Ucraina, ambasciatore Melnyk: “Putin ha paura della pace, anche grazie a Italia resistito 1000 giorni”
"Dagli alleati ci aspettiamo un ulteriore aiuto militare e una partnership strategica con la Nato"
Vladimir Putin "ha paura della pace ed è per questo che ha portato la Corea del Nord in prima linea", se l'Ucraina è riuscita a resistere a mille giorni di guerra è anche grazie all'Italia, dagli alleati ci aspettiamo "non solo un ulteriore aiuto militare, ma anche una partnership strategica con la Nato". L'ambasciatore di Kiev a Roma, Yaroslav Melnyk, parla all'Adnkronos nel giorno di questo "doloroso" anniversario e riconferma la volontà dell'Ucraina di mettere fine alla guerra, purché non si tratti di "una resa all'aggressore".
"L'attacco della Russia all'Ucraina è la prima guerra coloniale del XXI secolo. Il punto non dovrebbe essere perché l'Ucraina abbia resistito così tanto dall'inizio della guerra, ma come nel mondo civilizzato del XXI secolo, nel centro dell'Europa, ciò sia potuto accadere. Purtroppo, l'aggressione illegale e non provocata della Russia ha rivelato profonde crepe nelle fondamenta della sicurezza internazionale", accusa Melnyk.
Che poi rivendica: "Siamo stati noi, gli ucraini, a dover dimostrare a noi stessi e al mondo intero che uno Stato e un popolo che credono nella propria libertà e nella propria forza sono indistruttibili. Questi mille giorni di guerra hanno portato molto dolore, perdite e lutti al mio popolo. Allo stesso tempo, questi mille giorni di guerra hanno contribuito a dimostrare le migliori qualità umane sia degli ucraini che dei nostri partner e amici".
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L'ambasciatore ricorda che "dai primi giorni di guerra, non nel 2022, ma nel 2014, Russia utilizza i metodi terroristici per seminare paura e distruggere il nostro Paese. Solo negli ultimi due giorni, i russi hanno attaccato i quartieri residenziali a Sumy e Odesa. Tra le vittime ci sono i bambini: un ragazzo di 9 anni e una ragazza di 14 anni. La Russia, attaccando i quartieri residenziali, continua i suoi crimini, uccidendo i civili". Tutto questo, secondo il rappresentante di Kiev, dimostra quanto sia "ovvio che Putin ha paura della pace ed è per questo che sta cercando modi per aumentare l'aggressività, ed è per questo che ora ha portato la Corea del Nord in prima linea. Questo è un chiaro segnale al mondo intero che vuole solo la guerra".
In questa situazione, "siamo grati a tutti i leader e a tutti gli Stati che continuano a sostenere l'Ucraina", dice Melnyk, che definisce "l'Italia uno dei più stretti alleati di Kiev, in particolare in qualità della sua presidenza del G7". "L'Italia - è grato l'ambasciatore - continua a sostenere l'Ucraina sia a livello bilaterale che multilaterale in ambito politico, economico, umanitario e militare. Devo quindi constatare che siamo riusciti a superare questi mille giorni di guerra, tra l'altro, grazie all'Italia e agli italiani, grazie alla loro solidarietà e al loro sostegno".
L'ambasciatore parla poi del prossimo arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca e della sua promessa di chiudere al più presto la guerra. "L'Ucraina, l'Europa e il mondo hanno bisogno di una pace globale, giusta e duratura. Non vi svelo un segreto se dico che l'Ucraina vuole porre fine a questa guerra più di qualsiasi altro Paese. Questo è ovvio - premette - Ma siamo anche consapevoli che questa deve essere una pace vera. Non deve essere un'acquiescenza all'aggressore. L'Ucraina è aperta alla diplomazia, ma a una diplomazia onesta con una posizione forte".
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"La Russia - prosegue Melnyk- capisce solo il linguaggio della forza, ed è per questo che i politici con una posizione chiara, pronti a contrastare le sue ambizioni aggressive, possono svolgere un ruolo chiave nel fermare il conflitto. Sappiamo tutti che Trump è noto per la sua determinazione e il suo approccio alla 'pace attraverso la forza'. Allo stesso tempo, devo dire che l'Ucraina ha sempre apprezzato il sostegno politico bipartisan degli Stati Uniti. I diplomatici ucraini parlano della Formula di Pace e del Piano di Vittoria ai loro partner americani durante gli incontri a Washington, al Congresso e alla Casa Bianca. Come ha osservato il presidente Zelensky dopo il colloquio telefonico con il presidente eletto, è importante per noi vivere senza l'aggressione russa e con un'America forte, con un'Ucraina forte, con alleati forti".
