Intervista esclusiva a Giulia Fiorentini, designer di gioielli ed ideatrice del brand “tuDiva”
Giulia Fiorentini, figlia d’arte, classe 2000, è una di quelle persone che non si arrendono mai. Disegnatrice CAD, con un sacco di dedizione, a soli 21 anni si è buttata e ha fondato il suo brand di gioielli, “tuDiva“. Da Viareggio, sogna in grande e ha tutte le carte in regola per farsi conoscere ovunque, non solo in Italia. Giulia ha respirato l’arte orafa fin da bambina e il suo amore per i gioielli è cresciuto anno dopo anno, fino a diventare il suo lavoro. Immaginate che il suo primo gioiello l’ha creato quando aveva solo 6 anni. Sei anni! Incredibile.
Ma quello che davvero distingue Giulia è che ci mette sempre il cuore, in ogni pezzo che crea. E questo lo senti, non c’è dubbio. Ogni gioiello che realizza è una piccola opera d’arte, fatta con una cura maniacale per ogni dettaglio, come nella migliore tradizione orafa italiana. Tutto parte dalla base, poi c’è l’incastonatura, i vari trattamenti, tutto fatto con attenzione per far sì che ogni pezzo duri per sempre. E se cerchi qualcosa di unico, non c’è problema: puoi chiedere qualsiasi cosa, da un anello a un bracciale, da una collana a un paio di orecchini, persino un baciamano. Basta un’idea, una foto, un sogno… e Giulia lo rende reale. Ogni creazione è fatta a mano, usando solo materiali di altissima qualità ed è pensata per rendere felice anche il cliente più esigente.
Vuoi parlare con Giulia? È super semplice: manda una mail a info@tudiva.it. Lei e il suo team sono lì, sempre pronti, sempre disponibili per qualsiasi domanda, richiesta, anche la più strana. Poi c’è il sito ufficiale, www.tuDiva.it, dove puoi curiosare tra i gioielli, fare acquisti senza stress e pagare come ti viene più comodo. Ma la parte più bella? La sezione “Gioielli personalizzati”: lì puoi chiedere un preventivo, magari anche un rendering, inserisci una descrizione, una foto, quel che ti pare. E Giulia? Ti risponderà al volo, pronta a trasformare il tuo sogno in realtà.
Noi Giulia l’abbiamo incontrata e ne abbiamo voluto sapere di più: come nasce un brand di gioielli? Come si realizza un gioiello? Cosa vuol dire essere “disegnatrice CAD”? In quest’intervista, un po’ diversa dal solito, Giulia ci porta nel cuore della gioielleria di famiglia “L’arte del Gioiello”, nonché della prima sede “tuDiva”, raccontandoci questo e tanto altro!
Ogni creazione realizzata nel laboratorio de “L’arte del Gioiello” ha la sua storia da raccontare e ogni collezione il suo tratto distintivo: non troverete mai un gioiello uguale ad un altro ed è anche grazie ai sofisticati macchinari di ultima generazione di cui è dotato che si distingue per la ricercatezza della sua produzione artistica artigianale. Se volete regalare o regalarvi un sogno, tuDiva è la scelta vincente!
Questo non è un articolo promozionale, abbiamo deciso di incontrare Giulia spinti dalla nostra curiosità e per proporvi un’intervista fuori dall’ordinario. Siete curiosi? E allora bando alle ciance, andiamo dritti al sodo… Buona lettura!
Ciao Giulia, come è nata l’idea di aprire un brand tutto tuo?
“Sono nata nell’ambiente orafo nell’azienda di mio padre “L’arte del gioiello” e fin da piccola mi sono appassionata a questo lavoro. Oggi che sono diventata una disegnatrice Cad ho voluto realizzare una linea di gioielli interamente ideati e disegnati da me: ed è proprio così che il 26 febbraio 2022 è nato il mio brand, tuDiva di Giulia Fiorentini.”
Perché hai scelto il nome “tuDiva”?
“Il nome tuDiva è nato dall’idea che ciascuna di noi può essere una diva; i miei prodotti infatti rappresentano la qualità, l’unicità del design ed è questo che contraddistingue chi lo indossa o chi decide di regalarlo.”
