro anni fa. Il suo grande sogno? Lavorare con Cris Morena, un sogno che l’ha accompagnata fin da quando guardava Casi Ángeles, affascinata dal personaggio di Mar. E questo sogno, con grande determinazione, è riuscita a realizzarlo.
Lola ha dovuto insistere molto con i suoi genitori per partecipare ai primi casting. Non era facile per loro accettare che una bambina così piccola volesse già entrare in un mondo così competitivo. Ma alla fine ha prevalso la sua caparbietà e da quel momento non si è più fermata. Ha iniziato a fare pubblicità, ha continuato a studiare e poco a poco si è fatta strada nel mondo del cinema e della TV.
Nel 2021 arriva la svolta: ottiene un ruolo da coprotagonista nel film Como mueren las reinas. Un’esperienza che per lei ha significato tantissimo, perché è stato lì che ha capito di voler recitare per il resto della vita. Quei giorni lunghi sul set, per la prima volta così intensi, le hanno dato la certezza che il suo sogno stava prendendo forma.
Ma la vera sfida arriva con Margarita, una serie firmata da Cris Morena. Lola ha affrontato un casting lunghissimo e inizialmente non era stata selezionata per il laboratorio della serie. Ma la sua perseveranza è stata premiata: dopo qualche settimana, è stata richiamata per partecipare, e alla fine, tra cinque attrici, è stata scelta per interpretare Daisy. Un momento di felicità indescrivibile per lei.
Il personaggio di Daisy non è affatto semplice. Cresciuta tra bugie e inganni, Daisy non conosce la sua vera identità e Lola ha lavorato mesi per costruire un ruolo così complesso. Ogni scena è stata analizzata a fondo, ogni dettaglio studiato. Grazie alla sua formazione artistica, Lola ha saputo dare a Daisy una profondità che rende il personaggio credibile e coinvolgente.
Lola ha lavorato duramente per far emergere in Daisy il conflitto tra la voglia di conoscere la verità e la paura di affrontarla. Daisy, infatti, sceglie inconsciamente di vivere nella menzogna, per evitare il dolore di scoprire chi è davvero. Un personaggio pieno di sfumature, che Lola ha reso unico, grazie anche all’aiuto della sua coach di recitazione e di suo padre, sempre presente a darle consigli.
Il rapporto tra Daisy e la vera Margarita, interpretata da Mora Bianchi, è stato uno degli aspetti più interessanti da sviluppare. La loro amicizia nella vita reale ha reso tutto più semplice: ore e ore passate insieme sul set hanno creato una complicità autentica che si riflette anche nei loro personaggi. E questa autenticità è ciò che rende il legame tra Daisy e Margarita così vero e coinvolgente sullo schermo.
Anche la relazione tra Daisy e Merlín, interpretato da Nicolás Goldschmidt, ha rappresentato una grande sfida per Lola. Dopo aver subito tanto dolore a causa di Merlín, Daisy trova la forza di perdonarlo, dimostrando la sua dolcezza e la sua capacità di comprendere. Una delle scene più intense, ci racconta Lola, è stata quella sull’isola, dove Daisy affronta Merlín chiedendogli “Perché mi fai questo?”. Quella battuta, inserita da Lola stessa, ha dato ancora più profondità al suo personaggio e alla scena.
Non è mancata la pressione da parte del fandom di Floricienta, una serie amatissima che ha lasciato un’eredità importante. Lola ha sentito questa responsabilità, ma ha affrontato tutto con grande rispetto, riguardando la serie originale per immergersi completamente nel contesto e fare suo il ruolo di Daisy.
E per il futuro? Lola ha le idee molto chiare. Vuole continuare a recitare, esplorare nuovi personaggi, nuovi paesi, nuove storie. Sogna di lavorare in Italia o in Spagna, due paesi che ama moltissimo e continua a formarsi per crescere sempre di più come attrice.
L’intervista con Lola Abraldes ci ha regalato uno sguardo unico sul suo percorso, fatto di determinazione, passione e tanto talento. Una giovane artista che ha sempre creduto nei suoi sogni e che, con impegno e sacrificio, li sta realizzando uno dopo l’altro. E noi non vediamo l’ora di vedere dove la porteranno i prossimi passi.
La nostra intervista esclusiva
Ciao, Lola! È un vero onore averti con noi di Sbircia la Notizia Magazine per questa esclusiva in Italia. Siamo davvero entusiasti di poter raccontare la tua storia ai nostri lettori e scoprire di più su di te e sul tuo percorso. Sei un talento emergente che sta conquistando il cuore di molti e avere l’opportunità di parlare con te è un privilegio. Grazie per aver accettato questa intervista.