C'è poi il tema della Nato: ancora oggi, il segretario generale dell'Alleanza atlantica, Mark Rutte, ha ribadito il "fermo sostegno" all'Ucraina, "per il quale siamo davvero molto grati". "Questo è senza dubbio un segnale importante per la nostra sicurezza, poiché l'Ucraina ha bisogno non solo di un ulteriore aiuto militare, ma anche di un partnership strategico con la Nato e i suoi Stati membri", sottolinea l'ambasciatore, secondo cui Kiev "resta fiduciosa che, indipendentemente dai cambiamenti nella leadership politica, il partenariato strategico tra l'Ucraina e gli Stati Uniti rimarrà una priorità, e il continuo supporto militare non è solo una questione di decisioni interne americane, ma di stabilità e sicurezza globale, che dipende dal successo d'Ucraina nella guerra contro l'aggressione russa".
Quanto a quello di cui Kiev continua ad avere più bisogno ora, secondo Melnyk "è rafforzare l'Ucraina e le nostre posizioni comuni con i nostri partner: la Russia si sottrae alla vera diplomazia, per questo dobbiamo forzarla attraverso una posizione forte e consolidata dei partner. Per questo motivo il presidente ha presentato ai nostri partner il Piano di Vittoria, che consiste in cinque punti - geopolitico, due militari, economico e di sicurezza. L'obiettivo finale è quello di creare le condizioni per costringere la Russia a porre fine alla guerra con mezzi diplomatici".
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Infine, l'ambasciatore esorta il mondo "a non chiudere gli occhi" davanti all'escalation rappresentata dall'invio di soldati nordcoreani in territorio russo. "Il rafforzamento della cooperazione militare di Mosca con i suoi alleati, in particolare con la Corea del Nord, dovrebbe causare una preoccupazione nella comunità internazionale, poiché ha un impatto significativo sulla sicurezza globale", ammonisce Melnyk, secondo cui "tale supporto non solo aumenta l'aggressione russa nella guerra contro l'Ucraina, ma può anche incoraggiare altri regimi autoritari ad adottare azioni che destabilizzano le regioni e accrescono la tensione".
"Inoltre, potrebbe stimolare altri paesi ad intraprendere interventi militari, complicando le prospettive di pace e stabilità in molte parti del mondo", dice ancora l'ambasciatore, secondo cui "le democrazie sono attualmente sotto una grave minaccia da parte dei regimi autoritari, e quindi la comunità internazionale deve reagire rapidamente". "Il rafforzamento delle sanzioni, il sostegno ai paesi che combattono l'aggressione e il consolidamento delle alleanze internazionali devono diventare i componenti fondamentali della politica contro l'autoritarismo - è l'appello finale di Melnyk - Solo unendo gli sforzi sarà possibile fronteggiare tali sfide e prevenire il rafforzamento di regimi simili che minacciano i diritti e le libertà delle persone in tutto il mondo. Che non può chiudere gli occhi di fronte a questo. Per questo siamo grati ai nostri partner, tra cui l'Italia, che hanno risposto al coinvolgimento della Corea del Nord nella guerra aggressiva della Russia contro l'Ucraina".
Esteri
Energia, Meloni: “Siglato accordo con Albania ed...
La premier al summit di Abu Dhabi: "Italia piattaforma naturale nel Mediterraneo, hub tra Ue e Africa". Poi sul nucleare: "Fusione può cambiare corso della storia, risorsa accessibile per tutti"
"Sono estremamente lieta di annunciare qui la firma di un accordo per dare il via a un progetto ambizioso tra le due sponde dell'Adriatico. Con Sua Altezza lo sceicco Mohammed bin Zayed e il primo ministro Edi Rama, oggi assisteremo alla firma di un impegno di estrema importanza per realizzare una nuova interconnessione energetica, volta a produrre energia verde in Albania e a esportarne una parte in Italia, grazie a un cavo sottomarino attraverso il Mar Adriatico. Crediamo fermamente in questo progetto che coinvolge i nostri tre governi, oltre ai nostri settori privati e agli operatori delle reti". Così la premier Giorgia Meloni, intervenendo al summit sull'energia ad Abu Dhabi.
