Gianni Franco tra favole, cinema e buoni sentimenti: un viaggio leggendario tra passato e futuro
Da giovedì 23 marzo 2023 sarà in tutte le sale cinematografiche con il film Il Viaggio Leggendario, nuova opera del regista di successo Alessio Liguori che ha per protagonisti i DinsiemE, il duo di youtuber composto da Erick Parisi e Dominick Alaimo. Un ruolo, quello di Platone, di cui l’attore Gianni Franco è davvero molto soddisfatto, e che l’ha portato a condividere il set con Herbert Ballerina, Ladislao Liverani e tanti altri attori. Un film che fa da preludio anche ad un altro progetto importante: sarà infatti nel cast della seconda stagione di Vita da Carlo, la serie scritta e diretta da Carlo Verdone. Ecco, quindi, che cosa ci ha raccontato Gianni Franco.
Intervista a cura di Roberto Mallò
Salve Gianni, è tra i protagonisti de Il Viaggio Leggendario, in uscita nelle sale il prossimo 23 marzo. Che cosa dobbiamo aspettarci dal film?
“Una gran bella favola, che ha per protagonisti due ragazzi che si vogliono bene. Gli stessi che verranno catapultati all’interno di un videogioco e viaggeranno in tre mondi leggendari: Camelot, Atlantide e Diamante. Si troveranno dunque a vivere mille disavventure: incontreranno i pirati nel mondo di Atlantide, con il buon Platone che cercherà di aiutarli; interagiranno con Ginevra a Camelot e non mancherà Re Artù. Tutti personaggi da favola che saranno un vero e proprio toccasana per i bambini; sono sicuro che andranno pazzi per la storia che abbiamo raccontato. Quelli che hanno potuto assistere all’anteprima erano eccitatissimi, ridevano, giocavano e si divertivano come pazzi. Si sono affezionati ai personaggi, persino al cattivo, il capitan Sarrangia. Un nome comico, che nasconde un cattivone che, ad un certo punto, verrà sconfitto”.
Lei interpreta Platone. Quali caratteristiche ha il personaggio?
“E’ un Platone diverso da quello che conosciamo; è simpatico e riservato ai bambini, non è quello storico. Non mi sono trovato certamente a fare un’interpretazione per i grandi. Il film parla ai bambini; direi che ha come target un pubblico dai 5 ai 10 anni. E ho constatato che il cinema Adriano, dove è stata fatta la prima, era veramente strapieno. Abbiamo avuto un continuo applauso. Un tripudio, con autografi da tutte le parti, che ci ha reso felicissimi”.
A proposito della presentazione, si è detto soddisfatto di questo nuovo film perché parla di buoni sentimenti.
“Sì, penso che nel 2023 sia arrivato il momento di tornare ai buoni sentimenti. La favola che raccontiamo ne Il Viaggio Leggendariofa sognare grandi e piccoli. Anche se il target, dal mio punto di vista, arriva fino ai 10 anni d’età, ritengo che la pellicola possa rivolgersi anche alle madri e ai padri dei bambini. D’altronde, siamo stufi tutti quanti di cattiverie, di assassinii, di morti ammazzati all’interno dei prodotti audiovisivi. Non voglio fare i nomi delle produzioni, che sono realmente fatte bene, ma ritengo che inducano i giovani all’imitazione. Quei giovani che vogliono emulare, secondo loro, quelli che ritengono eroi, ossia personaggi negativi che hanno trasformato in veri e propri miti a cui devono somigliare. Per questo c’è tanta violenza nel mondo. Dal canto mio, penso invece che si debbano raccontare i buoni sentimenti, come l’amore. Se si torna ad assistere alle favole, con delle persone che si amano ed hanno il giusto lieto fine, si può dare l’input per essere propensi a fare del bene”.
Se non sbaglio non è la prima volta che si confronta con una favola per bambini, no?
“Esatto, quando avevo trent’anni ne dimostravo circa diciotto, al massimo venti. Ero biondo con dei capelli lunghi, con gli occhi azzurri ed ero magro. E in quel periodo ho fatto una favola per Rai Tre che si intitolava Stretta la foglia, larga la via. Il mio ruolo era quello del principe azzurro su un cavallo bianco che andava a dare un bacio alla bella addormentata nel bosco. Parliamo di circa quarant’anni fa, con la regia di Mario Procopio, persona squisita e un grande professionista. Era una favola stupenda. Genere che in quegli anni andava in voga, come Fantaghirò e così via”.