I gioielli del marchio tuDiva sono tutti ideati da te?
“Sì, come dicevo prima ho voluto ideare ben sei linee di gioielli diverse tra loro partendo dalla mia idea, riportandola su carta a mano e infine al computer. Ciascuna linea è completa di parure mentre la sesta linea è composta da baciamano, abbinabili per colori alle altre linee.”
E’ possibile richiedere gioielli personalizzati?
“Sì, certamente: possiamo personalizzare qualsiasi tipo di gioiello con tecniche innovative e nel pieno rispetto della migliore tradizione orafa italiana. Tramite i render del gioiello diamo la possibilità al cliente di vederlo in dimensioni e colori reali in anteprima.”
Dove si trova la sede del tuo brand?
“La sede del mio brand si trova a Viareggio, in centro, nella famosa via Fratti 178, dove si può ammirare la vetrina del mio brand e tuDiva come primo punto vendita.”
Cosa vuol dire essere disegnatrice CAD? Di cosa ti occupi principalmente?
“In tanti mi hanno fatto questa domanda, io sono diventata una disegnatrice Cad specializzata in gioielleria e ciò mi permette di progettare un disegno di un gioiello nei minimi particolari al computer, tramite dei programmi specifici per la gioielleria.”
Quale percorso di studi bisogna intraprendere per diventare disegnatrice CAD?
“Io ho scelto un percorso privato di studi con diversi professori, una tra questi Svizzera, concludendo gli studi con gli attestati ufficiali: ad esempio l’attestato di livello due McNeel.”
Parlaci un po’ della gioielleria di famiglia, “L’arte del gioiello”
“L’arte del gioiello è l’azienda di mio padre, Mirko Fiorentini, dove io ho iniziato a muovere i miei primi passi nel laboratorio orafo, nella sala progettazione e in negozio. Tutto è situato in un’unica palazzina dove da sempre c’è stata la mia stanza, quella che oggi è diventata il mio studio. L’azienda progetta e realizza qualsiasi tipo di gioiello di altissima qualità, grazie alla passione, l’esperienza e alla professionalità di mio padre che in tutti questi anni mi ha trasmesso.”
Quali sono i momenti più difficili nel tuo lavoro e quali invece ti fanno sentire al massimo del potenziale?
“Non definirei nel mio lavoro momenti difficili ma piuttosto li chiamerei momenti più impegnativi. Succede quando ad esempio devo realizzare un nuovo progetto di disegno Cad. Dopo tanto impegno e professionalità, vedere il mio progetto realizzato è bellissimo: è quello il momento più entusiasmante e soddisfacente.”
Qual è stata la tua prima creazione?
“La mia prima creazione l’ho realizzata all’età di sei anni: ho fatto un anello con la lavorazione a cera persa, molto particolare e realizzato su più livelli, utilizzando diverse lime. Condivido con molto piacere le foto con voi.”
Partendo dalla progettazione sul pc alla realizzazione, come funziona il processo creativo di un gioiello?
“Il processo di realizzazione parte da un piccolo disegno a mano, successivamente viene disegnato al computer e fatto il render del gioiello da inviare al cliente. Dopodiché si stampa con le nostre stampanti 3D e il modello in resina va in fusione (in oro o argento), dopo ci sono vari processi di rifiniture, eventuali incastonature per le pietre, per ultimo la lucidatura e sgrassatura e il gioiello è pronto.”
A quale collezione sei particolarmente legata?
“È molto difficile rispondere a questa domanda perché avendole create tutte io, ovviamente sono legata a tutte perché ognuna ha una sua storia da raccontare. Diciamo che spesso la mia scelta di mettere un gioiello tuDiva rispetto ad un altro va in base a come sono vestita!”
Quanto è importante la scelta del colore e dei materiali in un gioiello?
“È molto importante la scelta dei metalli. Infatti per potersi definire gioiello deve essere realizzato con metalli preziosi come ad esempio l’oro, il platino o l’argento. Per quanto riguarda i colori dell’oro o dell’argento, in abbinamento con le pietre colorate, direi che è più un gusto personale.”