La presidente del Consiglio si è detta "molto orgogliosa di questa iniziativa", perché, ha spiegato, "dimostra concretamente come possano essere costruite nuove forme di cooperazione anche tra partner apparentemente distanti, almeno da un punto di vista geografico. Partner che, tuttavia, sanno guardare alla scacchiera nel suo insieme e non solo al quadrante che sembra riguardarli più da vicino", ha rimarcato Meloni.
"Italia piattaforma naturale Mediterraneo, hub tra Ue e Africa"
"L'Italia ha l'opportunità di diventare l'hub strategico per i flussi energetici tra Europa e Africa. Siamo una piattaforma naturale nel Mediterraneo, il che ci consente di agire come centro di approvvigionamento e distribuzione, collegando sia l'offerta esistente che quella potenziale dall'Africa con la domanda energetica dell'Europa", ha detto la premier intervenendo al summit.
Il governo italiano, ha proseguito Meloni, "dà voce a questa ambizione anche attraverso il Piano Mattei (il nostro piano di cooperazione con i Paesi africani), che pone l'energia come uno dei suoi pilastri fondamentali e prevede anche progetti di connessione strategica. Penso, ad esempio, all'interconnessione elettrica Elmed tra Italia e Tunisia".
"Sono certa - ha sottolineato davanti alla platea del summit - che sviluppare interconnessioni possa rappresentare la chiave di volta di una nuova diplomazia energetica, in grado di moltiplicare le opportunità di cooperazione tra di noi e generare benefici condivisi per tutti".
"No decarbonizzazione a prezzo desertificazione economia"
In un passaggio del suo intervento davanti alla platea del World Future Energy Summit di Abu Dhabi la premier ha poi sottolineato che "non riusciremo a triplicare la capacità di generazione di energia rinnovabile entro il 2030, né a raddoppiare il tasso di efficienza energetica, se continuiamo a inseguire la decarbonizzazione al prezzo della desertificazione economica o a mettere da parte, per ragioni ideologiche, soluzioni che invece potrebbero aiutare a costruire un'alternativa sostenibile ai combustibili fossili. Dobbiamo essere pragmatici, semplicemente perché la realtà lo impone".
Nucleare
Per la premier bisogna puntare su "un mix energetico equilibrato, basato sulle tecnologie attualmente disponibili, su quelle in fase di sperimentazione e su quelle che devono ancora essere identificate. Non mi riferisco solo alle energie rinnovabili, ma anche al gas, ai biocarburanti, all'idrogeno verde e alla cattura della CO₂ - senza dimenticare la fusione nucleare, che potrebbe potenzialmente produrre energia pulita, sicura e illimitata, trasformando l'energia da arma geopolitica in una risorsa ampiamente accessibile, cambiando di fatto il corso della storia".
"Il futuro della transizione energetica e della digitalizzazione dipenderà dalla nostra capacità di trovare un equilibrio tra sostenibilità e innovazione", ha detto la presidente del Consiglio.
"Stiamo vivendo in un'epoca particolarmente complessa, segnata da trasformazioni epocali. Ora abbiamo una scelta da fare: possiamo subire queste trasformazioni restando inerti, oppure possiamo interpretarle come opportunità. Credo che dovremmo scegliere la seconda strada e percorrerla con coraggio e visione, senza paura di osare", ha proseguito la premier, concludendo il suo discorso con una citazione dell'economista Julian Simon: "Il principale carburante per accelerare il progresso del mondo è il nostro patrimonio di conoscenze; i freni sono la nostra mancanza di immaginazione".
Secondo quanto si apprende, a margine del summit è in corso un incontro tra la premier Meloni e il presidente degli Emirati Arabi Uniti Mohammed bin Zayed Al Nahyan. Oggi pomeriggio i due leader si vedranno nuovamente per il bilaterale.
Esteri
Israele-Gaza, media: Hamas chiede di rivedere diverse...
