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Bonus 1000 euro, a chi spetta e cosa cambia dalla Social Card

Il governo sta pensando a un bonus spesa da 1.000 euro per il 2025. Questa misura fa parte di una serie di iniziative con cui l’esecutivo mira a sostenere le famiglie italiane in difficoltà economica, ampliando la gamma di aiuti presenti. Rispetto alla Social Card, il bonus da 1.000 euro raddoppia il tetto del beneficio economico, ma presenta requisiti più stringenti. Il bonus potrebbe essere inserito in Manovra, ma il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha spiegato che non c’è ancora nulla di definitivo.

Ecco cosa si potrà acquistare con questo contributo, se approvato, e chi potrà farne domanda.

Bonus 1000 euro, cosa si potrà acquistare?

Come la Social Card, il bonus spesa da 1.000 euro è stato progettato per coprire spese essenziali, destinate principalmente all’acquisto di beni di prima necessità come alimenti, farmaci e altri prodotti indispensabili per la vita quotidiana. Il bonus sarà spendibile in punti vendita selezionati, quali supermercati, farmacie e altri esercizi commerciali convenzionati, per assicurarsi che i fondi vengano utilizzati solo per acquisti mirati e utili alla gestione del bilancio familiare.

Rispetto alla Social Card, questo nuovo incentivo offre una maggiore flessibilità in termini di importo. Tuttavia, è importante ricordare che si tratta di una misura mirata, con un bacino di beneficiari più ristretto e criteri di accesso ben definiti. I mille euro saranno distribuiti tenendo conto delle diverse condizioni economiche e sociali delle famiglie richiedenti, e l’erogazione sarà personalizzata in base alle necessità e alle caratteristiche economiche dichiarate dai richiedenti.

Chi può accedere al bonus

Per accedere al bonus spesa da 1.000 euro, il governo ha stabilito criteri molto rigidi tutti necessari, in modo da contenere la spesa pubblica prevista per questa misura:

Monoreddito: la famiglia deve essere sostenuta economicamente da una sola persona, ovvero deve avere un unico reddito;
Disoccupazione: almeno uno dei membri della famiglia deve essere disoccupato. Questo serve a identificare nuclei familiari che si trovano in una situazione di difficoltà lavorativa. Il primo requisito, da solo non basta: se solo un genitore lavora, ma l’altro non sta cercando attivamente lavoro (quindi è inattivo ma non disoccupato), non si potrà accedere al bonus;
Isee: il reddito complessivo della famiglia, misurato dall’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (Isee), non deve superare i 10.000 euro annui;
Minori a carico: la famiglia richiedente deve avere almeno un minore a carico;
Residenza in aree ad alta disoccupazione: un altro elemento fondamentale per accedere al bonus è la residenza in regioni caratterizzate da alti tassi di disoccupazione. Questo requisito mira a individuare una concreta mancanza di opportunità lavorative da cui deriva la difficoltà economica dei richiedenti.

Come fare domanda

Per ottenere il bonus spesa da 1.000 euro, sarà necessario presentare una domanda attiva. A differenza della Social Card, che viene assegnata in modo automatico, il bonus dovrà essere richiesto attraverso il sito dell’Inps dove l’utente dovrà accedere con SPID, CIE o CNS. Una volta effettuato l’accesso, sarà possibile compilare la domanda online, allegando tutta la documentazione necessaria per dimostrare di soddisfare i requisiti richiesti.

Il processo di domanda prevede l’invio di documenti che attestino la situazione economica e occupazionale del richiedente. Tra questi, l’Isee aggiornato e i certificati di disoccupazione per i membri della famiglia. Come sempre, chi non può o non riesce ad effettuale la procedura online, potrà come rivolgersi ai Caf e ai patronati per ricevere assistenza nella compilazione e nell’invio della domanda.

È importante ricordare che il bonus sarà erogato in base alle risorse stanziate, quindi è consigliabile presentare la domanda tempestivamente per assicurarsi di rientrare tra i beneficiari.

Quando arriverà il bonus spesa

Secondo le informazioni attualmente disponibili, il bonus spesa da 1.000 euro sarà attivato a partire da gennaio 2025, ma con una finestra temporale limitata. Il governo ha infatti previsto che la misura resterà attiva per un solo mese, da gennaio a febbraio 2025. Tuttavia, non è escluso che, in base alla situazione economica del Paese e alle necessità riscontrate, la misura possa essere prorogata o ampliata.