Il viaggio Leggendario è stato diretto da Alessio Liguori. Aveva mai lavorato con lui?
“Non avevo mai lavorato con Alessio, che è stato una bella scoperta. Sono davvero felice di aver trovato una brava persona e un bravo regista come lui. Tra l’altro, anche Liguori ha detto la stessa cosa di me. Per Il Viaggio Leggendario ho fatto un provino, che è piaciuto ad Alessio. Ed è una cosa bellissima, perché mi ha confessato, quando ci siamo incontrati la prima volta, di non aver voluto vedere poi altri attori. Ha capito fin dal primo istante che dovevo essere io Platone. Ha detto subito: ‘Il mio Platone è lui’. E’ davvero una bravissima persona, umana e squisita, oltre che un bravissimo regista. Fa dei bei film e sa passare con maestria da un genere a un altro: dai thriller alla favola per bambini”.
A quali altri progetti si sta dedicando in questo periodo?
“C’è la seconda stagione di Vita da Carlo, la serie di Carlo Verdone. Mi ha fatto fare un provino, che non pensavo di vincere, così come è stato. Interpreto un prete che racconta una barzelletta molto scurrile e che fa ridere. Non a caso, mi dice: ‘Eh, eh Padre, raccontare una barzelletta così’. Un ruolo molto difficile da recitare poiché si svolge il tutto in una frazione di secondi. Se ne sbagliavo soltanto uno, la barzelletta non faceva più ridere. Una questione di tempistiche difficilissime, dove non si poteva sbagliare e c’era di fronte tutta la produzione. Compreso Christian De Sica, che era vicino a Carlo. E’ stata un’ansia terribile, veramente”.
Non è la prima volta che incontra Carlo Verdone nel suo percorso d’attore, giusto?
“Esatto. Feci con lui I due carabinieri, Si vive una volta sola e Maledetto il giorno che t’ho incontrato. In quest’ultimo c’era Asia Argento, mentre nel primo Enrico Montesano. Inoltre, tanti anni fa, quando avevo circa 35 anni, feci il protagonista di uno spot per le caramelle alla menta Polo. E la regia, anche in quel caso, era di Verdone. E penso sia l’unico che lui ha fatto come regista”.
C’è poi lo spot di Poste Italiane…
“Sì. Lì sono Nonno Fausto di Poste Italiane, il protagonista assoluto dello spot, che fa parte del progetto Polis. C’è stata la presentazione con il Presidente Sergio Mattarella, con il Premier Giorgia Meloni, con Matteo Salvini. Lo hanno proiettato alla sala dei congressi La Nuvola. E’ uno spot davvero molto bello”.
In virtù delle considerazioni che abbiamo fatto prima, cosa pensa del cinema di oggi? C’è qualcosa che si potrebbe fare per migliorarlo?
“Il cinema di oggi andrebbe valorizzato con delle storie un po’ meno violente. Non c’è bisogno di parlare sempre di sparatorie. Ad esempio, trovo molto bella la fiction Cuori, ambientata a Torino nell’ospedale Le Molinette. Vorrei che il cinema trattasse anche storie di sentimenti. Ci possono essere anche dei prodotti, con degli attori bravissimi, che fanno commuovere e tra questi rientra Cuori. Ce ne sono anche altre, ma questa fiction mi piace davvero molto. Vorrei davvero che si tornasse a quella tipologia lì, pure nel cinema. Ci sono dei giovani registi molto bravi, che dovrebbero scrivere però delle storie con il lieto fine e l’amore come fulcro. Il fulcro deve essere l’amore; ci dobbiamo voler bene. Ma, purtroppo, il cinema di oggi è diverso”.
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Interviste
Intervista esclusiva a Fabrizio Eleuteri: successi in TV,...
Sono tre gli importanti progetti che vedono attualmente impegnato Fabrizio Eleuteri. Formatosi al laboratorio Don Bosco diretto dal rettore Carlo Nanni, l’attore romano fa parte del cast fisso di Citofonare Rai 2, il programma della domenica condotto da Paola Perego e Simona Ventura, e prossimamente sarà al cinema con The Contract, il film internazionale prodotto da Massimiliano Caroletti che segna il debutto alla sceneggiatura di Eva Henger. Lavori che vanno ad aggiungersi all’impegno in Vita da Carlo, la serie con protagonista Carlo Verdone. Tra sogni e progetti, Eleuteri ci ha spiegato come è nata la sua passione per la recitazione, svelandoci la sua passione per il ‘regista del brivido’ Alfred Hitchcock.
a cura di Roberto Mallò
Fabrizio, ogni domenica i telespettatori possono vederla, in diretta, a Citofonare Rai 2. Che tipo di esperienza è? Come si trova all’interno del cast?
