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Bonus 1000 euro, a chi spetta e cosa cambia dalla Social Card

Il governo sta pensando a un bonus spesa da 1.000 euro per il 2025. Questa misura fa parte di una serie di iniziative con cui l’esecutivo mira a sostenere le famiglie italiane in difficoltà economica, ampliando la gamma di aiuti presenti. Rispetto alla Social Card, il bonus da 1.000 euro raddoppia il tetto del beneficio economico, ma presenta requisiti più stringenti. Il bonus potrebbe essere inserito in Manovra, ma il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha spiegato che non c’è ancora nulla di definitivo.

Ecco cosa si potrà acquistare con questo contributo, se approvato, e chi potrà farne domanda.

Bonus 1000 euro, cosa si potrà acquistare?

Come la Social Card, il bonus spesa da 1.000 euro è stato progettato per coprire spese essenziali, destinate principalmente all’acquisto di beni di prima necessità come alimenti, farmaci e altri prodotti indispensabili per la vita quotidiana. Il bonus sarà spendibile in punti vendita selezionati, quali supermercati, farmacie e altri esercizi commerciali convenzionati, per assicurarsi che i fondi vengano utilizzati solo per acquisti mirati e utili alla gestione del bilancio familiare.

Rispetto alla Social Card, questo nuovo incentivo offre una maggiore flessibilità in termini di importo. Tuttavia, è importante ricordare che si tratta di una misura mirata, con un bacino di beneficiari più ristretto e criteri di accesso ben definiti. I mille euro saranno distribuiti tenendo conto delle diverse condizioni economiche e sociali delle famiglie richiedenti, e l’erogazione sarà personalizzata in base alle necessità e alle caratteristiche economiche dichiarate dai richiedenti.

Chi può accedere al bonus

Per accedere al bonus spesa da 1.000 euro, il governo ha stabilito criteri molto rigidi tutti necessari, in modo da contenere la spesa pubblica prevista per questa misura:

Monoreddito: la famiglia deve essere sostenuta economicamente da una sola persona, ovvero deve avere un unico reddito;
Disoccupazione: almeno uno dei membri della famiglia deve essere disoccupato. Questo serve a identificare nuclei familiari che si trovano in una situazione di difficoltà lavorativa. Il primo requisito, da solo non basta: se solo un genitore lavora, ma l’altro non sta cercando attivamente lavoro (quindi è inattivo ma non disoccupato), non si potrà accedere al bonus;
Isee: il reddito complessivo della famiglia, misurato dall’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (Isee), non deve superare i 10.000 euro annui;
Minori a carico: la famiglia richiedente deve avere almeno un minore a carico;
Residenza in aree ad alta disoccupazione: un altro elemento fondamentale per accedere al bonus è la residenza in regioni caratterizzate da alti tassi di disoccupazione. Questo requisito mira a individuare una concreta mancanza di opportunità lavorative da cui deriva la difficoltà economica dei richiedenti.

Come fare domanda

Per ottenere il bonus spesa da 1.000 euro, sarà necessario presentare una domanda attiva. A differenza della Social Card, che viene assegnata in modo automatico, il bonus dovrà essere richiesto attraverso il sito dell’Inps dove l’utente dovrà accedere con SPID, CIE o CNS. Una volta effettuato l’accesso, sarà possibile compilare la domanda online, allegando tutta la documentazione necessaria per dimostrare di soddisfare i requisiti richiesti.

Il processo di domanda prevede l’invio di documenti che attestino la situazione economica e occupazionale del richiedente. Tra questi, l’Isee aggiornato e i certificati di disoccupazione per i membri della famiglia. Come sempre, chi non può o non riesce ad effettuale la procedura online, potrà come rivolgersi ai Caf e ai patronati per ricevere assistenza nella compilazione e nell’invio della domanda.

È importante ricordare che il bonus sarà erogato in base alle risorse stanziate, quindi è consigliabile presentare la domanda tempestivamente per assicurarsi di rientrare tra i beneficiari.