Una volta accolta la domanda, il bonus sarà erogato in diverse modalità. I beneficiari potranno scegliere di ricevere il denaro tramite:

Carta prepagata: una carta ricaricabile sulla quale verrà accreditato l’importo spettante, utilizzabile esclusivamente per acquistare beni di prima necessità nei negozi convenzionati;
Conto corrente bancario: il bonus potrà essere accreditato direttamente sul conto corrente del richiedente, garantendo una maggiore flessibilità d’uso;
Buoni digitali: un’opzione moderna che prevede l’erogazione del bonus sotto forma di buoni spendibili online, in esercizi commerciali che vendono prodotti compatibili con l’incentivo.

Bonus 1000 euro, cosa cambia rispetto alla Social Card

Anche se entrambe le misure puntano allo stesso obiettivo, il bonus spesa da 1.000 euro e la Social Card, denominata anche “Dedicata a Te”, sono molto diversi.

In primis, la Social Card ha un importo massimo di 500 euro ed è destinata a una platea più ampia di beneficiari. A differenza del bonus spesa previsto per il 2025, inoltre, è il proprio comune a mettersi in contatto per la consegna della Social Card, senza necessità di presentare una domanda formale purché si sia presentato l’Isee. Il bonus spesa da 1.000 euro, invece, richiede un’azione attiva da parte dei richiedenti, che devono presentare domanda tramite il portale Inps o ricevere supporto dai Caf. Inoltre, i requisiti per accedere al bonus spesa sono più stringenti, rendendolo accessibile a un gruppo più ristretto di beneficiari. La misura ha un importo doppio rispetto alla Carta Dedicata a Te, ma sarà disponibile per un periodo limitato di tempo, salva la possibilità di proroghe future da parte del governo.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Perché il Sistema Sanitario Nazionale non può più bastare:...

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Il Sistema Sanitario Nazionale non può dare tutto a tutti, sempre: il carico diventerebbe insostenibile, come in effetti già è adesso, tanto più in una società che invecchia. Ed è proprio qui che occorre cogliere l’opportunità non pienamente sfruttata della sanità integrativa e realizzare un sistema multi -pilastro. Parte da questo assunto Ivano Russo, presidente di ONWS, Osservatorio Nazionale Welfare & Salute, che l’Adnkronos ha sentito per fare chiarezza sul tema e sul perché il cosiddetto ‘secondo pilastro’ della sanità, quello che viene subito dopo il SSN, sia così importante nel mondo di oggi.

D: Innanzitutto, chiariamo: la sanità integrativa non è quella privata. Cos’è allora?

R: “Quando parliamo di sanità integrativa parliamo della sanità che discende dal welfare aziendale e cioè dalle scelte che le parti sociali compiono – all’atto della stipula o dei rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro – di destinare una quota della retribuzione al welfare aziendale. Quindi la scelta è assunta da parti datoriali e sindacati e per ognuna delle grandi categorie coinvolte – edili, artigiani, metalmeccanici, commercio, logistici, qualunque categoria – diventa un fondo che eroga prestazioni sanitarie ispirate ai principi di mutualismo e collettività”.

Il che significa che tutti i dipendenti che fanno capo a un determinato contratto hanno le stesse prestazioni e le stesse tutele che vengono erogate in base al piano sanitario previsto da quel contratto. Si tratta di una differenza sostanziale rispetto alle assicurazioni private, dove il singolo negozia per se stesso in base a fattori come la sua età e alle patologie pregresse, elementi che incidono sul peso del premio che dovrà pagare.

Nella sanità integrativa le assicurazioni invece sono uno degli strumenti, ma non è l’unico, insomma non sono la stessa cosa: “Non c’è una sovrapposizione concettuale tra la sanità integrativa e le assicurazioni”.

Il secondo Pilastro si inserisce nella crisi del sistema sanitario nazionale. Ma quali sono i nodi di questa crisi e come la sanità integrativa può contribuire quantomeno ad alleggerirne gli effetti?

In tutti i Paesi europei evoluti ci sono sistemi sanitari nazionali multi Pilastro, cioè il sistema sanitario nazionale, quello della sanità integrativa, la sanità privata pura – perché nessuno può vietare un cittadino che magari ha disponibilità di andarsi a fare una radiografia o una visita a pagamento dove vuole-, e poi c’è il settore intermediato assicurativo delle polizze individuali.