Hai iniziato a lavorare nel mondo dello spettacolo giovanissima, partecipando in pubblicità e lavori di modella già a sei anni. Quanto ti ha aiutato questa esperienza iniziale ad affrontare i casting e il ruolo di Daisy in “Margarita”? C’è qualcosa che hai imparato in quegli anni, magari anche dai lavori insieme a tuo padre Flavio Abraldes?
“Lavorare nel mondo della recitazione fin da piccola mi ha aiutato tantissimo ad affrontare i lunghi casting di Margarita. Mi ha dato una formazione solida non solo nella recitazione, ma anche nella danza e nel canto, poiché la mia esperienza precedente mi aveva già insegnato molto sul mondo dell’arte. Grazie ai miei lavori precedenti, sapevo già come studiare i copioni, come pormi davanti alla telecamera e come comportarmi sul set. Inoltre, i consigli che mio padre mi ha sempre dato mi hanno permesso di affrontare i casting con molta sicurezza e calma. È stato un processo lungo e difficile, ma sono riuscita a rimanere in piedi senza permettere alla pressione di abbattermi. Se non avessi fatto tanti casting durante la mia infanzia e non avessi già sperimentato cosa significhi non essere scelta per un progetto, il processo di selezione per Margarita sarebbe stato impossibile per me.”
Fin da bambina, guardavi “Casi Ángeles” e sognavi di lavorare nelle produzioni di Cris Morena, ispirata dal personaggio di Mar. Raccontaci cosa hai provato quando hai saputo che eri stata ammessa alla scuola “Otro Mundo” di Cris Morena, e qual è stato per te il momento più emozionante di questo percorso, passando da fan a parte integrante di questo mondo che tanto ammiravi?
“Come dici tu, ero una grande fan di Casi Ángeles, e vedere Mar mi ha ispirata a diventare attrice. Entrare in Otro Mundo è stato un sogno che si realizzava per me, perché era lo spazio dove potevo imparare arte tutto il giorno, tutti i giorni, come avevo sempre desiderato. E, inoltre, sotto la guida della grande Cris Morena. Quando ho saputo di essere stata ammessa a Otro Mundo, ho pianto di gioia abbracciata a mia madre, ansiosa di iniziare a imparare da Cris. Il momento più emozionante di quel percorso è stato poche settimane dopo, quando Cris mi ha invitato a un incontro per conoscerci. Abbiamo parlato a lungo e mi ha detto che era interessata a me e che le piaceva molto il mio lavoro. Mi ha raccontato che dal giorno in cui ci siamo incontrate per la mia audizione, aveva il desiderio di sedersi a parlare con me. È stata una conversazione molto piacevole e mi ha consigliato di continuare a formarmi con la stessa energia e voglia.”
Il processo di selezione per il ruolo di Daisy è stato particolarmente intenso e competitivo, passando attraverso due fasi di casting e poi un laboratorio con altre quattro attrici in lizza per lo stesso ruolo. Qual è stata, secondo te, la chiave del tuo successo in quelle audizioni, e come hai vissuto quei momenti di incertezza, specialmente quando inizialmente ti avevano detto che non eri stata scelta?
“Credo che la chiave del successo sia stata mantenere la sicurezza in me stessa, lavorare duramente nonostante la stanchezza e appoggiarmi sui miei compagni di cast, amici e famiglia. Ho sempre mantenuto un buon rapporto con le altre ragazze che facevano il casting per Daisy, consigliandoci a vicenda, trattandoci con affetto e rispetto. Questo è stato fondamentale perché ha evitato che si creasse un ambiente ostile e competitivo. La mia famiglia è stata sempre presente, sostenendomi nei giorni in cui mi sentivo più giù o insicura, aiutandomi a ritrovare le energie per continuare. Inoltre, mio padre Flavio mi aiutava molto a provare le scene a casa. Continuavo a prendere lezioni per crescere e formarmi come artista.”
Daisy è un personaggio complesso, cresciuto in un mondo di bugie senza conoscere la verità sulla sua identità, adottata da Delfina solo per sfruttare l’eredità di Margarita. Come hai costruito il carattere di Daisy per renderlo autentico, e quali sono state le sfide emotive più grandi nel rappresentare il conflitto interiore di un personaggio che vive in un inganno così profondo?