“Citofonare Rai2 per me è partito in maniera sperimentale, con la doppia conduzione di Paola Perego e Simona Ventura. Sono entrato a far parte del cast a partire dalla seconda edizione ed ora mi ritrovo alla quarta stagione, la mia terza consecutiva. All’inizio mi avevano prospettato un ruolo del portiere che entrava, faceva il suo balletto fintamente sexy e non si curava delle due conduttrici. Le stesse che, ogni volta, mi rimproveravano simpaticamente in diretta: ‘Guarda che non sei qua nello spazietto tuo, che fai il sexy e così via. Qui hai un ruolo, devi portare le cose che ti chiediamo. Abbiamo bisogno dei tuoi servigi per sbrigare le cose della giornata. Se arriva un ospite lo fai entrare, se c’è una cosa da portare dentro lo fai tu’. Io, per tutta risposta d’accordo con gli autori, entravo con le noci e le olive, le mangiavo e non lasciavo loro niente. All’inizio, insomma, ero questo portiere un po’ matto e sciocco che faceva danni”.
E pian piano il personaggio si è evoluto…
“Esattamente. Dallo scorso anno ho iniziato ad annunciare qualche servizio, oltre che inserire qualche curioso aneddoto su qualche personaggio piuttosto che un altro. In questa edizione affianco Gene Gnocchi nelle sue follie estemporanee. Sono il suo ‘partner in crime’. Il mio personaggio è diventato quasi una spalla per Gene. All’interno della trasmissione mi trovo molto bene, c’è molto feeling con tutti, in special modo con l’autrice Serena Costantini, che è un pezzo di cuore. E non posso negare di trovarmi molto bene con Paola Perego. Oltre alla professionista che tutti conosciamo, lei è sempre dolcissima con tutto il cast. Si prende sempre cura di qualsiasi persona all’interno di Citofonare Rai 2 e del cast stesso. E Simona Ventura è sempre il solito uragano che va a destra e sinistra e stravolge tutto e tutti. Citofonare Rai 2 è davvero una delle poche trasmissioni in cui ci divertiamo anche nel backstage”.
Per chi fa il suo mestiere, un programma in diretta come Citofonare Rai 2 insegna tanto, no?
“Sì. E’ un discorso completamente diverso dalla formazione che uno può avere o al teatro o al cinema. In quest’ultimo ti prepari un determinato ruolo e sai che devi girare una determinata scena con altri attori, che comunque puoi ripetere qualora qualcosa non andasse bene. Al contrario, nella diretta deve filare tutto liscio. Si respira la tensione che è tipica del teatro, ma è diverso, a partire dalle telecamere che ti circondano. Ovviamente, tu cerchi sempre di fare il tutto in maniera egregia. Le aspettative sono abbastanza alte e cerchi di fare di più. Nonostante tutto è però bello avere quell’adrenalina tipica della diretta. Soprattutto considerando il fatto che Citofonare Rai 2 è una diretta nazionale, che tiene compagnia ai telespettatori per tante ore e li accompagna in tutta la domenica mattina fino all’ora di pranzo”.
A cosa si deve, dal suo punto di vista, il grande successo del programma? Cresce negli ascolti di anno in anno..
“La trasmissione conserva degli abiti molto leggeri, non parla di fatti di cronaca nera. Se ci pensa, nei primi appuntamenti, Paola e Simona venivano un pochino prese in giro quando cantavano insieme, ora è diventato un vero e proprio must atteso e coinvolgiamo gli ospiti a cantare con loro di volta in volta.. Il programma ha sempre avuto come obiettivo principale quello di mettere in risalto i personaggi che hanno fatto parte della televisione italiana. Gli ospiti spaziano dal comico, come Lopez e Solenghi che parlano del trio, Lino Banfi, Al Bano con le figlie, solo per fare alcuni esempi, che ti raccontano come è stato vivere con un gigante della musica italiana così in casa. Gli aneddoti, gli spazi qua e là, il collegamento di Antonella Elia e le gag di Gene Gnocchi danno poi al programma quell’atmosfera leggera e spiritosa della quale abbiamo bisogno adesso più che mai”.