Il tema è che tutti questi quattro pilastri, che se governati e integrati dovrebbero dare risposta complessiva al bisogno di cure di un Paese, in Italia sono tutti autonomi, non comunicanti e non governati da un indirizzo strategico nazionale e soprattutto alcuni, come nel caso del secondo Pilastro, potrebbero crescere molto di più. Quando parlo di crescita non mi riferisco a risorse: il nostro è un settore di welfare sussidiario, nel senso che le aziende e i lavoratori mettono di tasca propria i soldi, piuttosto è un tema di avere un quadro regolatorio più certo. Se ci fosse un quadro regolatorio complessivo di tutte e quattro le funzioni, sicuramente il sistema sanitario nazionale nel suo insieme potrebbe essere molto più performante; invece non essendo così noi abbiamo praticamente la quasi totalità della domanda di salute che in primissima battuta si deve rivolgere per forza al Servizio Sanitario Nazionale. In Francia e in Germania, ad esempio, la sanità integrativa copre il 75% della popolazione, da noi il 24%, e quella è tutta una domanda di cura che invece di andare a rivolgersi ai fondi sanitari si riversa sulle strutture pubbliche”, mettendo sotto pressione l’intero sistema. “È un tema enorme, purtroppo sempre poco indagato”.

“Il problema principale del Sistema Sanitario è questo di carico, di domanda di cura legata anche al fatto che siamo la popolazione più anziana d’Europa e la seconda più anziana al mondo dopo il Giappone. Tutto questo ovviamente produce un’esigenza di sanità che è crescente e che si allaccia a temi come le pluri-patologie e le cronicità, perché l’anziano o il malato cronico tornano ciclicamente a fare cure e controlli.

Ecco allora che il lavoratore medio quaranta-cinquantenne mediamente sano che debba fare ad esempio la mappa di nei o un check up di controllo non la dovrebbe mai vedere una struttura pubblica perché tutte queste cose sono offerte dai piani sanitari di fondi contrattuali.

Se tu bilanci così puoi riorganizzare e razionalizzare la spesa. Invece oggi il sistema sanitario nazionale va per fatti suoi con le risorse scarse che ha rispetto alle esigenze di cure di un Paese che invecchia. Il secondo Pilastro è completamente sregolato, non c’è neanche un dato certo su quanti siano gli assistiti e quanti siano i fondi.

Attualmente, il Fondo Sanitario Nazionale cuba 134 miliardi di euro, poi ci sono 41 miliardi di euro di spesa out-of-pocket, cioè la spesa privata dei cittadini, che è la più alta d’Europa, poi abbiamo 25 miliardi di spesa socio-assistenziale che è parente stretta della spesa sanitaria, ad esempio l’infermiera che viene a casa dal parente anziano allettato, e poi altri 25 miliardi di spesa socio-assistenziale pubblica in generale, diciamo i cosiddetti assegni di invalidità o di accompagnamento. Tutta questa roba è quasi 210-220 miliardi: è chiaro che non se ne può fare carico solo uno Stato. Più si mette sul fondo sanitario nazionale più è meglio è per principio, però non è questa la risposta”.

La differenza rispetto agli altri Paesi che ha citato a cosa è dovuta?

“Sostanzialmente il welfare contrattuale è previsto per legge, il datore di lavoro non può non iscrivere il lavoratore a un fondo sanitario, ma non c’è alcun tipo di sanzione nel caso in cui le aziende non si adeguino. Questo è un vuoto normativo che andrebbe colmato: c’è circa il 50% di aziende che non lo fa, il che produce due danni. Il primo è che lascia fuori 8-9 milioni di lavoratori e rispettive famiglie che avrebbero diritto ad avere la copertura Sanitaria Integrativa e non ce l’hanno; secondo ingenera una concorrenza sleale tra le imprese perché ovviamente chi non paga ha meno costi. Invece in Francia questo problema non c’è, come non ci sono 120 miliardi all’anno di evasione fiscale, è un concetto più generale di etica pubblica e rispetto delle norme”.

Questo problema riguarda in generale anche chi lavora a nero.

“Chi lavora in nero ha un problema a 360 gradi, non ha contributi, non paga le tasse, è un disastro, però cominciamo da chi non lavora a nero. Noi abbiamo 16 milioni di lavoratori dell’industria privata che non lavorano a nero e sono articolati più o meno in un’ottantina di grandi contratti collettivi nazionali: tutti questi hanno la sanità integrativa”.

Oltre alla differenze con gli altri Paesi, l’Italia ha anche differenze regionali.

Infatti due terzi dell’elusione contributiva che dicevo è delle imprese del Mezzogiorno.

E su questo cosa può fare la sanità integrativa?

