Intervista esclusiva a Clementino: Cuore napoletano, passione per la TV e il tributo a Pino Daniele
Una voce amata della musica, un volto tv in ascesa, un gran bravo ragazzo che ce l’ha fatta: parliamo di Clementino. Grande successo per lui per il concerto di No name Radio lo scorso 17 marzo e per il memorial dedicato a Pino Daniele il 19 marzo al Palapartenope di Napoli, dopo gli ottimi riscontri in tv su Rai 1 a The Voice Senior e The voice Kids di Antonella Clerici. Noi lo abbiamo incontrato per una chiacchierata super esclusiva, a cura di Sante Cossentino e Junior Cristarella.
Qual è il tuo rapporto con Pino Daniele? Un tuo ricordo di Pino.
“Io ho sempre avuto un bellissimo rapporto con il maestro Pino Daniele. Ho persino fatto incidere un tatuaggio sulla mia schiena, proprio per esprimere l’enorme impatto e l’inestimabile contributo che ha avuto sulla mia musica e sull’evoluzione del mio stile artistico. Io sono contento perché mi ricordo di Pino al Pala Partenope, entrai nel suo camerino e lui era lì, con la chitarra che suonava la mia canzone “O’ vient”. E disse “Guagliòstupiezz ha la mie pennellate!” e da li capii che stavo facendo bene.”
Come sta la musica napoletana?
“La musica napoletana adesso sta viaggiando come il Napoli Calcio. Quindi sta andando bene, abbiamo tanto seguito e dobbiamo continuare a sostenerla, sempre! Sostenete tutti gli artisti partenopei!”
Ti affascina il mondo della televisione?
“Devo dirti la verità: mi affascina molto. Ho fatto The Voice, Made in Sud, Pechino Express. Piano piano voglio affermarmi sempre di più in questo mondo.”
NO Name Radio, è un po’ il sogno di questi ragazzi giovani conduttori per Radio Rai. Cosa consigli a questi ragazzi che sognano di diventare speaker radiofonici?
“Ho fatto tante cose e proprio per questo posso dirti che la prima regola, la prima componente che una persona deve avere è la determinazione. Bisogna lavorare. Se vuoi fare il cantante bisogna scrivere tante canzoni. Non puoi pensare di scriverne una sola all’anno. Ne devi scrivere cento. Così tiri fuori il 100% della tua forza. Bisogna essere determinati e anche se ci saranno tanti momenti bui, nei quali ti senti giù, tante porte chiuse davanti, ma devi continuare ad insistere e vedrai che prima o poi le porte si aprono.”
Si può dire che Antonella Clerici ti ha ‘battezzato’ in tv, e in questo senso è un po’ la tua madrina. Come la descriveresti?
“Antonella è luminosa, paziente e tanto generosa. Da spazio a tutti. In The Voice sono stato benissimo quest’anno. Credo sia stata la migliore stagione. Una stagione da 10! Oltre ad aver vinto mi hanno conosciuto anche in altre vesti. Quest’anno sono stato casinista ma anche con tanto cuore. Sono usciti lati di me inaspettati. Questo è importante perché le emozioni non vanno mai frenato e questo la gente lo avverte. E la verità che viene fuori è la chiave di tutto: in tv, nella musica, nello sport e nella vita!”
Qual è il tuo prossimo appuntamento?
“Ho tante cose in ballo. Però ci tengo ad invitare tutti il 25 aprile: siamo a Piazza Duomo a Nola con Hollywood Animation. Con una bellissima squadra e con tantissimi ospiti. Un evento assolutamente da non perdere. La festa dei Sogni! E si sa. Non bisogna mai smettere di sognare.”
Sogni nel cassetto?
“Il mio sogno adesso è quello di sorridere sempre. Non mi importa di niente.”
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Attualità
Omicidio in Spagna risolto grazie a Google Maps: il caso...