Che rapporto hai con i social network?
“Con i social network ho davvero un buon rapporto. Ad esempio su TikTok ho raggiunto in pochissimo tempo tanti follower, ma non sono solo numeri: sono persone reali che mi seguono e che si sono appassionate al mio lavoro. Infatti tanti di loro sono diventati miei clienti sia tuDiva, sia dell’arte del gioiello, con gioielli personalizzati!”
Progetti per il futuro?
“Un progetto che spero di poter portare avanti è quello di aprire più punti vendita tuDiva distribuiti a livello internazionale. Ho anche un sogno nel cassetto, ovvero quello di lavorare in tv per fare una nuova esperienza di vita. Inoltre vorrei continuare ad intrattenere le persone che mi seguono sui social proponendo contenuti interessanti, esperimenti e novità che riguardano il mondo dei gioielli: ci sono così tante cose da scoprire… E poi chissà, la vita non smette mai di sorprenderci, ogni nuovo progetto è una sfida e io amo cogliere l’attimo, lasciando sempre il segno in tutto ciò che faccio.”
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Attualità
Omicidio in Spagna risolto grazie a Google Maps: il caso...
Poche volte, nella cronaca recente, ci è capitato di imbatterci in una vicenda tanto assurda e, allo stesso tempo, tristemente reale. Ci riferiamo a un omicidio che ha lasciato un intero Paese, e forse il mondo intero, a bocca aperta. E non stiamo esagerando: c’è di mezzo un uso davvero inatteso della tecnologia, perché tutto è venuto alla luce grazie a Google Street View. Già, proprio quel servizio di mappe online che molti di noi utilizzano ogni giorno per cercare una via o dare un’occhiata a un quartiere prima di andarci. Invece, stavolta, ha fatto da testimone involontario a una tragedia.
Siamo in Spagna, più precisamente nella provincia di Soria, dove una tranquilla località chiamata Tajueco è balzata tristemente agli onori della cronaca. Una storia di sentimenti traditi, illusioni e violenza, che risale al novembre 2023, quando un uomo di origine cubana, 33 anni appena, si volatilizza nel nulla. L’obiettivo del suo viaggio era apparentemente la speranza di riappacificarsi con la moglie. Eppure, da quel momento, di lui non si sa più nulla. È proprio uno dei suoi parenti a lanciare l’allarme: i messaggi che arrivavano sul cellulare sollevavano troppi dubbi, sembravano fuori luogo, non rispecchiavano il solito modo di esprimersi di quest’uomo. Si respirava un’aria sospetta, come se qualcuno cercasse di costruire una versione di comodo sul motivo della sua scomparsa.
L’antefatto: perplessità e silenzi
Il caso fa presto a rimbalzare tra le forze dell’ordine. Una persona sparita in modo così brusco mette in allarme chiunque, specialmente quando il motivo ufficiale del suo viaggio risulta ancora più enigmatico. Ci siamo chiesti tutti: come può un uomo che vuole ricucire un legame così importante sparire così, senza salutare, senza lasciare traccia, se non qualche messaggio ambiguo? Di solito, in queste situazioni, si punta tutto sulle testimonianze, sulle videocamere dei negozi e si interroga chiunque possa averlo visto per l’ultima volta. Ma qui, la vera svolta è arrivata da un luogo inaspettato, ossia l’obiettivo di Google Street View.
Sospetti e svolta tecnologica
A un certo punto, gli inquirenti si sono imbattuti in qualcosa di inquietante: sul servizio di mappatura fornito da Google, un’istantanea ritraeva un uomo che, con una calma surreale, caricava un grosso sacco bianco all’interno del bagagliaio della sua auto. L’immagine è piuttosto sfocata, come spesso capita su Street View, ma i contorni di quel sacco e il contesto generale hanno fatto scattare un campanello d’allarme. La gente del posto lo ha riconosciuto: si trattava di un barista residente proprio a Tajueco, lo stesso luogo dove il nostro trentatreenne era stato visto per l’ultima volta.