Quando arriverà il bonus spesa

Secondo le informazioni attualmente disponibili, il bonus spesa da 1.000 euro sarà attivato a partire da gennaio 2025, ma con una finestra temporale limitata. Il governo ha infatti previsto che la misura resterà attiva per un solo mese, da gennaio a febbraio 2025. Tuttavia, non è escluso che, in base alla situazione economica del Paese e alle necessità riscontrate, la misura possa essere prorogata o ampliata.

Una volta accolta la domanda, il bonus sarà erogato in diverse modalità. I beneficiari potranno scegliere di ricevere il denaro tramite:

Carta prepagata: una carta ricaricabile sulla quale verrà accreditato l’importo spettante, utilizzabile esclusivamente per acquistare beni di prima necessità nei negozi convenzionati;
Conto corrente bancario: il bonus potrà essere accreditato direttamente sul conto corrente del richiedente, garantendo una maggiore flessibilità d’uso;
Buoni digitali: un’opzione moderna che prevede l’erogazione del bonus sotto forma di buoni spendibili online, in esercizi commerciali che vendono prodotti compatibili con l’incentivo.

Bonus 1000 euro, cosa cambia rispetto alla Social Card

Anche se entrambe le misure puntano allo stesso obiettivo, il bonus spesa da 1.000 euro e la Social Card, denominata anche “Dedicata a Te”, sono molto diversi.

In primis, la Social Card ha un importo massimo di 500 euro ed è destinata a una platea più ampia di beneficiari. A differenza del bonus spesa previsto per il 2025, inoltre, è il proprio comune a mettersi in contatto per la consegna della Social Card, senza necessità di presentare una domanda formale purché si sia presentato l’Isee. Il bonus spesa da 1.000 euro, invece, richiede un’azione attiva da parte dei richiedenti, che devono presentare domanda tramite il portale Inps o ricevere supporto dai Caf. Inoltre, i requisiti per accedere al bonus spesa sono più stringenti, rendendolo accessibile a un gruppo più ristretto di beneficiari. La misura ha un importo doppio rispetto alla Carta Dedicata a Te, ma sarà disponibile per un periodo limitato di tempo, salva la possibilità di proroghe future da parte del governo.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Più uguaglianza nella scuola di domani?

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Nella giornata di oggi, insegnanti e personale scolastico in tutta Italia hanno deciso di incrociare le braccia per un’intera giornata, uno sciopero generale che segna una presa di posizione decisa per “un contratto giusto e un lavoro stabile”. Questa mobilitazione non rappresenta unicamente una richiesta di maggiori tutele e risorse per il personale scolastico, ma anche e soprattutto un grido d’allarme per il futuro della scuola italiana. In questo contesto, il recente report del think tank Tortuga “La scuola del 2124: un motore di uguaglianza”, diventa una guida preziosa per immaginare come potrebbe evolvere il sistema educativo nei prossimi cento anni. Il documento non si limita a proposte superficiali ma affonda nelle radici storiche della scuola italiana, mettendo in evidenza come l’attuale struttura derivi ancora dall’impronta della Riforma Gentile, promulgata ormai un secolo fa, e che questa continui a perpetuare le disuguaglianze anziché superarle.

Giovanni Gentile, Ministro della Pubblica Istruzione del governo fascista negli anni ’20, concepì una riforma che fosse al tempo stesso elitaria e funzionale a una società autoritaria e fortemente gerarchizzata. Questo modello educativo stratificato, che divide la scuola secondaria in licei, istituti tecnici e professionali, è rimasto sostanzialmente invariato nei decenni successivi. L’accesso ai licei, spesso visti come percorsi privilegiati per l’università e le carriere più ambite, è limitato da criteri impliciti che, sebbene non dichiarati, selezionano spesso in base al contesto familiare e socioeconomico. Allo stesso modo, gli istituti tecnici e professionali, pur avendo un valore formativo indiscutibile, rappresentano per molti studenti un’alternativa meno prestigiosa e, in alcuni casi, un vicolo cieco che offre poche opportunità di mobilità sociale. Il report di Tortuga denuncia apertamente come questo sistema, nel tempo, abbia consolidato una disuguaglianza strutturale e socioeconomica che continua a penalizzare le fasce più deboli della popolazione, perpetuando un modello di istruzione rigido e ingiusto.