L'annuncio ufficiale ancora non c'è e a Doha, la sede dei negoziati, le trattative vanno avanti
L'accordo sul cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi è un passo, ma l'annuncio ufficiale ancora non c'è e a Doha, la sede dei negoziati, le trattative vanno avanti. Segnale inequivocabile che alcuni dettagli restano ancora in sospeso. Secondo una fonte palestinese, citata dal quotidiano qatariota con sede a Londra 'Al-Araby Al-Jadeed', uno dei nodi ancora da sciogliere è la richiesta, presentata all'ultimo dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, di aggiungere i militari alla lista dei 33 ostaggi che dovrebbero essere rilasciati da Hamas nella prima fase. Secondo quanto trapelato in precedenza, in questa fase - che durerebbe 42 giorni - sarebbero rilasciati bambini, donne, soldatesse, anziani e malati.
La fonte ha bollato la richiesta di Netanyahu come un tentativo di "manipolare l'accordo e ostacolarlo", rimarcando come il rilascio dei militari sia previsto nelle fasi successive e sia subordinato alla scarcerazione da parte di Israele di circa un migliaio di detenuti palestinesi. La fonte palestinese ha anche rivelato che tra i soldati nelle mani delle fazioni a Gaza ci sono diversi ufficiali dello Shin Bet e dell'unità di intelligence 8200. Una fonte diplomatica, citata dal Jerusalem Post, respinge quest'interpretazione, garantendo che Israele non ha aggiunto nuove condizioni.
Ieri un'altra fonte a conoscenza dei negoziati ha spiegato che un'altra questione che blocca l'approvazione dell'intesa da parte di Hamas riguarda le mappe che definiscono il ritiro delle Idf dalla Striscia. L'esercito israeliano, infatti, vorrebbe mantenere il controllo del Corridoio Netzarim, che divide l'enclave a metà, e del Corridoio Philadephi, al confine con l'Egitto, fino a quando non saranno liberi tutti gli ostaggi e tutti i punti dell'accordo saranno attuati. Una condizione che Hamas respinge.
Intanto una delegazione della Jihad islamica palestinese è arrivata a Doha, in Qatar, per partecipare ai negoziati. Lo ha dichiarato un funzionario della Jihad islamica all'Afp. ''Una delegazione di alto livello della Jihad islamica è arrivata a Doha martedì sera'', ha detto all'Afp il funzionario della Jihad islamica a condizione di anonimato. ''I colloqui stanno andando avanti e si stanno concentrando sulla implementazione di un accordo di cessate il fuoco e sui nomi dei detenuti palestinesi da inserire nell'accordo di scambio'', ha aggiunto.
Il bilancio delle vittime
Il ministero della Salute della Striscia di Gaza ha dichiarato che nelle ultime 24 ore sono state uccise 62 persone nell'enclave palestinese, portando il bilancio complessivo delle vittime della guerra a 46.707. In una nota, il ministero ha aggiunto che almeno 110.265 persone sono rimaste ferite in oltre 15 mesi di guerra tra Israele e Hamas.
Biden proroga sanzioni contro coloni estremisti per altri 12 mesi
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato formalmente che prorogherà di altri 12 mesi l'ordine esecutivo di sanzioni contro i coloni israeliani estremisti, oltre la data di scadenza che era stata fissata al primo febbraio 2025. La situazione in Cisgiordania - in particolare gli alti livelli di violenza dei coloni estremisti, gli sfollamenti forzati di persone e villaggi e la distruzione di proprietà - ha raggiunto livelli intollerabili e costituisce una seria minaccia per la pace, la sicurezza e la stabilità della Cisgiordania e di Gaza, di Israele e della più ampia regione del Medio Oriente", ha scritto Biden in una nota.
"Queste azioni compromettono gli obiettivi di politica estera degli Stati Uniti, tra cui la fattibilità di una soluzione a due Stati e la garanzia che israeliani e palestinesi possano raggiungere uguali misure di sicurezza, prosperità e libertà. Compromettono anche la sicurezza di Israele e hanno il potenziale per portare a una più ampia destabilizzazione regionale in tutto il Medio Oriente, minacciando il personale e gli interessi degli Stati Uniti", ha continuato Biden, sottolineando che la situazione in Cisgiordania "continua a rappresentare una minaccia insolita e straordinaria per la sicurezza nazionale e la politica estera degli Stati Uniti".
Media: generale Idf Alian è tornato in Israele
L'emittente Kan e il sito Times of Israel, citando una fonte della Difesa israeliana, confermano che il generale delle Idf Ghassan Alian, coordinatore delle attività governative nei Territori (Cogat), contro il quale nei giorni scorsi una fondazione filo-palestinese aveva presentato una richiesta di arresto in Italia, è tornato questa mattina in Israele, come previsto.