Poche volte, nella cronaca recente, ci è capitato di imbatterci in una vicenda tanto assurda e, allo stesso tempo, tristemente reale. Ci riferiamo a un omicidio che ha lasciato un intero Paese, e forse il mondo intero, a bocca aperta. E non stiamo esagerando: c’è di mezzo un uso davvero inatteso della tecnologia, perché tutto è venuto alla luce grazie a Google Street View. Già, proprio quel servizio di mappe online che molti di noi utilizzano ogni giorno per cercare una via o dare un’occhiata a un quartiere prima di andarci. Invece, stavolta, ha fatto da testimone involontario a una tragedia.
Siamo in Spagna, più precisamente nella provincia di Soria, dove una tranquilla località chiamata Tajueco è balzata tristemente agli onori della cronaca. Una storia di sentimenti traditi, illusioni e violenza, che risale al novembre 2023, quando un uomo di origine cubana, 33 anni appena, si volatilizza nel nulla. L’obiettivo del suo viaggio era apparentemente la speranza di riappacificarsi con la moglie. Eppure, da quel momento, di lui non si sa più nulla. È proprio uno dei suoi parenti a lanciare l’allarme: i messaggi che arrivavano sul cellulare sollevavano troppi dubbi, sembravano fuori luogo, non rispecchiavano il solito modo di esprimersi di quest’uomo. Si respirava un’aria sospetta, come se qualcuno cercasse di costruire una versione di comodo sul motivo della sua scomparsa.
L’antefatto: perplessità e silenzi
Il caso fa presto a rimbalzare tra le forze dell’ordine. Una persona sparita in modo così brusco mette in allarme chiunque, specialmente quando il motivo ufficiale del suo viaggio risulta ancora più enigmatico. Ci siamo chiesti tutti: come può un uomo che vuole ricucire un legame così importante sparire così, senza salutare, senza lasciare traccia, se non qualche messaggio ambiguo? Di solito, in queste situazioni, si punta tutto sulle testimonianze, sulle videocamere dei negozi e si interroga chiunque possa averlo visto per l’ultima volta. Ma qui, la vera svolta è arrivata da un luogo inaspettato, ossia l’obiettivo di Google Street View.
Sospetti e svolta tecnologica
A un certo punto, gli inquirenti si sono imbattuti in qualcosa di inquietante: sul servizio di mappatura fornito da Google, un’istantanea ritraeva un uomo che, con una calma surreale, caricava un grosso sacco bianco all’interno del bagagliaio della sua auto. L’immagine è piuttosto sfocata, come spesso capita su Street View, ma i contorni di quel sacco e il contesto generale hanno fatto scattare un campanello d’allarme. La gente del posto lo ha riconosciuto: si trattava di un barista residente proprio a Tajueco, lo stesso luogo dove il nostro trentatreenne era stato visto per l’ultima volta.
E qui, si apre lo scenario più cupo: emerge che questo barista intratteneva una relazione con la moglie della vittima. Un dettaglio sconvolgente, che ha condotto gli investigatori a mettere sotto la lente di ingrandimento tutti i movimenti di costui. Da quell’immagine catturata quasi per caso, la polizia ha cercato ulteriori conferme, scandagliando telefonate, messaggi e tracce digitali. Passo dopo passo, si è delineato un quadro terribile, in cui non sembra esserci spazio per ipotesi alternative.
Google Street View: alleato imprevisto
Non si tratta solo di foto che immortalano una strada o un edificio. In questo caso, Google Street View è diventato una sorta di testimone scomodo e implacabile. L’indizio fornito da quell’immagine ha gettato una luce sinistra sui sospetti, spingendo le autorità a fare accertamenti più mirati. Intercettazioni, controlli incrociati e infine l’arresto. Le manette si sono strette non soltanto intorno ai polsi del barista ma anche intorno a quelli della moglie dell’uomo scomparso, a cui sono stati contestati reati gravissimi.