Verso una scuola inclusiva e flessibile

Il report di Tortuga propone un’immagine della scuola del 2124 che si allontana radicalmente dai modelli attuali. Al centro del cambiamento vi è un principio cardine: la scuola deve essere un luogo di pari opportunità per tutti, indipendentemente dalle origini sociali o economiche. Una delle proposte più innovative e audaci è il superamento dell’attuale sistema di “tracking” – ovvero la suddivisione precoce tra indirizzi liceali, tecnici e professionali – che secondo Tortuga dovrebbe essere sostituito da un percorso unificato almeno fino ai 16 anni, momento in cui gli studenti, più consapevoli delle proprie inclinazioni, possano scegliere un indirizzo con maggiore cognizione di causa. In questo nuovo modello, l’integrazione tra percorsi diversi dovrebbe essere massimizzata, permettendo una maggiore flessibilità e un continuo passaggio tra i vari indirizzi senza penalizzazioni. Questo approccio, che si ispira a modelli di educazione più aperti come quelli del nord Europa, mira a creare una scuola dove ogni studente possa sviluppare le proprie potenzialità senza essere costretto in un percorso che non gli appartiene o che non rispecchia le sue aspirazioni.

Un altro aspetto centrale nel documento è la creazione di ambienti scolastici che superino il tradizionale modello di aula e orario rigido. La scuola del 2124 immaginata da Tortuga è una realtà che si integra nel tessuto sociale e territoriale, un luogo di aggregazione non solo per gli studenti, ma anche per le famiglie e le comunità locali. Secondo Tortuga, le scuole dovrebbero essere aperte anche al di fuori dell’orario curricolare, offrendo spazi per il supporto allo studio, attività extra-scolastiche, laboratori di innovazione e momenti di confronto su temi di cittadinanza attiva e inclusiva. Questo modello di scuola “aperta” non è solo un elemento di modernizzazione, ma un vero e proprio strumento per combattere la dispersione scolastica e ridurre il divario culturale ed economico che caratterizza ancora molte aree del paese. Un’infrastruttura scolastica di questo tipo, più flessibile e multifunzionale, potrebbe rappresentare una risorsa strategica per contrastare le disuguaglianze geografiche e sociali, offrendo a tutti i cittadini un accesso continuativo alla conoscenza e alla cultura.

Formazione continua e valorizzazione degli insegnanti

Un altro capitolo importante del report riguarda la figura dei docenti e il loro percorso formativo. Nel modello immaginato per il 2124, gli insegnanti non sono semplici erogatori di contenuti, ma veri e propri facilitatori di apprendimento, dotati di una formazione pedagogica continua e avanzata. La formazione dei docenti, secondo Tortuga, dovrebbe includere competenze trasversali e didattiche che vadano ben oltre le nozioni delle singole discipline, con un focus particolare su metodologie inclusive e sull’uso delle nuove tecnologie. Questo approccio multidisciplinare richiederebbe un sistema di formazione iniziale molto più solido e coerente, in cui gli insegnanti vengano preparati non solo sulla materia che insegneranno, ma anche sui metodi più efficaci per trasmetterla in modo coinvolgente e inclusivo. Nel report si evidenzia come, nel contesto attuale, la frammentazione e la precarietà della carriera docente rappresentino un ostacolo significativo alla qualità dell’istruzione; al contrario, un sistema educativo del futuro dovrebbe garantire percorsi di carriera chiari e remunerativi, con possibilità di avanzamento basate sulle competenze e sui risultati ottenuti.

Per raggiungere questo obiettivo, Tortuga suggerisce di riformare la struttura salariale dei docenti, portandola in linea con quella dei paesi più avanzati. Attualmente, infatti, gli insegnanti italiani sono tra i meno pagati d’Europa, una situazione che non solo riduce l’attrattiva della professione, ma contribuisce anche a una selezione meno qualificata e motivata. Un salario competitivo e una prospettiva di carriera chiara e meritocratica permetterebbero di attrarre nel mondo dell’istruzione professionisti di talento, capaci di adattarsi alle sfide del futuro. A lungo termine, il valore di una classe docente formata e ben supportata potrebbe tradursi in un effetto moltiplicatore sulla qualità dell’intero sistema educativo, con benefici tangibili non solo per gli studenti, ma per la società nel suo complesso.