E qui, si apre lo scenario più cupo: emerge che questo barista intratteneva una relazione con la moglie della vittima. Un dettaglio sconvolgente, che ha condotto gli investigatori a mettere sotto la lente di ingrandimento tutti i movimenti di costui. Da quell’immagine catturata quasi per caso, la polizia ha cercato ulteriori conferme, scandagliando telefonate, messaggi e tracce digitali. Passo dopo passo, si è delineato un quadro terribile, in cui non sembra esserci spazio per ipotesi alternative.
Google Street View: alleato imprevisto
Non si tratta solo di foto che immortalano una strada o un edificio. In questo caso, Google Street View è diventato una sorta di testimone scomodo e implacabile. L’indizio fornito da quell’immagine ha gettato una luce sinistra sui sospetti, spingendo le autorità a fare accertamenti più mirati. Intercettazioni, controlli incrociati e infine l’arresto. Le manette si sono strette non soltanto intorno ai polsi del barista ma anche intorno a quelli della moglie dell’uomo scomparso, a cui sono stati contestati reati gravissimi.
Ritrovamento macabro
Arriviamo così al 13 dicembre 2024, una data difficile da dimenticare per la gente di questa zona. Nel cimitero di Andaluz, una località vicina a Tajueco, viene ritrovato il corpo smembrato della vittima. Il suo destino, purtroppo, si era compiuto settimane prima. Gli stessi sospettati hanno permesso il ritrovamento, indicando con precisione dove fossero nascosti i resti. Una scoperta che ha scosso profondamente l’intera comunità, finora abituata a una vita semplice e lontana dai riflettori.
Conseguenze e riflessioni su privacy e tecnologia
Non possiamo ignorare il lato etico della faccenda: per anni, abbiamo discusso sulla privacy, sui confini del lecito, sulla possibilità che un colosso tecnologico possa avere immagini di tutti noi. Adesso, ci ritroviamo a constatare che questi scatti, talvolta considerati una sorta di curiosità digitale, possono trasformarsi in prove fondamentali in un’indagine di omicidio. Il che fa sorgere una domanda: fino a che punto siamo pronti a sacrificare la nostra riservatezza per garantire la giustizia? Ogni volta che un caso come questo emerge, ci rendiamo conto di quanto sia sottile la linea che separa la sicurezza collettiva dal diritto individuale alla privacy.
Un precedente storico
Nel panorama investigativo, l’uso di Google Maps per risolvere un delitto rappresenta una novità destinata a far discutere a lungo. La piccola Tajueco verrà probabilmente ricordata come la località dove uno strumento comunissimo è diventato l’occhio che ha svelato un segreto criminale. Forse, in futuro, assisteremo a nuove modalità di indagine sempre più legate alla tecnologia di tutti i giorni. Resta però un brivido, una strana sensazione, pensando che un banale click sulle mappe online possa, di punto in bianco, rivelare i peggiori abissi della crudeltà umana.
Concludendo, ci troviamo di fronte a un episodio che racchiude dramma, tecnologia e domande scomode su ciò che siamo disposti a cedere pur di assicurare i colpevoli alla giustizia. Resta vivo un monito: non sappiamo mai chi ci sta osservando, anche quando cerchiamo di occultare ciò che non vorremmo fosse mai scoperto. E in questa circostanza, a fare chiarezza è stata proprio la prospettiva digitale, fredda e onnipresente, di Google Street View. Un fatto che, probabilmente, cambierà il nostro modo di guardare quel piccolo omino giallo sulla mappa. E forse, in fondo, cambierà anche il modo in cui riflettiamo sul delicato equilibrio fra controllo, privacy e verità.
Attualità
La Roma delle borgate raccontata con il cuore: il ritorno...
Roma. Anni ’70, ’80. Una città che sembra vivere due vite. Da un lato, la poesia struggente di Pier Paolo Pasolini, con le sue borgate illuminate da una bellezza malinconica. Dall’altro, l’ombra scura della Banda della Magliana, con i suoi intrecci di criminalità e potere. In mezzo, una generazione di ragazzi che cerca disperatamente di crescere, sognare, sopravvivere. Questo è il cuore pulsante di Storie Bastarde, il libro di Davide Maria Desario è una finestra aperta sulle contraddizioni, le speranze e i tormenti di una città in perenne trasformazione.