Ritrovamento macabro
Arriviamo così al 13 dicembre 2024, una data difficile da dimenticare per la gente di questa zona. Nel cimitero di Andaluz, una località vicina a Tajueco, viene ritrovato il corpo smembrato della vittima. Il suo destino, purtroppo, si era compiuto settimane prima. Gli stessi sospettati hanno permesso il ritrovamento, indicando con precisione dove fossero nascosti i resti. Una scoperta che ha scosso profondamente l’intera comunità, finora abituata a una vita semplice e lontana dai riflettori.
Conseguenze e riflessioni su privacy e tecnologia
Non possiamo ignorare il lato etico della faccenda: per anni, abbiamo discusso sulla privacy, sui confini del lecito, sulla possibilità che un colosso tecnologico possa avere immagini di tutti noi. Adesso, ci ritroviamo a constatare che questi scatti, talvolta considerati una sorta di curiosità digitale, possono trasformarsi in prove fondamentali in un’indagine di omicidio. Il che fa sorgere una domanda: fino a che punto siamo pronti a sacrificare la nostra riservatezza per garantire la giustizia? Ogni volta che un caso come questo emerge, ci rendiamo conto di quanto sia sottile la linea che separa la sicurezza collettiva dal diritto individuale alla privacy.
Un precedente storico
Nel panorama investigativo, l’uso di Google Maps per risolvere un delitto rappresenta una novità destinata a far discutere a lungo. La piccola Tajueco verrà probabilmente ricordata come la località dove uno strumento comunissimo è diventato l’occhio che ha svelato un segreto criminale. Forse, in futuro, assisteremo a nuove modalità di indagine sempre più legate alla tecnologia di tutti i giorni. Resta però un brivido, una strana sensazione, pensando che un banale click sulle mappe online possa, di punto in bianco, rivelare i peggiori abissi della crudeltà umana.
Concludendo, ci troviamo di fronte a un episodio che racchiude dramma, tecnologia e domande scomode su ciò che siamo disposti a cedere pur di assicurare i colpevoli alla giustizia. Resta vivo un monito: non sappiamo mai chi ci sta osservando, anche quando cerchiamo di occultare ciò che non vorremmo fosse mai scoperto. E in questa circostanza, a fare chiarezza è stata proprio la prospettiva digitale, fredda e onnipresente, di Google Street View. Un fatto che, probabilmente, cambierà il nostro modo di guardare quel piccolo omino giallo sulla mappa. E forse, in fondo, cambierà anche il modo in cui riflettiamo sul delicato equilibrio fra controllo, privacy e verità.
Attualità
La Roma delle borgate raccontata con il cuore: il ritorno...
Roma. Anni ’70, ’80. Una città che sembra vivere due vite. Da un lato, la poesia struggente di Pier Paolo Pasolini, con le sue borgate illuminate da una bellezza malinconica. Dall’altro, l’ombra scura della Banda della Magliana, con i suoi intrecci di criminalità e potere. In mezzo, una generazione di ragazzi che cerca disperatamente di crescere, sognare, sopravvivere. Questo è il cuore pulsante di Storie Bastarde, il libro di Davide Maria Desario è una finestra aperta sulle contraddizioni, le speranze e i tormenti di una città in perenne trasformazione.
Un autore radicato nella sua Roma
Davide Maria Desario. Un nome che, a molti, dice già qualcosa. Magari per il suo lavoro come direttore di Adnkronos, ma a chi lo conosce davvero basta poco per capire che è molto più di un giornalista. Nato a Roma, febbraio 1971, si potrebbe dire che è cresciuto respirando i vicoli, i tramonti rossi sui tetti e quelle mille contraddizioni che rendono questa città un po’ crudele e un po’ magica. Desario, però, non si è mai fermato a guardare.