La trasmissione di Rai2 non è l’unico progetto che la vede coinvolta in questo periodo. C’è anche il film internazionale The Contract, nel quale ha recitato al fianco di Jane Alexander.
“Esatto, interpreto il migliore amico del personaggio interpretato da Jane. Il film, come è stato detto all’anteprima mondiale de Il Cairo, è un thriller psicologico. Non di certo un action thriller. Al centro della scena c’è l’attore Eric Roberts, che interpreta un giornalista caduto in disgrazia che prova a intrufolarsi nella scena del crimine di un suo collega. Da lì cerca dunque di ricostruire tutto il puzzle che ha portato a questo efferato omicidio. Si rivolge così a tante personalità e personaggi diversi tra loro: ci sono il caporedattore, un prete e una ragazza che lavora in un night, interpretata da Jane Alexander e che fa parte della trama che mi vede coinvolto, dato che cammino al suo fianco in diverse situazioni. Più Roberts indaga, più c’è questa scia di sangue che si va piano piano ad allargare. E lui ha questo testimone, interpretato da Kevin Spacey, all’interno di una sorta di riformatorio/manicomio, che sembra abbia delle chiavi di interpretazione di questo omicidio ben più profonde di quanto non stia dicendo. Quindi man mano che accadono le cose, Eric Roberts torna a chiedere conto a Kevin Spacey di quello che sta accadendo. A volte questo personaggio dà di matto e non si capisce cosa voglia dire. Le altre volte cerca di infilare delle pulci nelle orecchie a Eric Roberts per dare un diverso punto di vista di ciò che sta accadendo. Era da parecchio che non si vedeva un film simile in Italia, dove per vedere un thriller bisogna ritornare ai tempi di Dario Argento. Ed è credo la primissima volta che un produttore indipendente come Massimiliano Caroletti annoveri nel cast due attori internazionali del calibro di Spacey, che ha vinto due premi Oscar, e Roberts. Da questo punto di vista, The Contract è un esperimento già riuscito”.
C’è molta curiosità attorno al film perché rappresenta anche il debutto alla sceneggiatura di Eva Henger.
“Sì, c’è davvero molta curiosità. Ne hanno parlato anche varie testate americane. Forse in Italia siamo cintura nera nello scetticismo, magari però stavolta non trionferà il pregiudizio. Personalmente, ho avuto la fortuna di assistere all’anteprima ed è piaciuto molto. Tuttavia, sono curioso di capire come verrà accolto negli Stati Uniti e ovviamente qui da noi in Italia”.
Jane Alexander la conosceva già o vi siete incontrati per la prima volta su questo set?
“Avevo visto i lavori precedenti di Jane, tra cui quelli diretti da Cinzia TH Torrini. Non l’avevo mai incontrata prima, ma è stata davvero carina e siamo rimasti amici. E’ una di quelle persone che ti aiutano davvero sul set, che ti danno la loro energia. Al termine di una scena straziante di The Contract mi ha dato un abbraccio capace di trasmettermi davvero una grossa energia. Credo sia, davvero, una professionista di una caratura internazionale.
C’è anche un terzo lavoro: Vita da Carlo. La serie di Carlo Verdone. Il suo personaggio, nella terza stagione, è stato ampliato rispetto a quello che abbiamo visto nella seconda.
“Sì, il personaggio di Riccardo, il fidanzato di Sandra (Monica Guerritore), ha uno sviluppo carino. Viene coinvolto in una cena, in casa Verdone, nella settima puntata. E lì accade di tutto, nel buon segno della commedia italiana. C’è al centro un grande equivoco, condito da una rivelazione, e scoppia un vero e proprio parapiglia. Il tutto ha come sfondo la Santa Notte di Natale. Scherzi a parte, lavorare su un set con Verdone, Guerritore, Stefania Rocca e Filippo Contri è stata una bella opportunità da una parte ed un continuo divertimento dall’altra”.
Parlando un po’ di lei. Quando è nata la sua passione per il mondo della recitazione?