Un autore radicato nella sua Roma
Davide Maria Desario. Un nome che, a molti, dice già qualcosa. Magari per il suo lavoro come direttore di Adnkronos, ma a chi lo conosce davvero basta poco per capire che è molto più di un giornalista. Nato a Roma, febbraio 1971, si potrebbe dire che è cresciuto respirando i vicoli, i tramonti rossi sui tetti e quelle mille contraddizioni che rendono questa città un po’ crudele e un po’ magica. Desario, però, non si è mai fermato a guardare.
Ha vissuto ogni piega di Roma, imparando a raccontarla con parole che non graffiano, ma scavano. Prima la cronaca, che gli ha insegnato a non girare mai la testa dall’altra parte. Poi la narrativa, dove ogni racconto sembra un pezzo di cuore che ha deciso di mettere sulla carta. E quando leggi Storie Bastarde lo senti: è vivo. Ogni pagina ti prende per mano e ti trascina dentro un’anima fatta di poesia e disperazione, bellezza e buio, con quella voce che solo chi Roma ce l’ha nel sangue può avere.
Ostia, una palestra di vita
Molte delle storie di Desario prendono vita a Ostia, quel quartiere che non è solo mare ma anche un microcosmo di speranze e paure. È qui che i bambini crescono giocando tra strade polverose e bar di quartiere, imparando presto che ogni scelta può essere decisiva. Criminalità, droga, sogni infranti: tutto è a portata di mano… ma anche la resilienza, quella forza incredibile di chi, nonostante tutto, non smette di credere in un futuro migliore. Desario cattura questa dualità con una maestria che colpisce al cuore.
Quello che rende Storie Bastarde speciale è la sua capacità di trascendere i confini geografici. Certo, è un libro profondamente romano ma le sue storie parlano a tutta l’Italia. La Roma di Desario non è quella dei monumenti e dei turisti, ma quella delle borgate, delle persone comuni che combattono ogni giorno per un pezzo di felicità. E queste lotte, queste speranze, risuonano ovunque. Perché in fondo, chi di noi non ha mai sentito il peso di un sogno troppo grande per il posto in cui vive?
La trasposizione teatrale: un altro livello di intensità
Il successo di Storie Bastarde non si è fermato alle pagine. L’opera è stata portata sul palcoscenico da Ariele Vincenti e Fabio Avaro, trasformandosi in una rappresentazione che amplifica l’essenza dei racconti. Il teatro ha il potere di rendere tutto ancora più crudo, più diretto. E il pubblico ha risposto con entusiasmo, dimostrando che queste storie non sono solo romanze, ma pezzi di vita che meritano di essere vissuti.
Un nuovo capitolo: la riedizione
Nel 2010 Storie Bastarde ha fatto il suo debutto ma quest’anno il libro torna a prendersi il suo spazio. Una nuova edizione, curata da Avagliano Editore, arricchita da una storia inedita e dalla prefazione appassionata di Francesca Fagnani. Ecco, stavolta è come se il libro avesse trovato una seconda vita, un’energia rinnovata, pronta a parlare ancora più forte.
Il 20 novembre 2024 è successo qualcosa di speciale. Al palazzo dell’informazione Adnkronos si è celebrata la nuova vita di queste storie. Tra i presenti, volti noti come il prefetto di Roma, Lamberto Giannini e la giornalista Eleonora Daniele. Ma quello che contava di più non erano i titoli, no. Era il silenzio che si creava quando si parlava di queste storie. Perché alla fine si tratta di questo: non dimenticare. Tenere vivo quello che spesso scivola via, nell’indifferenza. E forse, solo forse, imparare qualcosa in più su chi siamo.
Una Roma che resiste
Tra criminalità e poesia, tra disperazione e speranza, emerge una Roma che non si arrende. Storie Bastarde è un omaggio a questa città ma anche all’Italia intera. Racconta di un’infanzia difficile, di scelte che cambiano il corso della vita, ma anche di una resistenza silenziosa, fatta di piccoli gesti quotidiani. Desario ci ricorda che, anche nelle situazioni più buie, c’è sempre spazio per la speranza.