“Il laboratorio (o casting) che abbiamo fatto per la serie è stato molto lungo e questo mi ha dato mesi per costruire la personalità di Daisy e conoscerla a fondo. L’ho conosciuta a tal punto che l’ho fatta mia. Mio padre Flavio e la nostra coach di recitazione, Cecilia Echague, sono stati di grande aiuto per trovare tutte le sfaccettature di Daisy e trasformarla in un personaggio profondo e complesso. Ho preso ogni scena del copione e l’ho analizzata a fondo, cercando tutti i colori e i dettagli. Ho dedicato molto tempo e passione. La sfida più grande nel rappresentare il conflitto interno di Daisy è stata far sì che lei davvero non volesse scoprire la sua vera identità. Nel corso della sua vita, Daisy ha molti indizi che la portano a sospettare di non essere chi crede di essere e ho dovuto trovare una giustificazione per il suo non voler approfondire la ricerca. Ho deciso di rendere Daisy una ragazza che sceglie di vivere nella menzogna. Lei sa che ci sono cose che non quadrano, ma per evitare dolore e sofferenza, inconsciamente sceglie di non indagare e di essere felice nonostante il piccolo vuoto che sente. È il suo meccanismo di difesa.”
Hai studiato teatro e danza fin da quando avevi sette anni, e canto da quattro anni. Quanto è stato importante il tuo background artistico nel dare vita al personaggio di Daisy? Come queste esperienze ti hanno aiutato a portare profondità e credibilità a un ruolo che richiede non solo recitazione, ma anche un’espressività fisica e vocale che la rendono così unica?
“La mia formazione artistica è stata fondamentale per dare vita a Daisy. Essendo un personaggio molto complesso con molti conflitti interni, ho avuto bisogno di molta tecnica recitativa per interpretarla senza problemi. Tutta quella formazione mi ha permesso di creare una dualità in Daisy, con il dilemma del sapere e non sapere, e del credere e non credere. Daisy è una ragazza molto dolce e calma, con tanto amore da dare ma che soffre e piange molto. Tutto questo l’ho costruito grazie alla mia esperienza e formazione passata.”
In “Margarita”, il legame tra Daisy e la vera Margarita è intriso di una drammaticità inconsapevole, poiché entrambe vivono immerse in una bugia e sono ignare delle loro vere identità. Come hai lavorato insieme a Mora Bianchi per creare questa intensa e delicata amicizia tra due personaggi che, pur non sapendolo, sono in competizione per una vita che non appartiene loro?
“L’amicizia tra Daisy e Margarita si è sviluppata in modo molto naturale, perché con Mora abbiamo costruito quella stessa amicizia nella vita reale. Tante ore insieme, risate e conversazioni profonde ci hanno dato una complicità assolutamente autentica, che ci ha aiutato entrambe sul set. Credo che questa sia stata la chiave per far sì che il nostro legame nella fiction apparisse così genuino e naturale. Inoltre, ci ha permesso di goderci le ore sul set e di supportarci emotivamente mentre eravamo lontane dalle nostre famiglie – la serie è stata girata in Uruguay.”
La relazione tra Daisy e Merlin è ricca di tensione e segreti: inizialmente Daisy non conosceva la vera identità di Merlin e le sue motivazioni, ma dopo la rivelazione di questo, la dinamica tra loro è cambiata profondamente. Qual è stata la sfida più grande nel rappresentare questa transizione e c’è una scena tra voi che ti ha toccato o lasciato una huella?
“La sfida più grande nel rappresentare questa transizione è stata far sì che Daisy si permettesse di condividere lo stesso spazio con Merlin, dopo che lui le aveva causato tanto dolore. Ci sono riuscita facendo sì che Daisy, con la sua dolcezza e bontà, capisse che lui non aveva agito con cattive intenzioni e che era una persona giusta e nobile. Una scena molto importante per me in questo rapporto è quella che loro hanno sull’isola, nella capanna. In quella scena, lei dice a Merlin che sa che lui non l’ha amata. A un certo punto gli dice: ‘Perché mi fai questo?’. Aggiunsi io quella battuta, perché mi sembrava importante per rappresentare ciò che Daisy sentiva e come lei si chiedeva davvero perché fosse necessario soffrire così. È stata anche molto bella da girare.”
Interpretare Daisy significa entrare a far parte di un universo legato a “Floricienta”, una serie iconica con una fanbase molto affezionata. Hai avvertito la pressione di soddisfare le aspettative di chi ha amato la serie originale e come hai gestito questa responsabilità, specialmente sapendo che i fan attendevano con ansia di scoprire cosa fosse successo a Flor e Massimo?
“Sì, ho sicuramente sentito molta pressione da parte del fandom di Floricienta, ma posso dire che ho sempre affrontato questo personaggio e questo progetto con grande rispetto. Ho rivisto Floricienta prima di iniziare le riprese, per comprendere meglio il contesto e capire a fondo la storia precedente, il che è stato fondamentale per le riprese. Inoltre, come fan di Floricienta, mi piace che il pubblico continui a provare tanto amore per Massimo e Florencia, proprio come ne provo io.”