Ha vissuto ogni piega di Roma, imparando a raccontarla con parole che non graffiano, ma scavano. Prima la cronaca, che gli ha insegnato a non girare mai la testa dall’altra parte. Poi la narrativa, dove ogni racconto sembra un pezzo di cuore che ha deciso di mettere sulla carta. E quando leggi Storie Bastarde lo senti: è vivo. Ogni pagina ti prende per mano e ti trascina dentro un’anima fatta di poesia e disperazione, bellezza e buio, con quella voce che solo chi Roma ce l’ha nel sangue può avere.
Ostia, una palestra di vita
Molte delle storie di Desario prendono vita a Ostia, quel quartiere che non è solo mare ma anche un microcosmo di speranze e paure. È qui che i bambini crescono giocando tra strade polverose e bar di quartiere, imparando presto che ogni scelta può essere decisiva. Criminalità, droga, sogni infranti: tutto è a portata di mano… ma anche la resilienza, quella forza incredibile di chi, nonostante tutto, non smette di credere in un futuro migliore. Desario cattura questa dualità con una maestria che colpisce al cuore.
Quello che rende Storie Bastarde speciale è la sua capacità di trascendere i confini geografici. Certo, è un libro profondamente romano ma le sue storie parlano a tutta l’Italia. La Roma di Desario non è quella dei monumenti e dei turisti, ma quella delle borgate, delle persone comuni che combattono ogni giorno per un pezzo di felicità. E queste lotte, queste speranze, risuonano ovunque. Perché in fondo, chi di noi non ha mai sentito il peso di un sogno troppo grande per il posto in cui vive?
La trasposizione teatrale: un altro livello di intensità
Il successo di Storie Bastarde non si è fermato alle pagine. L’opera è stata portata sul palcoscenico da Ariele Vincenti e Fabio Avaro, trasformandosi in una rappresentazione che amplifica l’essenza dei racconti. Il teatro ha il potere di rendere tutto ancora più crudo, più diretto. E il pubblico ha risposto con entusiasmo, dimostrando che queste storie non sono solo romanze, ma pezzi di vita che meritano di essere vissuti.
Un nuovo capitolo: la riedizione
Nel 2010 Storie Bastarde ha fatto il suo debutto ma quest’anno il libro torna a prendersi il suo spazio. Una nuova edizione, curata da Avagliano Editore, arricchita da una storia inedita e dalla prefazione appassionata di Francesca Fagnani. Ecco, stavolta è come se il libro avesse trovato una seconda vita, un’energia rinnovata, pronta a parlare ancora più forte.
Il 20 novembre 2024 è successo qualcosa di speciale. Al palazzo dell’informazione Adnkronos si è celebrata la nuova vita di queste storie. Tra i presenti, volti noti come il prefetto di Roma, Lamberto Giannini e la giornalista Eleonora Daniele. Ma quello che contava di più non erano i titoli, no. Era il silenzio che si creava quando si parlava di queste storie. Perché alla fine si tratta di questo: non dimenticare. Tenere vivo quello che spesso scivola via, nell’indifferenza. E forse, solo forse, imparare qualcosa in più su chi siamo.
Una Roma che resiste
Tra criminalità e poesia, tra disperazione e speranza, emerge una Roma che non si arrende. Storie Bastarde è un omaggio a questa città ma anche all’Italia intera. Racconta di un’infanzia difficile, di scelte che cambiano il corso della vita, ma anche di una resistenza silenziosa, fatta di piccoli gesti quotidiani. Desario ci ricorda che, anche nelle situazioni più buie, c’è sempre spazio per la speranza.
Oltre il libro: un autore poliedrico
Desario non si ferma a Storie Bastarde. Con opere come #RomaBarzotta (2015) e #RomaBarzotta 2 (2017), ha continuato a esplorare le dinamiche della Capitale. E il suo impegno culturale va oltre la scrittura: nel 2022 è stato nominato presidente della giuria per la selezione della “Capitale italiana della cultura” 2025, un ruolo che testimonia la sua dedizione alla valorizzazione del patrimonio italiano.