“La norma di contrasto dell’elusione serve per tutti, purtroppo più le imprese sono piccole e destrutturate, per capirci meno sono sindacalizzate, meno hanno gli uffici HR, più dinamiche comunque complesse come queste del welfare contrattuale sono in affanno. Siccome nel Centro Sud il tessuto industriale tranne la grande industria di Stato è quasi tutto così, è chiaro che lì si addensa la maggior parte dell’elusione. Noi come osservatorio Nazionale Welfare & Salute abbiamo presentato una proposta di legge che prevede di spostare l’esigibilità del diritto dal lavoratore al fondo di categoria. Ovviamente è difficile trovare un lavoratore che denuncia il suo datore di lavoro, rischiando di perdere il posto, perché non è iscritto al fondo sanitario. Se invece questa esigibilità fosse quantomeno cointestata anche al fondo di categoria, sarebbe diverso perché il fondo può rivolgersi alle aziende che non risultano iscritte mettendole in mora. Come sempre le soluzioni sono molto più semplici di quanto non appaiano”.

Diceva che Primo e Secondo pilastro sono scollegati. Cosa manca per avere una reale integrazione?

“Manca tutto: sono due pilastri assolutamente non comunicanti tra loro: il Servizio Sanitario Nazionale non sa che prestazioni offrono i fondi sanitari, a quante persone ogni anno, in che parte d’Italia perché ovviamente non c’è nessun vincolo di comunicazione da parte della sanità integrativa, ma non c’è nemmeno un ufficio che ad oggi accoglierebbe queste informazioni. Tra l’altro avendo un sistema nazionale essenzialmente regionalizzato, si fa anche fatica ad ottenere dati nazionali. Ad esempio non esiste un nomenclatore unico: ogni regione ha il suo e ovviamente idem nel privato. Ma se vuoi creare comunicazione tra primo e secondo Pilastro l’elemento di base è avere un’interpretazione univoca della raccolta dei dati, quindi è indispensabile avere un nomenclatore unico nazionale”.

Quali altre priorità chiederebbe al governo?

“La lotta all’elusione, perché non è possibile avere 9 milioni di italiani e rispettive famiglie senza la sanità integrativa che pur spetta loro. Poi secondo me andrebbero modificati gli ambiti operativi: il secondo Pilastro per essere veramente il più possibile integrativo deve partire dalle esigenze del primo: se lo Stato dicesse alla sanità integrativa ‘Per i prossimi tre anni concentrati sugli interventi ambulatoriali, le visite specialistiche e gli extra Lea’, uno potrebbe immaginare che i vari piani sanitari si adeguino a questa esigenza, altrimenti continuiamo a ragionare inutilmente se sia integrativo, sostitutivo, complementare, se debba fare più extra Lea e non Lea, o più Lea”.

Tra l’altro lei chiedeva a giugno l’introduzione della sanità integrativa nella razionalizzazione delle liste d’attesa, poi il governo ha approvato un decreto per il loro abbattimento che non contiene nulla sulla sanità integrativa.

“Anche qui a me pare singolare: abbiamo un problema di eccessivo sovraffollamento di richieste di sanità da parte dei cittadini sul pubblico e io ti dico che potrei servire 45 milioni di Italiani e non 16 facendo per esempio il contrasto all’elusione, e altre proposte… ma se non ora quando? È proprio questo il tema: che troppi cittadini si rivolgono alle strutture pubbliche. Poi ci sono tanti altri temi: la mancanza di personale, i bassi salari, le scarse tutele. In Italia non c’è una carenza di medici, è che nel pubblico non ci vuole lavorare più nessuno”.

Questo governo, secondo lei, fa orecchie da mercante oppure lo trova più pronto a cambiare qualcosa?

“Io sono fiducioso nel senso che è un governo che non ha un pregiudizio ideologico, a differenza di alcune forze politiche che considerano qualsiasi cosa appartenga alla sfera non pubblica come quasi sataniche o da respingere: questo governo invece può avere un approccio un po’ più laico. Dopo di che paradossalmente mentre dico questo dico che l’esigenza del settore è avere più governance, più strategia, più visione nazionale. Ci vorrebbe più Stato ma in forma giusta, che organizzi i quattro pilastri; invece, non riesce a organizzare nemmeno il suo.

Nel Piano strutturale di bilancio presentato dal ministro Giorgetti ci sarebbe una riforma della sanità integrativa; quali sono i punti di questa riforma?