Scuola e comunità: una rete di sostegno reciproco

Un’altra area di trasformazione, secondo Tortuga, riguarda il ruolo della scuola come punto di riferimento per il territorio e le comunità locali. In questo modello, la scuola del futuro non è solo un luogo di apprendimento ma diventa un centro di innovazione e di partecipazione attiva per tutti i cittadini, in cui le famiglie e le istituzioni locali sono coinvolte direttamente nella gestione e nell’organizzazione delle attività. Questo approccio mira a creare una vera e propria “rete educativa” che superi i confini scolastici e si estenda al contesto sociale più ampio, favorendo l’inclusione e la coesione. Tra le proposte, spicca quella di incentivare le esperienze di volontariato e di cittadinanza attiva per gli studenti, che potrebbero così acquisire competenze non solo accademiche ma anche sociali e civiche. Questo legame tra scuola e territorio potrebbe inoltre fungere da strumento di prevenzione contro fenomeni come la dispersione scolastica e il disagio giovanile, fenomeni che affliggono soprattutto le periferie e le aree meno servite dai servizi pubblici.

In sintesi, il report di Tortuga propone una visione della scuola del 2124 che non si limita a rispondere alle necessità didattiche, ma che si configura come un vero e proprio pilastro sociale, capace di includere, valorizzare e unire. In un mondo sempre più complesso e globalizzato, una scuola che sappia adattarsi e integrarsi con le dinamiche territoriali diventa un fattore fondamentale per garantire una coesione sociale solida e duratura, un obiettivo che la mobilitazione di oggi sottolinea con forza. Lo sciopero generale dei lavoratori della scuola, infatti, non è solo una protesta per i diritti dei lavoratori ma è anche una richiesta urgente per un cambiamento radicale che parta dal basso, dagli insegnanti, dagli studenti e dalle comunità locali, e che sia capace di trasformare la scuola italiana in un autentico motore di uguaglianza.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Come proteggere i bambini dai malanni invernali: guida...

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L’autunno sta ormai per cedere il passo all’inverno, e con esso le temperature più miti si trasformeranno in un freddo pungente. Il passaggio da una stagione all’altra porta con sé non solo il cambiamento del paesaggio e l’arrivo di profumi tipici come quello delle castagne arrostite, ma anche la riemersione di malanni di stagione, che colpiscono in particolare i bambini. Con l’aria fredda e secca, le porte del contagio si aprono, e i virus respiratori iniziano a proliferare. A tal proposito, l’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma ha recentemente pubblicato una guida esaustiva su come prevenire e affrontare i principali disturbi respiratori che affliggono i più piccoli durante i mesi invernali. Dalla tosse al mal di gola, dal raffreddore all’influenza, la salute dei bambini è un tema cruciale, soprattutto considerando che, lo scorso anno, circa 15 milioni di italiani sono stati colpiti da influenza e sindromi parainfluenzali, con un terzo di essi costituito da bambini e ragazzi.

La prevalenza delle malattie respiratorie

I malanni di stagione sono una costante nelle famiglie italiane, e i numeri parlano chiaro: i virus respiratori colpiscono ogni anno centinaia di milioni di persone nel mondo, con picchi di contagio che si concentrano nei mesi più freddi. I medici del Bambino Gesù avvertono che i principali responsabili di queste malattie includono il rhinovirus, il coronavirus, i virus influenzali e parainfluenzali, nonché l’adenovirus e l’enterovirus. Questi virus si diffondono facilmente attraverso l’inalazione delle goccioline respiratorie infette o il contatto con superfici contaminate, rendendo la prevenzione fondamentale.

La sintomatologia è spesso simile, ma varia in intensità: i più piccoli possono manifestare mal di gola, tosse persistente, febbre, naso che cola, e nei casi più gravi, dolori articolari e gastrointestinali. Durante la scorsa stagione epidemica, l’ospedale ha registrato oltre 13mila accessi in pronto soccorso per infezioni respiratorie acute e circa 1.500 ricoveri, di cui circa 100 in terapia intensiva.