Se c’è una cosa che Storie Bastarde ci insegna, è che le storie hanno il potere di cambiare il mondo. Raccontando la Roma delle borgate, Desario non ci offre solo un pezzo di letteratura ma un documento storico, un atto d’amore verso una città e le sue mille sfumature. E ci lascia con una certezza: anche nelle difficoltà, c’è sempre una luce che brilla, anche se fioca. Sta a noi trovarla.
Attualità
Ottavia Piana: una storia di coraggio e resistenza nelle...
Cosa spinge una persona ad avventurarsi nelle viscere della terra, affrontando freddo, oscurità e pericoli senza fine? Ottavia Piana, 32 anni, ce lo ha dimostrato con la sua incredibile vicenda. Una storia che ha tenuto l’Italia col fiato sospeso per 75 ore, tra speranza e angoscia, e che si è conclusa con un lieto fine nella notte del 18 dicembre 2024.
L’incidente: un attimo, e tutto cambia
Era la sera del 14 dicembre. Ottavia, speleologa esperta, si trovava insieme a un gruppo di colleghi all’interno dell’Abisso Bueno Fonteno, una delle grotte più temibili del territorio bergamasco. Il suo nome non è scelto a caso: cunicoli stretti, umidità opprimente, temperature intorno ai 4°C. Un mondo ostile, dove ogni passo va calcolato. Eppure, anche i più esperti possono inciampare. Una caduta di cinque metri. Cinque metri che l’hanno bloccata, ferita e immobilizzata in uno dei passaggi più angusti della grotta.
Lesioni alle vertebre, fratture al ginocchio e alle costole, ferite al volto. Un quadro clinico che avrebbe piegato chiunque. Ma non Ottavia. La sua capacità di mantenere la calma e collaborare con i soccorritori è stata fondamentale.
Appena è partito l’allarme, si è acceso qualcosa di incredibile. Centocinquantanove persone – tecnici, speleologi, gente che conosce la montagna e la rispetta – hanno lasciato tutto e sono arrivate lì. Da tredici regioni diverse. Hanno unito le loro mani, i loro strumenti, i loro pensieri. Ogni gesto sembrava un pezzo di un disegno più grande, un incastro perfetto fatto di sudore, concentrazione e cuore. Spiegarlo è complicato: era come vedere un gigantesco ingranaggio in moto, con ogni singolo pezzo che si muove per salvare una vita. Corde che si tendono, voci che si incrociano nel buio. Ogni respiro pesava. Ogni secondo contava. E lì, in mezzo a tutto, non era questione di sola tecnica. Era passione. Quella che ti fa andare avanti anche quando sei stanco, freddo, esausto.
Le operazioni sono iniziate alla mezzanotte del 15 dicembre. Ogni singolo movimento è stato studiato al millimetro. Ottavia è stata assistita da medici specializzati direttamente sul posto. Antidolorifici, trattamenti per evitare complicazioni e soprattutto tanta umanità. Perché in quei cunicoli non si tratta semplicemente di procedure tecniche: ci sono persone, con le loro paure e la loro determinazione.
Immaginate una barella che deve essere sollevata e calata per oltre 100 metri verticali, tra passaggi strettissimi e rocce scivolose. Ogni movimento richiedeva un’attenzione maniacale. Eppure, nonostante le difficoltà, il lavoro di squadra ha fatto la differenza.
La risalita: il momento che tutti aspettavano
Sono le 2:59 del 18 dicembre. Un applauso esplode nell’oscurità. Ottavia emerge finalmente dalla grotta, visibilmente provata ma lucida. I soccorritori, molti dei quali non avevano dormito per giorni, la accolgono con lacrime di gioia.
Trasportata immediatamente in elicottero all’ospedale di Bergamo, ora è sotto osservazione. Le sue condizioni sono stabili, ma la strada verso la piena guarigione sarà lunga. Eppure, conoscendo il suo spirito, c’è da scommettere che ce la farà.