“Non ne ho la più pallida idea. Non ne sappiamo nulla. C’è invece un lavoro importante fatto dal presidente Zaffini in commissione sanità del Senato che ha fatto un lungo ciclo di audizioni che si sta completando proprio in questi giorni dove sono state sentite tutte le parti sociali, sindacali, associazioni. Siamo stati auditi anche noi e ha partecipato la ministra del Lavoro Marina Calderone.
Lì sono emerse tante proposte interessanti sulla riforma degli ambiti operativi, sul contrasto all’elusione, sulla vigilanza, su come coinvolgere Agenas. Speriamo che il governo ne tenga conto perché veramente è stato fatto un lavoro considerevole e sarebbe un peccato sprecarlo”.

Tra l’altro Calderone diceva anche che sarebbe necessaria una campagna di informazione su questi temi. Naturalmente immagino che sia d’accordo visto che questo è anche uno degli obiettivi dell’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute.

“Assolutamente: dobbiamo far passare un messaggio, perché purtroppo la gente confonde la sanità integrativa con la sanità privata. Mentre invece per noi è completamente indifferente che l’erogatore delle prestazioni sia il pubblico o il privato, l’importante è che i lavoratori abbiano le prestazioni. La sanità integrativa è la sanità dei lavoratori, cioè la sanità di 16 milioni di persone che guadagnano 1400-1600 euro e che con una media di 198 euro all’anno di versamenti da parte dell’azienda, il costo dell’abbonamento di Netflix, hanno protezione sanitaria con un tetto di prestazione media di 5-6 mila euro: questa è una cosa enorme, è salario reale vero.

Secondo me la campagna innanzitutto dovrebbe rendere i lavoratori più consapevoli dei propri diritti perché tante volte la fruizione dei piani sanitari è veramente bassa: il 25-35%. Tranne nei casi di collettività di lavoro molto molto giovani è probabile che il piano non venga utilizzato non perché non ce ne sia bisogno ma perché non lo si conosce, e quindi c’è bisogno eccome di una campagna di sensibilizzazione”.

Parlando di prestazioni, c’è un controllo sulla qualità di quanto viene erogato tramite sanità integrativa, come avviene nel pubblico?

Non c’è un ente di vigilanza nazionale sulla sanità integrativa, purtroppo”. Ma “dovrebbe assolutamente esserci, ovviamente deve essere costruito bene non deve essere come dire un’attività poliziesca. Perché non bisogna avere un approccio negativo a prescindere nei confronti del settore, ma comunque andrebbero fissati anche dei requisiti minimi a livello nazionale in relazione ai piani sanitari e avere vigilanza, per esempio sul tema della cosiddetta appropriatezza delle cure”.

A questo proposito, la sanità integrativa può aiutare il problema delle liste d’attesa oppure potrebbe rischiare piuttosto di alimentarlo?

“Potrebbe in teoria alimentarlo, ma tutti i fondi sanitari prevedono che tu possa accedere alla prestazione solo su prescrizione medica; quindi, ovviamente se un medico ti prescrive un accertamento inutile il problema è il medico e non la clinica che te lo fa. Quello dell’appropriatezza della cura è un tema generale per via della medicina difensiva” la cui soluzione andrebbe approcciata “innanzitutto eliminando tutto questo aggravio di reati penali in capo ai medici”.

Quali sono i nuovi bisogni di welfare che sono emersi, principalmente, dopo il covid?

“Tutto quello che è check up e prevenzione durante il covid è stato accantonato, per cui sicuramente c’è un’esigenza molto molto forte di recuperarlo. Qualunque sistema sanitario maturo ed evoluto in tutto il mondo è fondato sulla prevenzione, che riduce la probabilità di malattie, soprattutto quelle cardiovascolari, e di conseguenza a regime diminuisce i costi per il Servizio Sanitario Nazionale. Poi le solite prestazioni, quelle che SSN ha più difficoltà a fornire, a cominciare dalla specialistica e dall’alta diagnostica.

Poi ci sono tutti gli extra Lea, cioè tutte quelle prestazioni che il SSN non prevede – fisioterapia, mental coach, psicoterapia, fino all’odontoiatria. Se non c’è la possibilità da parte dei lavoratori di poter avere una fonte alternativa, questa diventa tutta spesa privata secca che grava solo sulle tasche dei cittadini”.

Parlando di stili di vita più sani, anche questi possono rientrare in qualche modo nella sfera d’azione della sanità integrativa?