Hai avuto un percorso unico e affascinante nel mondo dello spettacolo, dai primi passi nelle pubblicità fino ai ruoli di spicco in serie TV e film. C’è un momento nella tua carriera che consideri particolarmente significativo, un punto in cui hai sentito di aver trovato veramente la tua strada? Come il sostegno dei tuoi genitori, inizialmente restii a farti entrare nel mondo dello spettacolo, ha influenzato le tue scelte?
“Sì, per me è stato fondamentale il mio ruolo nel film Como mueren las reinas. È stato il mio primo progetto da coprotagonista e il periodo di riprese è stato lungo. Essere sul set tutti i giorni per la prima volta mi ha fatto capire che questo era davvero il mio sogno e che volevo recitare su un set per il resto della mia vita. Il sostegno dei miei genitori è stato sempre fondamentale per me, perché, una volta che hanno capito che questo era davvero il mio sogno, hanno iniziato a supportarmi al 100%, con tutto il loro amore e la loro dedizione. Questo è stato importantissimo per me, perché mi ha fatto sentire sempre accompagnata dalle persone che amo di più.”
Guardando al futuro, ci sono ruoli o storie che sogni di esplorare come attrice? Hai un progetto o un personaggio che senti particolarmente vicino e che ti piacerebbe interpretare?
“Guardando al futuro, sogno semplicemente di continuare a recitare per tutta la vita. Di esplorare personaggi completamente diversi, girando in Paesi diversi e per progetti diversi. Sogno di continuare a formarmi e crescere come attrice, e di affrontare storie di ogni tipo. Mi piacerebbe molto partecipare a un progetto in Spagna o Italia, poiché sono due Paesi che amo e adoro le persone che li abitano. Mi farebbe tantissimo piacere vivere lì per un po’ di tempo.”
Cosa diresti a chi, come te, sogna di entrare nel mondo dello spettacolo e affronta le sfide dei primi casting e delle prime delusioni? Qual è il consiglio più importante che hai ricevuto e che vorresti condividere con chi sta muovendo i primi passi in questo ambiente?
“Direi loro di lottare per i propri sogni. Con tanto impegno, lavoro e dedizione, i sogni si realizzano. Bisogna essere pronti ad affrontare il rifiuto, il vuoto e la tristezza, ma se riusciamo a superare quei momenti, quelli belli arriveranno. I miei genitori mi hanno sempre consigliato di continuare a crescere, di non lasciarmi abbattere dalle difficoltà e di non permettere che l’opinione di un direttore di casting mi definisse. Penso che questo sia molto importante, perché è facile sentirsi ‘poco talentuosi’, ‘brutti’ o ‘inadeguati’ quando un direttore di casting non ti sceglie per un ruolo. Ma bisogna tenere presente che non dipende da noi. Spesso non si viene scelti perché stavano cercando qualcos’altro, o per mille ragioni che non hanno a che fare con la bellezza, il talento o le capacità di una persona. È importante ricordarselo per poter essere felici in questa carriera.”
Se potessi tornare indietro e incontrare la Lola bambina che guardava “Casi Ángeles” con gli occhi pieni di sogni, cosa le diresti ora? Come ti senti sapendo che ogni passo ti ha portato esattamente a dove volevi essere, recitando in una serie firmata da Cris Morena?
“Sarebbe meraviglioso poter parlare qualche minuto con la Lola bambina. Le direi che tutti i suoi sforzi valgono la pena. Che perdere tanti compleanni, tante serate in pigiama con le amiche e tanti viaggi per continuare a formarsi o girare progetti più piccoli, varrà la pena. Le direi di credere in se stessa, di permettersi di divertirsi e giocare con la sua arte. Di non prendersi tutto troppo sul serio. Che tutti i suoi sogni si realizzeranno.”
Sebbene siamo ancora all’inizio, i fan sono già curiosi: ci sarà una seconda stagione di “Margarita” o i 40 episodi sono gli unici in programma? Hai qualche anticipazione che puoi svelarci?
“Mi piacerebbe potervi raccontare tutto, ma per ora posso solo dirvi che sono molto entusiasta di tutto ciò che sta accadendo con Margarita. Presto arriveranno cose meravigliose che mi emozionano tantissimo. Una seconda stagione? Lo spero tanto! Sarebbe bellissimo. Mettendoci tanto impegno e desiderio, potrebbe essere possibile, quindi continuiamo a sognarla finché si realizza 💘”
Parlando un po’ della tua vita privata, se posso chiedere, sei fidanzata? E se sì, il tuo compagno condivide la tua stessa passione per la recitazione o è impegnato in un settore diverso?
“Non sono fidanzata, sono sola ma circondata da famiglia e amici che amo profondamente e con cui mi godo la vita.”
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