“Sono il terzo di quattro figli, tutti maschi. Nessuno aveva mai lavorato nel mondo dell’arte nella mia famiglia. Mi ricordo che, con le prime paghette, quando avevo circa 11 anni, mi andavo a comprare in edicola i film in bianco e nero di Alfred Hitchcock. Settimana dopo settimana investivo lì la mia paghetta. E mia madre non riusciva a capire cosa me ne importasse di quei film lì, dato che poi nel mio tempo libero andavo a giocare a calcetto con i miei amici. Tuttavia, ero totalmente folgorato da Hitchcock: andavo ad informarmi su ogni scena e ogni aspetto dei suoi lavori, compresi gli interpreti e i vari registi, passando per il trucco, il montaggio, gli effetti speciali. Avevo una passione dentro che è venuta fuori, senza che nessuno la sollecitasse. Pensi che una volta ho chiesto a mia madre quanto pagassero Bud Spencer e Terence Hill per fare uno dei loro film che trovavo bellissimi. E lì lei mi ha detto: ‘No, amore di mamma, questi sono attori ed è un lavoro. Loro interpretano una parte e vengono pagati per questa cosa’. Una cosa che a me non tornava, non pensavo che fosse un mestiere e che venissero pagati. Per me poter recitare era già di per sé un premio. Anche perchè poi io ho mosso i primi passi in teatro e lì, quando hai il fuoco sacro della recitazione dentro, non stai tanto a guardare la remunerazione. E il lavoro dell’attore in sé è abbastanza precario, ci sono dei periodi in cui lavori tantissimo e in altri poco e niente. Se non sei abituato a prendere le porte in faccia stai malissimo. Ci saranno sempre delle persone che ti diranno che non sei in grado, che non sei preparato. Sei non hai una buona corazza o una famiglia che ti sostiene non riesci ad andare avanti. Potresti mollare, soprattutto quando ti sei preparato per un ruolo che sentivi davvero tuo e invece non ti prendono minimamente in considerazione. Per fortuna, oltre ai miei fratelli con i quali ho un bellissimo rapporto, ho una moglie e una figlia che mi supportano tantissimo e a cui devo praticamente tutto”.
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Interviste
Intervista esclusiva ad Alberto Rossi: «Con la paternità un...
Alberto Rossi. Livorno. Un ragazzo con un sogno gigantesco e il coraggio di seguirlo fino in fondo. Fin da giovane, si buttava a capofitto nel mondo dello spettacolo, come chi sa che quella strada è la sua e non c’è un piano B. A soli 25 anni era già sotto i riflettori, con il debutto in “Un posto al sole” che l’ha reso un volto amato da milioni di italiani. Eppure, Alberto è un uomo che si reinventa, che esplora, che cresce.
La paternità – con Ada – ha cambiato tutto. È come se l’amore per sua figlia gli avesse aperto nuovi orizzonti, spingendolo a vedere la vita da una prospettiva più profonda, più vera. Poi c’è il mare, la vela, il tennis. La voglia di navigare, di scoprire, di confrontarsi con sé stesso. E il teatro? Sempre nel cuore, come un amore mai dimenticato. In ogni progetto, in ogni battuta, c’è una parte della sua anima. E quando parla di futuro, non è solo lavoro: è curiosità, è passione, è quella luce negli occhi di chi ha ancora tanto da dare e da scoprire.
La nostra intervista esclusiva
*Foto di Giuseppe D’Anna
Ciao Alberto, benvenuto su Sbircia la Notizia Magazine! Qui ci piace andare oltre la superficie, scavare davvero dentro la tua storia. Vogliamo parlare dei sogni, dei successi, delle paure, delle sfide che ti hanno trasformato nell’uomo e nell’artista che sei oggi. Il tuo percorso ha attraversato il cuore dello spettacolo italiano, lasciando segni indelebili. Tu sei un racconto che merita di essere ascoltato, pezzo dopo pezzo, emozione dopo emozione. Oggi siamo qui per raccontare questo viaggio insieme a te.
Dopo aver conseguito il diploma all’Accademia “Silvio d’Amico”, hai debuttato in “I ragazzi del muretto” solo due settimane dopo. C’è stato un momento in cui hai realizzato l’impatto che questo rapido inizio avrebbe avuto sulla tua carriera o tutto è accaduto così velocemente da sembrare quasi surreale?
“Surreale no, perché dentro di me, in un certo senso ci speravo e me lo aspettavo. Avevo sempre e solo voluto fare quello che stavo riuscendo a fare e si stavano materializzando tutti, non solo i miei sogni, ma anche le aspettative e i desideri.”