“Questo è un pezzo fondamentale, soprattutto su collettività giovani: tutti i dati ci dicono che di fronte ad una corretta alimentazione, a un corretto sonno e ad un’adeguata attività fisica tutta una serie di patologie, soprattutto quelle che poi hanno risvolti di cronicizzazione, quindi quelle più impattanti sia per la vita di un cittadino che per le casse dello Stato, hanno una riduzione molto significativa. Quindi su questo lo Stato e i fondi di sanità integrativa dovrebbero investire molto, soprattutto dove ci sono collettività giovani in modo da abbattere quelli che poi saranno i costi di cura di una persona di 60-65 anni”.

Come si svolgerebbe il ruolo della sanità integrativa nella promozione dello stile di vita sano?

“La sanità integrativa oggi eroga molte prestazioni al riguardo, ad esempio piattaforme digitali che ti accompagnano dal punto di vista della gestione dell’alimentazione o del movimento, l’educazione alimentare, le attività di monitoraggio contro l’abuso di alcol che tra l’altro è un fenomeno dilagante fin dai 12-13 anni: anche su questo si possono mixare campagne di prevenzione con vere e proprie prestazioni”.

Un’ultima domanda: la sanità integrativa quindi è il futuro della sanità?

“Sicuramente a regime io vedo un futuro dove il cosiddetto day by day sanitario, dalla mappa dei nei a un’ecografia alla radiografia perché mi sono slogato il polso giocando a calcetto, più tutto un pezzo di extra Lea, fisioterapia, eccetera, è completamente sparito dall’orizzonte dell’impatto sul pubblico. Io vedo grandi ospedali dedicati innanzitutto agli indigenti perché non dimentichiamo che c’è anche una popolazione di non lavoratori, anziani, quiescenti, disoccupati. L’articolo 32 della Costituzione dice che ‘la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti’. Non a tutti quanti, perché è immaginabile poter dare tutto a tutti sempre.

Quindi io comincerei a far concentrare il sistema sanitario nazionale sugli indigenti o su chi non ha altre opportunità e poi immagino che attraverso l’utilizzo maggiore e più strutturato della sanità integrativa si possa magari andare a recuperare un po’ di risorse che consentono agli ospedali di modernizzare i macchinari, di investire sulla ricerca. Penso alle grandi eccellenze.

Nessuno di noi si sognerebbe di farsi un’operazione a cuore aperto o un trapianto di fegato in una clinica privata, quindi ci sono anche tutta una serie di grandi interventi chirurgici e altro che non possono che essere fatti in ambito di sanità pubblica, ma il day by day sanitari quotidiano medio di una persona sana secondo me a regime in un Paese che invecchia non potrà più gravare sulle strutture pubbliche.

Non si rischia un po’ di andare verso un modello tipo Stati Uniti?

No, perché lì non esiste proprio il concetto di collettività, lì c’è ogni cittadino che si assicura. Quando un cittadino si assicura negozia in cambio di un premio il suo piano sanitario. Un’assicurazione di medio alta copertura per un cittadino medio di 45/50 anni costa intorno ai 1500-1800 euro all’anno- se ti porti dentro il nucleo familiare anche 3000 euro. E il piano sanitario tuo è solo tuo. Qui invece stiamo parlando di milioni e milioni di Italiani che hanno tutti lo stesso diritto alle cure, lo stesso piano sanitario, le stesse prestazioni, pagando non loro ma i loro datori di lavoro e non 1800 euro ma 190 euro all’anno. Il sistema americano è proprio un altro film”.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Tutti i bonus della terza età nel 2024

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Meta description: Tutti i bonus e le agevolazioni per gli anziani nel 2024, tra cui assistenza economica, esenzioni sanitarie e sconti sui trasporti

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Nel 2024, le persone over 60 anni in Italia possono accedere a una varietà di bonus e agevolazioni, pensati per migliorare la qualità della vita e sostenere le spese quotidiane, come ricorda l’ANAP, l’Associazione Nazionale Anziani e Pensionati costituita all’interno della Confartigianato. Queste misure, che spaziano da sconti sui trasporti pubblici a esenzioni sanitarie e contributi economici, rappresentano un importante supporto per una fascia della popolazione che spesso affronta sfide economiche e sociali.

Assegno di inclusione

L’assegno di inclusione è una misura chiave per i nuclei familiari con persone anziane. Questa prestazione, che sostituisce il Reddito di Cittadinanza, offre un supporto economico per integrare il reddito fino a 780 euro al mese. La suddivisione dell’importo prevede:

500 euro destinati al reddito.
280 euro per le spese di affitto.

Per accedere a questo bonus, le famiglie devono presentare un ISEE non superiore a 9.360 euro e un reddito annuale sotto i 6.000 euro.