Non tutte le malattie respiratorie hanno lo stesso decorso stagionale. Gli specialisti evidenziano che i picchi di influenza si concentrano generalmente tra dicembre e febbraio, mentre i casi di raffreddore si intensificano per tutta la stagione invernale. La bronchiolite, causata dal virus respiratorio sinciziale, si manifesta prevalentemente tra novembre e marzo, mentre i virus parainfluenzali tendono a emergere con maggiore frequenza durante la primavera e l’estate. Questa variabilità stagionale implica la necessità di un’adeguata preparazione e consapevolezza da parte dei genitori, affinché possano riconoscere tempestivamente i sintomi e agire di conseguenza.

La prevenzione come prima linea di difesa

La prevenzione è senza dubbio l’arma migliore per proteggere i bambini dai malanni invernali. Gli esperti del Bambino Gesù sottolineano che il rispetto delle norme igieniche è fondamentale. Con l’arrivo del freddo, i bambini trascorrono più tempo in spazi chiusi, dove il ricambio d’aria è limitato, aumentando così il rischio di contagio. Lavarsi frequentemente le mani, coprire naso e bocca con un fazzoletto o il gomito durante gli starnuti, e ridurre il contatto tra mani e occhi, bocca e naso sono comportamenti che possono contribuire a diminuire il rischio di malattie.

In aggiunta alle pratiche igieniche, è essenziale mantenere un corretto stile di vita. Un’alimentazione equilibrata, ricca di frutta e verdura, aiuta a rinforzare le difese naturali dell’organismo. Gli specialisti raccomandano anche di mantenere i bambini idratati, poiché l’adeguata assunzione di liquidi è cruciale, soprattutto in presenza di infezioni respiratorie.

La vaccinazione rappresenta un altro pilastro fondamentale della prevenzione. Quest’anno, la campagna vaccinale antinfluenzale è iniziata il 1° ottobre, e il vaccino è raccomandato a tutti i bambini dai 6 mesi fino ai 7 anni, così come a ragazzi e adulti con patologie croniche, donne in gravidanza e tutte le persone sopra i 60 anni. Inoltre, per la prima volta, è disponibile un nuovo anticorpo monoclonale contro il virus respiratorio sinciziale, che ha dimostrato di ridurre significativamente il rischio di malattie gravi nei bambini sotto i 2 anni, un dato cruciale considerando che negli ultimi anni si sono registrati oltre 15mila ricoveri in Italia per bronchiolite, di cui circa 3mila in terapia intensiva.

La gestione dei sintomi e quando consultare il pediatra

Nonostante le migliori pratiche preventive, è inevitabile che alcuni bambini possano ammalarsi. La gestione dei sintomi è quindi un aspetto cruciale. La maggior parte delle malattie respiratorie invernali si presenta con sintomi comuni: raffreddore, mal di gola, tosse e febbre. Queste affezioni generalmente si risolvono da sole in pochi giorni, ma è essenziale fornire un adeguato supporto al bambino durante la malattia. L’ospedale Bambino Gesù consiglia di tenere il bambino a riposo e di somministrare farmaci per il controllo della febbre, come il paracetamolo, che ha proprietà antifebbrili e antidolorifiche, risultando una scelta sicura e efficace.

In caso di raffreddore, i lavaggi nasali possono essere un’ottima soluzione per liberare le vie aeree superiori e facilitare la respirazione, soprattutto nei neonati e nei bambini molto piccoli. L’utilizzo di una soluzione salina per i lavaggi nasali può migliorare il comfort del bambino e contribuire a una migliore gestione dei sintomi. È importante eseguire i lavaggi nasali nei momenti opportuni, come prima delle poppate o prima di dormire, per massimizzare i benefici.

Tuttavia, è fondamentale che i genitori prestino attenzione allo stato di salute generale del loro bambino. Non esiste un singolo sintomo che debba destare preoccupazione, ma è necessario considerare il quadro complessivo. La febbre, in particolare, è un segno che l’organismo sta combattendo un’infezione virale e non deve essere vista come un motivo di panico. Al contrario, il pediatra deve essere contattato se si notano cambiamenti significativi nel comportamento del bambino, come un’improvvisa perdita di appetito o una diminuzione della mobilità.