Quello del 2024 non è il primo incidente per Ottavia nell’Abisso Bueno Fonteno. Nel luglio del 2023, una frattura alla gamba l’aveva già bloccata per oltre 40 ore nello stesso sistema di grotte. Anche allora, un’operazione di soccorso aveva permesso di salvarla. Una coincidenza? Forse. Ma è chiaro che questo luogo ha un legame profondo con lei, un misto di sfida e attrazione.
I costi delle operazioni: un dibattito sempre acceso
Ogni grande impresa porta con sé delle domande. Chi paga per tutto questo? Le operazioni di soccorso in grotta, si sa, sono complesse e costose. Alcuni hanno sollevato critiche, chiedendosi se i contribuenti debbano farsi carico di tali spese. Ma Sergio Orsini, presidente della Società Speleologica Italiana, ha chiarito: gli speleologi come Ottavia sono coperti da assicurazioni specifiche, finanziate attraverso le loro polizze. I costi non gravano sulla collettività. Una risposta che dovrebbe mettere a tacere le polemiche ma che non sempre riesce a convincere tutti.
La riflessione: perché rischiare?
“Le grotte non sono per tutti”, ha commentato Mario Tozzi, noto geologo. E come dargli torto? L’esplorazione speleologica è un mondo a parte. Fascino, certo, ma anche rischio. Chi si avventura in questi luoghi deve essere consapevole dei propri limiti.
Ma c’è qualcosa di più. Qualcosa che va oltre il pericolo. L’esplorazione è una spinta primordiale, un bisogno di andare oltre, di scoprire ciò che è nascosto. E Ottavia è l’incarnazione di questa passione.
Questa è una di quelle storie che ti prendono lo stomaco e lo stringono forte. Ti fanno riflettere su cosa significhi davvero coraggio. Ottavia e i soccorritori che hanno rischiato tutto per salvarla non sono eroi da film, no. Sono persone, vere, con paure, con dubbi, con un’incredibile forza di volontà. In quei cunicoli neri come la pece, dove ogni suono rimbalza e ti ricorda quanto sei piccolo, non si è trattato solo di paura. C’è stato qualcosa di più grande, più potente: un legame. Una di quelle connessioni umane che nascono quando tutto sembra perduto e invece trovi la mano di qualcuno che ti tiene stretto.
“Non avrei potuto farcela senza di loro”, ha dichiarato Ottavia dal letto d’ospedale. Una frase semplice ma che dice tutto.
Il futuro: una lezione per tutti
Quello che è successo nell’Abisso Bueno Fonteno è un monito. Per gli speleologi, certo, ma anche per tutti noi. La natura è affascinante ma richiede rispetto. Esplorare significa conoscere i propri limiti e non sottovalutare mai i pericoli.
Ottavia Piana ha vissuto qualcosa di difficile anche solo da immaginare. Eppure, quel buio profondo, quelle ore interminabili, l’hanno resa un simbolo. Un simbolo di una forza che non è da tutti, una resistenza che ti entra dentro e ti fa riflettere. Perché, alla fine, è di questo che si tratta: trovare la forza di andare avanti, anche quando sembra impossibile. E quei soccorritori, quelle persone incredibili, hanno fatto qualcosa che va oltre la tecnica, oltre le corde e le barelle. Hanno portato speranza, luce. Hanno dimostrato cosa vuol dire davvero esserci, fino in fondo.
Questa storia ti colpisce dritta al cuore. Ti fa pensare che, in fondo, anche nei momenti più bui, possiamo trovare mani tese. Mani che ci tirano su, che ci ricordano che non siamo mai soli, nemmeno nell’oscurità più profonda. È questo il regalo che ci lascia Ottavia: la prova che, con coraggio e con il giusto aiuto, si può tornare alla luce, sempre.