Esenzione ticket sanitario

Per gli over 65, l’esenzione dal ticket sanitario rappresenta un’importante opportunità per ridurre le spese mediche. I requisiti per ottenere questo beneficio includono un reddito familiare non superiore a 36.151,98 euro. Questa esenzione copre:

visite mediche specialistiche;
esami diagnostici;
acquisto di farmaci.

In aggiunta, l’esenzione si estende anche al ticket del pronto soccorso in situazioni non gravi, permettendo così agli anziani di ricevere cure tempestive senza preoccupazioni economiche.

Carta acquisti

Per i cittadini over 65 con un ISEE inferiore a 6.788,61 euro, è disponibile la Carta Acquisti, che prevede una ricarica bimestrale di 80 euro. Questi fondi possono essere utilizzati per l’acquisto di beni di prima necessità, farmaci e per il pagamento delle bollette elettriche e del gas. La richiesta della Carta è completamente gratuita e può essere effettuata presso gli uffici postali o sul sito del Ministero dell’Economia.

Sconti su viaggi e trasporti

Per favorire la mobilità degli over 60, sono previsti sconti sugli abbonamenti ai trasporti pubblici locali. Ogni regione ha le proprie normative, rendendo necessario contattare le compagnie locali per informazioni dettagliate. Anche le ferrovie nazionali come Trenitalia e Italo offrono tariffe agevolate per i viaggi in treno, contribuendo così a garantire un accesso più ampio ai trasporti.

Esenzione dal canone Rai

Chi ha superato i 75 anni e ha un reddito familiare inferiore a 8.000 euro ha diritto all’esenzione dal pagamento del canone Rai. Per ottenere questo beneficio, è necessario presentare una domanda, che verrà poi rinnovata automaticamente ogni anno, a meno di variazioni nelle condizioni economiche.

Sconto sui bollettini postali

Gli over 70 possono anche usufruire di uno sconto sui bollettini postali, pagando solo 1 euro invece dei consueti 2 euro. Questa agevolazione si applica esclusivamente ai pagamenti effettuati presso gli sportelli fisici delle Poste Italiane, ma rappresenta un risparmio significativo per le spese quotidiane.

Incentivi per badanti

Per le famiglie che assistono anziani non autosufficienti di età superiore agli 80 anni, il Governo ha introdotto un incentivo per l’assunzione di badanti a tempo indeterminato. Questo incentivo prevede un esonero totale dai contributi previdenziali e assicurativi per un massimo di due anni, fino a 3.000 euro all’anno. I requisiti comprendono un ISEE non superiore a 6.000 euro e la condizione che l’anziano assistito sia già beneficiario dell’indennità di accompagnamento.

Assistenza Universale

Infine, l’indennità anziani o assegno universale per anziani non autosufficienti rappresenta una nuova misura di sostegno, rivolta agli ultraottantenni affetti da gravi condizioni di salute. Questa indennità, che sarà attuata in fase sperimentale nel biennio 2025/2026, prevede un contributo mensile di 850 euro, che si somma all’assegno di accompagnamento, per un totale di 1.380 euro mensili.

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TikToker risponde agli hater: “Non sono incinta, ho solo...

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“Non sono incinta, ho solo l’endometriosi”. Si difende così Nikki Lou, tiktoker americana che sui social risponde quotidianamente agli hater sensibilizzando sul tema della salute femminile e delle conseguenze che questa patologia, l’endometriosi, ha sul corpo delle donne.

Gonfiore al basso ventre, dolore perenne, rapporti sessuali fastidiosi: sono questi alcuni dei sintomi più ricorrenti che colpiscono milioni di donne al mondo. In Italia, ad esempio, si stima che siano circa tre milioni le donne che si sono rivolte ad un medico specializzato e che hanno ricevuto una diagnosi di endometriosi. Ma qual è l’impatto che questa patologia ha sul corpo delle donne e perché è importante parlarne?

Endometriosi: l’importanza di parlarne

Nikki Lou si mostra sui propri profili social evidenziando come il suo corpo sia oggetto di scherno o riceva continue “domande inopportune” solo perché affetta da endometriosi. Una delle più diffuse è “Sei incinta?”. Il gonfiore addominale, infatti, rappresenta uno dei sintomi più evidenti dell’endometriosi e dell’ovaio policistico. Chiedere ad una donna se sia in dolce attesa solo perché “gonfia, è inopportuno. Basta, non sono incinta! Ho solo l’endometriosi!”, ha spiegato ai suoi hater la tiktoker.