Il tuo primo film, “L’olio di Lorenzo”, è stato un progetto internazionale diretto da George Miller. Come ha influenzato la tua visione dell’industria cinematografica italiana ed estera iniziare la tua carriera cinematografica in un contesto così globale?
“Beh, è stata un’esperienza su un set da Formula 1… difficile trovare così tanto spiegamento di mezzi su un film italiano…”
Interpretare Michele Saviani per oltre 25 anni ti ha permesso di crescere insieme al personaggio. In che modo la tua evoluzione personale ha influenzato Michele? Ci sono aspetti del personaggio che hanno a loro volta plasmato te come individuo?
“No, nella maniera più assoluta no! Michele rimane in camerino quando ne svesto i panni.”
Nel 2006 hai diretto alcuni episodi di “Un posto al sole”. Come ha arricchito questa esperienza la tua comprensione del processo creativo? C’è qualcosa che hai scoperto sul set che ti ha sorpreso come attore-regista?
“Volevo tantissimo fare quell’esperienza. E quando finalmente ci sono riuscito, è stato un po’ come coronare un’altra conferma di ciò che sentivo di avere e di poter comunicare in altro modo e forma.”
La tua partecipazione a “Notti sul ghiaccio” ha mostrato un lato di te inedito al pubblico. Quali sfide hai affrontato nel padroneggiare il pattinaggio artistico? C’è qualche lezione che hai portato con te nel tuo lavoro attoriale?
“Mah no, era tutto un altro contesto. Anche lì era Formula 1, Milly Carlucci, Rai 1, prima serata… poi tante botte, tanti lividi, tanta fisioterapia dopo… però bellissimo, magico.”
Il tatuaggio con il nome di tua figlia Ada è un gesto d’amore visibile a tutti. Come la paternità ha influenzato il tuo approccio alla vita e alla professione? In che modo questo nuovo ruolo ha arricchito la tua espressività artistica?
“Con la paternità un uomo finalmente diventa tale. Fino a quel momento non puoi percepire in tutt’altro modo la vita. Tutto diventa entusiasmo, paura, bellezza, crescita, magia… non si può definire la paternità… poi di una figlia femmina…”
Sei appassionato di tennis e vela, sport che richiedono concentrazione e armonia con l’ambiente. Vedi delle similitudini tra queste discipline e la recitazione? Come contribuiscono al tuo equilibrio personale e professionale?
“È sport, la vela significa mare, acqua, quindi il nostro inconscio, sul quale mi piace navigare (son figlio di un ammiraglio). Il tennis è disperazione, solitudine, analisi, tostissimo ma bellissimo. Soprattutto da vedere, poi ora con Sinner e company….”
Hai avuto la fortuna di lavorare con un maestro come Pupi Avati, su progetti intensi e pieni di significato come “I cavalieri che fecero l’impresa” e “Il signor Diavolo”. Raccontaci: cosa ti è rimasto di quelle esperienze?
“Due belle esperienze con un maestro. Per scavare ancora un po’ più a fondo le mie capacità.”
Ci sono opere o personaggi che sogni di interpretare per esplorare nuove dimensioni della tua arte?
“Dopo che per più di 30 anni dai Ragazzi del Muretto ad Upas, mi piacerebbe interpretare un personaggio demoniaco, malefico, al limite dello splatter come quelli della serie Monster.”
Essendo una presenza costante in “Un posto al sole” sin dal suo inizio, hai vissuto l’evoluzione della televisione italiana. Come percepisci i cambiamenti nel modo di raccontare storie in TV e quale pensi sia il futuro delle soap opera nel panorama mediatico attuale?
“Ma il futuro siamo solo noi, siamo stati i primi e siamo ancora lì… siamo passato, presente e futuro…”
In un mondo dominato dai social media, mantieni un equilibrio tra condivisione e privacy. Come gestisci la relazione con i tuoi fan attraverso piattaforme come Instagram? Quale ruolo credi che i social abbiano nel rapporto tra attore e pubblico?
“Mi divertono, li frequento parecchio ma non ne abuso.”
Guardando al futuro, c’è un ambito artistico o un progetto inedito che vorresti esplorare, magari al di là della recitazione, come la scrittura, la produzione o una nuova forma di espressione creativa?
“Con la produzione ho dato e non credo che ripeterò l’esperienza. Mi sono scottato troppo, per il resto si vedrà….”
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Interviste
Intervista a Nadia Carbone, event manager e direttrice...