Lunedì la Fondazione filopalestinese 'Hind Rajab' (Hrf) - nota per tracciare gli spostamenti dei militari dell'Idf all'estero - aveva presentato una richiesta di arresto di Alian, sostenendo che si trovasse in Italia "in segreto".
Dyab Abou Jahjah, fondatore e leader dell'Hrf, aveva annunciato a 'Democracy Now' che l'organizzazione si era rivolta alla Corte penale internazionale "chiedendo l'attivazione di un mandato d'arresto esistente o l'emissione di uno nuovo". "Abbiamo anche informato le autorità italiane, esortandole ad adempiere agli obblighi previsti dallo statuto, poiché hanno la giurisdizione e Alian non gode di immunità", aveva precisato. L'Hrf accusa Alian di supervisionare politiche che descrive come crimini di guerra e crimini contro l'umanità, tra cui il blocco di Gaza e l'attacco alle infrastrutture civili.
Esteri
Ucraina, Corea del Sud e Russia: che fine fanno i soldati...
Kiev vuole usare i prigionieri nordcoreani per riavere propri uomini da Mosca, Seul pronta ad accoglierli
Tutti, o quasi, vogliono i soldati di Kim-Jong un catturati dall'Ucraina. Da giorni, Kiev diffonde video e news relativi ai due militari nordcoreani ora prigionieri: le forze armate ucraine li hanno bloccati nella regione russa di Kursk, dove reparti asiatici affiancano le forze armate di Vladimir Putin.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, convinto che altri nordcoreani verranno fatti prigionieri, è pronto a consegnare i soldati a Pyongyang se Kim Jong-un favorirà la liberazione di militari di Kiev attualmente nelle mani della Russia.
In scena, però, entra anche la Corea del Sud. Il governo di Seul intende consultarsi con le autorità ucraine sull'eventuale trasferimento dei soldati nordcoreani se questi ne faranno richiesta. A darne notizia è stato un portavoce del ministero degli Esteri sudcoreano.
"Essendo i soldati nordcoreani, il governo intende consultarsi con l'Ucraina nel caso in cui questi chiedessero di fare defezione in Corea del sud", ha affermato, con riferimento alla Costituzione del paese, riferita all'intera penisola coreana, e che riconosce di fatto tutti i residenti nella penisola come cittadini.
Al momento, ha poi precisato il portavoce, questa richiesta non è arrivata, ma le autorità di Seul sono in contatto con l'Ucraina sulle questioni di loro pertinenza. La cattura dei due militari era stata anche confermata dall'agenzia di intelligence della Corea del sud che si è impegnata a garantire una stretta cooperazione con l'Ucraina.
Domenica Zelensky ha pubblicato un post su X con il video in cui si vedono i due militari feriti rispondere ad alcune domande. "Dopo i primi soldati catturati dalla Corea del Nord, ce ne saranno senza dubbio altri. È solo questione di tempo prima che le nostre truppe riescano a catturarne altri. Non dovrebbe esserci alcun dubbio nel mondo che l'esercito russo dipende dall'assistenza militare della Corea del Nord", ha scritto, spiegando poi che "l'Ucraina è pronta a consegnare i soldati di Kim Jong Un a quest'ultimo se riuscirà a organizzare il loro scambio con i nostri soldati tenuti prigionieri in Russia".
"Per quei soldati nordcoreani che non desiderano tornare, potrebbero esserci altre opzioni disponibili. In particolare, coloro che esprimono il desiderio di avvicinare la pace diffondendo la verità su questa guerra avranno questa opportunità".
I militari catturati spiegano nel video diffuso da Zelensky di non sapere dove si trovano. "Sapevi che stavi combattendo una guerra contro l'Ucraina?", viene chiesto a uno di loro. "No", risponde. "Cosa ti hanno detto i tuoi comandanti quando ti hanno mandato in guerra?". "Mi hanno detto che era solo un'esercitazione". Il militare ha raccontato poi di un'offensiva del 3 gennaio, di aver visto "i suoi soldati morire", di essersi nascosto e di essere stato trovato il 5 gennaio. Uno dei due militari ha risposto poi affermativamente alla domanda sulla volontà di tornare in Corea del nord, l'altro ha dichiarato che vorrebbe rimanere in Ucraina ma che farà quello che gli viene chiesto, tornare o - se gliene sarà data l'opportunità, restare.