La verità è che di questa patologia se ne parla ancora molto poco, ma anche grazie a giovani influencer è stato possibile condividere e sensibilizzare su questo tema: il corpo cambia dinanzi a diverse patologie e non sempre possiamo farci molto.

Lo ha ribadito più volte anche l’influencer e attivista italiana Giorgia Soleri, ex concorrente di Pechino Express, nota ai più come la ex fidanzata del frontman della band ‘Maneskin’ Damiano David. Giorgia Soleri, come Nikki Lou, si è espressa diverse volte sui social, a mezzo stampa e in tv, sul tema dell’endometriosi chiarendo che, una diagnosi precoce può salvare la serenità mentale, ma che il fastidio che persiste, alla fine, è solo quello di chi commenta in modo inopportuno sui social questo tipo di patologia.

Ma la sfida è proprio lì: accettare il proprio corpo che cambia, capire le cause di quei cambiamenti e affrontarle, che siano psicologiche o fisiche, è solo ascoltando cosa il proprio fisico trasmette alla mente che ci si può prendere cura di entrambi.

La tiktoker Nikki ha raggiunto più di 2milioni di visualizzazioni con i suoi video nei quali piangendo si rivolge ai propri follower: “Lasciate stare le challange per dimagrire, solo i medici vi possono dire come prendervi cura del vostro corpo. A chi mi chiede come si chiamerà il bambino – ironizza – rispondo ‘ovaio policistico’”. Ma cos’è l’endometriosi? E come si guarisce?

Cos’è l’endometriosi: diagnosi, sintomi e cura

L’endometriosi è una patologia ginecologica in cui il tessuto simile a quello dell’endometrio, il rivestimento interno dell’utero, cresce al di fuori dell’utero stesso.

Questo tessuto si può sviluppare sulle ovaie, sulle tube di Falloppio e nel tessuto pelvico, causando infiammazione, dolore e, in alcuni casi, difficoltà nel concepire. I sintomi più comuni includono:
• Dolore pelvico, spesso intenso
• Cicli mestruali irregolari o abbondanti
• Dolore durante i rapporti sessuali
• Problemi gastrointestinali, come diarrea o costipazione
• Fatica e stanchezza costante

La diagnosi di endometriosi può essere complessa e richiede generalmente esami pelvici, ecografie, risonanza magnetica o laparoscopia, un intervento chirurgico minore per visualizzare e rimuovere il tessuto endometriosico.

Si stima che la popolazione femminile affetta da endometriosi sia di circa il 10% delle donne in Europa. In Italia la stima riguarda quasi tre milioni di donne.

La diagnosi può essere spesso molto difficile da ricevere. Le pazienti affette tendono a sottostimare i sintomi prolungando nel tempo lo sviluppo di questa patologia. In altri casi, invece, non tutti i medici riescono a risalire alla causa di quegli stessi sintomi. Ma più in generale, una diagnosi inizia con una visita ginecologica, dove il medico discute i sintomi e la storia clinica. Possono essere richiesti esami di imaging, come ecografie o risonanze magnetiche, per identificare eventuali cisti o anomalie. In alcuni casi, si procede con una laparoscopia, un intervento chirurgico minore che consente di visualizzare direttamente gli organi pelvici e prelevare campioni di tessuto. Un’eventuale biopsia conferma la presenza di tessuto endometriosico.

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L’importanza di parlarne con uno specialista e raccontare la patologia

Cercando “endometriosis” sui social si può costatare quanto il tema sia più frequente e virale di quello che si pensa. Un’analisi dei contenuti su Instagram ad opera del Multidisciplinary Digital Publishing Institute di Basilea, in Svizzera, ha mostrato che le informazioni sull’endometriosi variano in accuratezza, e non sempre sono basate su prove scientifiche. Alcune categorie di video sono dominate da informazioni inaccurate, creando un effetto che può influenzare negativamente le decisioni sanitarie.
“Le affermazioni contrastanti sono comuni, specialmente in aree complesse come la fisiopatologia e l’epidemiologia, dove le informazioni possono essere facilmente mal interpretate”, spiegano i ricercatori. Raccogliendo i contenuti online su Instagram di 515 post pubblicati tra febbraio 2022 e aprile 2022 si è potuto riscontrare quanto il fenomeno di divulgazione scientifica sia diffuso, ma che altrettanto ampio è lo spettro dei rischi che ne consegue: solo il 50% dei contenuti online riportava dati scientifici concreti.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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