A cura di Laura Solimene
Tra le figure professionali più ricercate e affermatesi negli ultimi anni, quella dell’EVENT MANAGER ricopre sicuramente un ruolo fondamentale nel settore degli eventi ancorché, probabilmente, non tutti ne conoscano ancora le numerose e svariate sfaccettature. Cominciamo col dire che un Evento, al contrario di quanto molti pensano, non è solamente un momento di svago, ma fa parte di una vera e propria strategia di marketing aziendale volta ad aumentare la consapevolezza del brand e persino ad acquisire potenziali clienti.
Un evento ben pensato, ben organizzato e ben strutturato, infatti, porterà alla realizzazione di una grande varietà di benefici: a partire dalla creazione di valori fino alla generazione di profitti e nuovi flussi. Uno strumento complesso e articolato che però richiede un’organizzata pianificazione, gestione e coordinamento di competenze diverse, oltre a tanta creatività.
Ecco perché è fondamentale per un’azienda non improvvisare ma affidarsi a professionisti del settore: un event manager è infatti la scelta vincente per tutte quelle società e realtà che desiderano ottenere il massimo da un evento, senza che alcun dettaglio sia trascurato. Ma in cosa consiste esattamente l’event planning e soprattutto cosa fa in pratica un bravo event manager? Per saperne di più ed approfondire l’argomento, abbiamo raggiunto e intervistato la pugliese NADIA CARBONE, fondatrice e direttrice artistica del GENERATION FILM FEST, e con all’attivo oltre 10 anni di esperienza nel settore EVENTI, per farci raccontare i retroscena di una figura professionale che spesso opera dietro le quinte.
Benvenuta, Nadia. Da quanti anni lavori nel settore degli eventi e quando hai capito che avresti potuto fare della tua passione un lavoro?
“La mia è un’esperienza che dura da oltre 10 anni. Nel 2012, durante il Premio Noto all’eccellenza del M° Adriano Pintaldi, io ero l’inviata per un’emittente televisiva locale e fu lo stesso Pintaldi a chiedere al direttore del canale televisivo di farmi presentare le serate sul palco. In seguito mi riconfermò nelle successive edizioni 2013/2014, permettendomi di affiancarlo anche nell’organizzazione e dandomi la possibilità di dialogare e premiare grandi icone del cinema italiano come Giancarlo Giannini, Lina Wertmuller, Pupi Avati ed Enrico Vanzina. Ho capito, fin da subito, che quell’esperienza sarebbe stata solo l’inizio di un cambiamento nel mio percorso artistico!”
Ritieni che, oggi, ci si possa ancora improvvisare “organizzatore di eventi”?
“In generale, credo che nessuno possa svegliarsi al mattino e decidere di svolgere un lavoro senza avere la giusta preparazione o esperienza. Premesso ciò, mi dispiace dire che invece, purtroppo, nel mio settore, è all’ordine del giorno improvvisare! Sono tutti organizzatori, registi, attori, scrittori…”
Sei giovane, tuttavia hai già numerosi eventi (di successo) nel tuo bagaglio professionale…
“Esatto! Il primo grande evento nel quale decisi di mettermi in gioco ‘autonomamente’ fu il Gran Galà della Cultura, nel 2014, senza dubbio un duro banco di prova. In quel periodo studiavo anche ideazione, organizzazione di eventi e show televisivi con il Dir. Rai Carlo Orichuia, grazie al quale – e in aggiunta agli insegnamenti del M° Pintaldi, – compresi tutto ciò che un libro o degli appunti possono solo fare immaginare. Si trattava di un lavoro commissionato dall’Archeoclub -Oria, una grande soddisfazione per me portare a termine due edizioni con ospiti del calibro di Lino Capolicchio, Sandra Milo, Monica Setta, Maurizio Casagrande, Sebastiano Somma e molti altri… Negli anni successivi ho poi spaziato con svariati generi di manifestazioni: musicali, sociali ed editoriali, spesso subentrando come produttrice oltre che a curarne la direzione artistica.”
In quale tipologia di eventi ritieni di essere più specializzata o di annoverare più esperienza?
“Sicuramente in quelli culturali, inerenti all’arte, alla letteratura e al cinema in particolar modo, in quanto mi permettono di dare spazio e voce anche al mio lato artistico. Il mio ruolo, naturalmente, muta in base al genere di manifestazione e alla tipologia di cliente, è chiaro che occorre un’organizzazione e un iter burocratico differente per ciascun singolo settore. Ad ogni modo, che si tratti di un evento sociale, politico o relativo allo spettacolo, il focus è portare a casa l’obiettivo che ci si prefigge.”