La situazione diventa ancor più delicata quando si ha a che fare con bambini fragili, per i quali i fattori di rischio aumentano notevolmente. Condizioni preesistenti come prematurità, cardiopatie congenite o immunodeficienze richiedono una particolare attenzione e una tempestiva consultazione con il pediatra. È fondamentale garantire una valutazione medica nei casi in cui il bambino presenti segni di grave malessere o difficoltà respiratoria.

In questi contesti, il consiglio di prevenzione rimane prioritario, ma l’accesso tempestivo a cure mediche adeguate è altrettanto cruciale. I genitori non devono temere di contattare il pediatra, specialmente quando il loro bambino presenta sintomi preoccupanti o se si nota una grave alterazione del suo stato di salute.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Sei frasi da (non) dire sotto le lenzuola… ad Halloween

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Halloween è il simbolo dell’autunno, insieme alle castagne, le foglie che cadono e i primi cali di temperatura. Come festeggiarlo? Per chi non fosse un appassionato di feste a tema il consiglio è di restare sotto le lenzuola, con la propria metà e dedicarsi a una notte romantica, tra film a tema e pizza.

Ma attenzione perché, se la libido dovesse salire sotto le coperte, il consiglio è di evitare assolutamente le seguenti frasi (o forse no).

“Hai portato il costume?”

Iniziamo con una delle domande più temute nella notte di Halloween: “Hai portato il costume?” o “Da cosa ti sei travestito?”. Sì, perché nulla dice “passione” come una discussione approfondita sul tipo di travestimento scelto nella camera da letto. Per capirci meglio: mentre si cerca di accendere l’atmosfera romantica, tra luci soffuse e musica soft… la vostra dolce metà estrae un completo di Spider-Man. La reazione?

E bene, la scienza e, forse anche la filosofia, ci insegna che la diversità è la vera spezia della vita, ma non proprio in tutti i contesti. Uno studio pubblicato nel Journal of Sexual Medicine (2017) ha esaminato la prevalenza e la psicologia del travestitismo, cioè il fetish di praticare attività sessuale con un vestiario stravagante. I ricercatori hanno scoperto che circa il 5% degli uomini intervistati ha avuto esperienze di travestitismo, che spesso sono legate a un desiderio di esplorare la propria identità di genere. Le persone coinvolte riferiscono che tali pratiche possono migliorare la loro vita sessuale quando c’è consenso e comunicazione aperta con i partner. Ma se la performance non fosse all’altezza di un supereroe, valutate se ne valga la pena o meno.

“Dolcetto, scherzetto… o entrambi?”

Passiamo ora al cibo, un argomento sempre affascinante sotto le lenzuola. “Dolcetto, scherzetto… o entrambi?” è una frase che può portare a situazioni “gastronomiche” imbarazzanti. La food play, cioè la pratica sessuale di coinvolgere gli alimenti durante l’atto fisico e che potrebbe sembrare intrigante in teoria, rischia di trasformarsi in un disastro appiccicoso con cioccolato o panna impiastricciati nei posti sbagliati.

Eppure, un’indagine condotta dalla Journal of Sex Research ha rilevato che quasi un terzo dei partecipanti ha sperimentato giochi sessuali-alimentari. Il gioco con il cibo, spesso riferito alla sitofilia, è una forma di feticismo sessuale in cui i partecipanti sono eccitati da situazioni erotiche che coinvolgono alimenti. Ma un’altrettanta percentuale ha detto di sentirsi a disagio con l’idea di utilizzare il cibo in contesti sessuali, citando preoccupazioni per la pulizia e l’igiene, suggerendo che, sebbene possa essere stimolante, la “food play” deve essere gestita con attenzione. Insomma, prima di fare una torta sotto le lenzuola, ricordate: il cioccolato è meglio gustato su una bella fetta di pane!

“Che ne pensi di indossare una maschera?”

Perfetta per chi ama il bondage e il mistero, ma terribilmente inopportuna se il vostro partner non ha idea di cosa state parlando: “Che ne pensi di indossare una maschera?” potrebbe trasformarsi in un inquietante gioco erotico non gradito.