Oltre il libro: un autore poliedrico
Desario non si ferma a Storie Bastarde. Con opere come #RomaBarzotta (2015) e #RomaBarzotta 2 (2017), ha continuato a esplorare le dinamiche della Capitale. E il suo impegno culturale va oltre la scrittura: nel 2022 è stato nominato presidente della giuria per la selezione della “Capitale italiana della cultura” 2025, un ruolo che testimonia la sua dedizione alla valorizzazione del patrimonio italiano.
Se c’è una cosa che Storie Bastarde ci insegna, è che le storie hanno il potere di cambiare il mondo. Raccontando la Roma delle borgate, Desario non ci offre solo un pezzo di letteratura ma un documento storico, un atto d’amore verso una città e le sue mille sfumature. E ci lascia con una certezza: anche nelle difficoltà, c’è sempre una luce che brilla, anche se fioca. Sta a noi trovarla.
Attualità
Ottavia Piana: una storia di coraggio e resistenza nelle...
Cosa spinge una persona ad avventurarsi nelle viscere della terra, affrontando freddo, oscurità e pericoli senza fine? Ottavia Piana, 32 anni, ce lo ha dimostrato con la sua incredibile vicenda. Una storia che ha tenuto l’Italia col fiato sospeso per 75 ore, tra speranza e angoscia, e che si è conclusa con un lieto fine nella notte del 18 dicembre 2024.
L’incidente: un attimo, e tutto cambia
Era la sera del 14 dicembre. Ottavia, speleologa esperta, si trovava insieme a un gruppo di colleghi all’interno dell’Abisso Bueno Fonteno, una delle grotte più temibili del territorio bergamasco. Il suo nome non è scelto a caso: cunicoli stretti, umidità opprimente, temperature intorno ai 4°C. Un mondo ostile, dove ogni passo va calcolato. Eppure, anche i più esperti possono inciampare. Una caduta di cinque metri. Cinque metri che l’hanno bloccata, ferita e immobilizzata in uno dei passaggi più angusti della grotta.
Lesioni alle vertebre, fratture al ginocchio e alle costole, ferite al volto. Un quadro clinico che avrebbe piegato chiunque. Ma non Ottavia. La sua capacità di mantenere la calma e collaborare con i soccorritori è stata fondamentale.
Appena è partito l’allarme, si è acceso qualcosa di incredibile. Centocinquantanove persone – tecnici, speleologi, gente che conosce la montagna e la rispetta – hanno lasciato tutto e sono arrivate lì. Da tredici regioni diverse. Hanno unito le loro mani, i loro strumenti, i loro pensieri. Ogni gesto sembrava un pezzo di un disegno più grande, un incastro perfetto fatto di sudore, concentrazione e cuore. Spiegarlo è complicato: era come vedere un gigantesco ingranaggio in moto, con ogni singolo pezzo che si muove per salvare una vita. Corde che si tendono, voci che si incrociano nel buio. Ogni respiro pesava. Ogni secondo contava. E lì, in mezzo a tutto, non era questione di sola tecnica. Era passione. Quella che ti fa andare avanti anche quando sei stanco, freddo, esausto.
Le operazioni sono iniziate alla mezzanotte del 15 dicembre. Ogni singolo movimento è stato studiato al millimetro. Ottavia è stata assistita da medici specializzati direttamente sul posto. Antidolorifici, trattamenti per evitare complicazioni e soprattutto tanta umanità. Perché in quei cunicoli non si tratta semplicemente di procedure tecniche: ci sono persone, con le loro paure e la loro determinazione.
Immaginate una barella che deve essere sollevata e calata per oltre 100 metri verticali, tra passaggi strettissimi e rocce scivolose. Ogni movimento richiedeva un’attenzione maniacale. Eppure, nonostante le difficoltà, il lavoro di squadra ha fatto la differenza.
La risalita: il momento che tutti aspettavano
Sono le 2:59 del 18 dicembre. Un applauso esplode nell’oscurità. Ottavia emerge finalmente dalla grotta, visibilmente provata ma lucida. I soccorritori, molti dei quali non avevano dormito per giorni, la accolgono con lacrime di gioia.