Quali sono le maggiori difficoltà incontrate nel tuo percorso come direttrice artistica?
“L’essere giovane e, al contempo, donna. Sai, a volte mi sono ritrovata a far fronte a situazioni imbarazzanti. Quando mi ritrovo davanti a clienti o fornitori, o anche collaboratori, non è raro sentirmi dire: ‘Ah, ma sei giovanissima!’ oppure ‘Una donna, complimenti!’ o ancora ‘Per chi lavori?’. E quando rispondo: ‘In realtà sono io che ti pago!’, spesso leggo nei volti altrui diffidenza o anche solo stupore. Purtroppo, soprattutto al sud, esiste ancora quel sottile maschilismo, figlio dell’ignoranza e del patriarcato. Tuttavia, non mi sono mai lasciata intimorire o scoraggiare e, oggi, posso dire a testa alta di essere l’artefice di tutto ciò che ho creato. E non è poco!”
Ci spieghi perché è così importante che un’azienda scelga di puntare sugli eventi per promuovere il proprio brand?
“Gli eventi, da sempre, sono una cassa di risonanza per le aziende, ecco perché è fondamentale curarne tutti i dettagli: dalla promozione al valore sociale. Sponsorizzare un evento, inoltre, è un’opportunità per i brand di ampliare la visibilità e rafforzare la propria immagine utilizzando il contatto diretto con il pubblico. È una strategia che, se ben studiata, può portare benefici duraturi come quello di instaurare partnership di lungo termine e aumentare il fatturato.”
Quali doti indispensabili dovrebbe avere un bravo organizzatore di eventi?
“Sicuramente la pazienza, la tenacia e la capacità di problem-solving. Inoltre è importante creare un ambiente di lavoro sereno e propositivo, chi svolge la mia professione ha il dovere di motivare e rispettare qualsiasi ruolo all’interno dello staff: si potrà pur essere il motore di una grossa cilindrata, ma senza gli altri pezzi non si corre da nessuna parte! Personalmente, nel team, sono una che preferisce ‘agire’, dando il buon esempio, piuttosto che impartire ordini.”
Tra tutti gli eventi da te organizzati, qual è quello che ti rende più fiera?
“Senza ombra di dubbio il GENERATION FILM FEST, il mio brand, e sottolineo ‘MIO’. Ho ideato questo format cercando di riportare tutto il mio bagaglio formativo ed esperienziale. Racconto il cinema italiano, la sua storia fino ai nostri giorni, attraverso ospiti, incontri, proiezioni e mettendo a confronto le varie generazioni. Da qui, ho dato inoltre vita ad una serie di eventi collaterali, come masterclass, workshop e la realizzazione di un cortometraggio che vedremo nel 2025. Senza nulla togliere a tutti gli altri eventi, il GFF è senza dubbio il progetto più importante e difficile da organizzare e portare avanti nel tempo, in termini di risorse ed energie.”
Ci sveli qualche tuo progetto in corso d’opera?
“Proprio in questi giorni sono in piena fase organizzativa di un evento che si terrà in primavera a Lugano e che vedrà protagonista il Luxury Magazine POPULAR (edito da Resalio Produzioni). Sarà un evento che farà parlare molto, non solo per i numerosi successi ottenuti durante il primo anno di vita del magazine, ma anche per gli ospiti che ne faranno parte, tra imprenditori, case nobiliari e artisti. È la prima volta che organizzo un evento fuori dall’Italia, spero possa essere il primo di una lunga serie!”
Esiste ‘il progetto’ nel tuo cassetto dei sogni da realizzare?
“Io non sogno un solo progetto/evento in particolare, ma tanti, tantissimi… forse anche troppi! (ride, ndr)”
Nadia, salutandoci, dove e come ti vedi tra dieci anni?
“Mi piacerebbe tramutare in realtà tutto ciò che scrivo. Creare arte è certamente ciò che mi rende felice, non desidero altro. Ovviamente mi piacciono le evoluzioni e anche gli ardui obiettivi da raggiungere, per cui, sono certa che fra dieci anni, se mi intervisterai nuovamente, avrò ancora molto altro di cui raccontare!”