Potreste ritrovarvi a dover spiegare la differenza tra una maschera di Halloween e una maschera di latex… e chi ha tempo per una lezione di bondage quando la luna è piena e le candele sono accese?

Ma se, invece, il vostro partner rientra nel 20% della popolazione che ha praticato almeno una volta “Bondage”, cioè la pratica erotica estrema tramite quale il corpo di uno dei due soggetti viene immobilizzato nei metodi più disparati, pensare di indossare una maschera al volto non è poi così assurdo. Fate attenzione, però, perché la maggior parte dei partecipanti allo studio pubblicato dall’American Psychological Association ha sottolineato l’importanza della comunicazione pre-gioco. L’assenza di discussioni sui limiti e i desideri può portare a esperienze negative, con il 70% che riporta che la preparazione pre-bondage aumenta la soddisfazione complessiva. Inventate la “safe-word” prima che la notte di Halloween diventi un vero e proprio incubo.

“Speriamo non sia l’ennesima notte di paura”

Speriamo non sia l’ennesima notte di paura” è una frase che potrebbe benissimo far fuggire il vostro partner sotto il letto. Soprattutto se con ironia si vuol comunicare che è da un po’ che non ci si concede all’altro. Potrebbe trattarsi di una mancanza di comunicazione sessuale, ma ricordarlo dinanzi ad un momento clou può far crollare tutto. Invece di affrontare gli scheletri nell’armadio, rischiate solo di evocare la paura di un’altra serata deludente.

Un rapporto del Kinsey Institute (2019) ha esaminato le relazioni e la comunicazione sessuale, trovando che solo una coppia su cinque, all’incirca, si sente a proprio agio nel discutere delle proprie paure e desideri. Quasi la metà ha dichiarato che la mancanza di comunicazione ha portato a incomprensioni e insoddisfazione, evidenziando l’importanza di affrontare le difficoltà in modo aperto. Mettete da parte l’ironia e usate più tatto se avete intenzione di confessare dei problemi di coppia.

“Questa zucca ha bisogno di ‘illuminazione’?”

Passiamo ora al tema dei sex toys. “Questa zucca ha bisogno di ‘illuminazione’?” potrebbe sembrare una battuta divertente, ma c’è un tempo e un luogo per l’illuminazione… e Halloween non è esattamente il momento giusto per parlare al vostro partner della volontà di usare oggetti del piacere durante il rapporto sessuale.

Uno studio pubblicato negli Archives of Sexual Behavior ha rivelato che il 52% delle donne e il 45% degli uomini ha utilizzato sex toys, con una crescente accettazione e normalizzazione delle loro pratiche. Tuttavia, il 35% ha segnalato che non si sente a proprio agio nell’introdurli nei rapporti senza un consenso chiaro, evidenziando l’importanza di discutere di questi oggetti per garantire esperienze positive. Quindi prima di prendere “decorazioni” indesiderate, chiedete esplicitamente se la cosa possa far piacere. Se la risposta dovesse essere no, potreste sempre accendere una candela colorate e infilarla in una zucca.

“È vivo! È vivo!”

Non si può non concludere la lista con l’epica frase “È vivo! È vivo!” che, sebbene possa sembrare adatta solo al film di Frankenstein, è assolutamente da evitare in camera da letto. L’impotenza è un tema delicato e non proprio da affrontare mentre si cerca di risvegliare gli spiriti della passione. Meglio riservare queste esclamazioni per il cinema e non per la vostra vita intima!

Secondo le statistiche italiane, sono oltre 3 milioni gli italiani che soffrono di disfunzione erettile. Uno studio del Journal of Sexual Medicine (2022) ha scoperto che la comunicazione aperta con i partner può ridurre l’ansia associata, migliorando così la vita sessuale del 60% degli uomini coinvolti.

In conclusione, mentre ci prepariamo a festeggiare Halloween, ricordiamo che sotto le lenzuola, come in ogni altro aspetto della vita, la comunicazione e la comprensione sono fondamentali. Evitiamo di cadere nelle trappole delle frasi sbagliate e buon Halloween a tutti!

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