Trasportata immediatamente in elicottero all’ospedale di Bergamo, ora è sotto osservazione. Le sue condizioni sono stabili, ma la strada verso la piena guarigione sarà lunga. Eppure, conoscendo il suo spirito, c’è da scommettere che ce la farà.
Quello del 2024 non è il primo incidente per Ottavia nell’Abisso Bueno Fonteno. Nel luglio del 2023, una frattura alla gamba l’aveva già bloccata per oltre 40 ore nello stesso sistema di grotte. Anche allora, un’operazione di soccorso aveva permesso di salvarla. Una coincidenza? Forse. Ma è chiaro che questo luogo ha un legame profondo con lei, un misto di sfida e attrazione.
I costi delle operazioni: un dibattito sempre acceso
Ogni grande impresa porta con sé delle domande. Chi paga per tutto questo? Le operazioni di soccorso in grotta, si sa, sono complesse e costose. Alcuni hanno sollevato critiche, chiedendosi se i contribuenti debbano farsi carico di tali spese. Ma Sergio Orsini, presidente della Società Speleologica Italiana, ha chiarito: gli speleologi come Ottavia sono coperti da assicurazioni specifiche, finanziate attraverso le loro polizze. I costi non gravano sulla collettività. Una risposta che dovrebbe mettere a tacere le polemiche ma che non sempre riesce a convincere tutti.
La riflessione: perché rischiare?
“Le grotte non sono per tutti”, ha commentato Mario Tozzi, noto geologo. E come dargli torto? L’esplorazione speleologica è un mondo a parte. Fascino, certo, ma anche rischio. Chi si avventura in questi luoghi deve essere consapevole dei propri limiti.
Ma c’è qualcosa di più. Qualcosa che va oltre il pericolo. L’esplorazione è una spinta primordiale, un bisogno di andare oltre, di scoprire ciò che è nascosto. E Ottavia è l’incarnazione di questa passione.
Questa è una di quelle storie che ti prendono lo stomaco e lo stringono forte. Ti fanno riflettere su cosa significhi davvero coraggio. Ottavia e i soccorritori che hanno rischiato tutto per salvarla non sono eroi da film, no. Sono persone, vere, con paure, con dubbi, con un’incredibile forza di volontà. In quei cunicoli neri come la pece, dove ogni suono rimbalza e ti ricorda quanto sei piccolo, non si è trattato solo di paura. C’è stato qualcosa di più grande, più potente: un legame. Una di quelle connessioni umane che nascono quando tutto sembra perduto e invece trovi la mano di qualcuno che ti tiene stretto.
“Non avrei potuto farcela senza di loro”, ha dichiarato Ottavia dal letto d’ospedale. Una frase semplice ma che dice tutto.
Il futuro: una lezione per tutti
Quello che è successo nell’Abisso Bueno Fonteno è un monito. Per gli speleologi, certo, ma anche per tutti noi. La natura è affascinante ma richiede rispetto. Esplorare significa conoscere i propri limiti e non sottovalutare mai i pericoli.
Ottavia Piana ha vissuto qualcosa di difficile anche solo da immaginare. Eppure, quel buio profondo, quelle ore interminabili, l’hanno resa un simbolo. Un simbolo di una forza che non è da tutti, una resistenza che ti entra dentro e ti fa riflettere. Perché, alla fine, è di questo che si tratta: trovare la forza di andare avanti, anche quando sembra impossibile. E quei soccorritori, quelle persone incredibili, hanno fatto qualcosa che va oltre la tecnica, oltre le corde e le barelle. Hanno portato speranza, luce. Hanno dimostrato cosa vuol dire davvero esserci, fino in fondo.
Questa storia ti colpisce dritta al cuore. Ti fa pensare che, in fondo, anche nei momenti più bui, possiamo trovare mani tese. Mani che ci tirano su, che ci ricordano che non siamo mai soli, nemmeno nell’oscurità più profonda. È questo il regalo che ci lascia Ottavia: la prova che, con coraggio e con il giusto aiuto, si può tornare alla luce, sempre.