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David Lynch ha un enfisema polmonare: “Fumo da quando ho 8 anni”. Come sta cambiando il vizio del fumo?
David Lynch non può uscire di casa a causa di un enfisema polmonare. Maestro di cinema visionario e artista poliedrico, Lynch ha rivelato in un’intervista a People il lato più oscuro della sua vita: un legame di lunga data con il tabacco, iniziato a soli 8 anni e durato fino ai 76. Oggi, a 78 anni, il regista combatte quotidianamente contro l’enfisema polmonare, una malattia debilitante diagnosticata nel 2020, che ha reso impossibile ignorare gli effetti devastanti della sua dipendenza. Lynch ha smesso solo due anni dopo la diagnosi di enfisema polmonare.
Lynch: “Fumo da quando avevo 8 anni”
Il regista descrive il fumo come parte integrante della sua identità creativa: “Amavo l’odore, il sapore del tabacco, accendere le sigarette. Faceva parte del mio essere pittore e regista.” Il tabacco è stato una costante durante la sua carriera, accompagnandolo nella realizzazione di capolavori come Velluto Blu e I segreti di Twin Peaks. La meditazione trascendentale, pratica a cui si dedica da anni, non è bastata a scardinare questo vizio.
La lotta contro l’enfisema
L’enfisema polmonare, una malattia cronica e incurabile che compromette progressivamente la capacità respiratoria, ha cambiato radicalmente la vita del regista. Costretto a utilizzare una bombola d’ossigeno anche per spostamenti minimi, Lynch descrive la sensazione come “camminare con un sacchetto di plastica intorno alla testa.” Nonostante le difficoltà, trova ancora il modo di scherzare, ammettendo che uscire non gli è mai piaciuto troppo, ma confessa che gli manca il contatto umano sui set cinematografici.
Dopo anni di tentativi falliti di smettere, Lynch ha abbandonato il fumo solo quando la malattia lo ha costretto a farlo. “Ho visto la scritta sul muro: morirei in una settimana se non smettessi,” racconta. Questo richiamo all’urgenza ha segnato il suo punto di svolta, ma non senza difficoltà: “Quando cercavo di smettere, l’astinenza diventava insopportabile. Bastava una sigaretta per ricominciare tutto da capo”.
Un monito per i fumatori
Nonostante il suo passato, Lynch non esita a parlare del rischio legato al fumo: “Nella mente di ogni fumatore c’è la speranza che ciò che ama gli faccia bene, ma è un’illusione. Ho giocato col fuoco e sono stato morso.” Le sue parole suonano come un avvertimento per chiunque consideri il tabacco una compagnia innocua.
Con l’enfisema che lo limita, Lynch guarda al futuro cercando di adattarsi. Tra le ipotesi, quella di dirigere film da remoto, mantenendo vivo il suo amore per la regia e l’arte, pur nella consapevolezza dei limiti imposti dalla sua malattia.
Età media in cui si inizia a fumare
In Italia, l’età media in cui si inizia a fumare si è abbassata: secondo un recente rapporto, oggi si inizia intorno ai 17 anni, rispetto ai 19 degli anni ‘90. Nel mondo, la situazione varia, ma in molti Paesi in via di sviluppo il debutto al fumo avviene anche prima, spesso a causa della mancanza di regolamentazioni rigide e di campagne di sensibilizzazione.
In generale, però, il trend è positivo sia a livello nazionale che internazionale. Se nel 2001 il 24% della popolazione sopra i 14 anni fumava regolarmente, nel 2021 questa percentuale è scesa al 19%. A livello globale, è stato osservato un trend simile, con un calo costante grazie alle politiche antifumo e all’aumento delle alternative meno dannose, come le sigarette elettroniche e i dispositivi senza combustione, anche se queste soluzioni hanno sollevato dibattiti sulla loro reale efficacia nel ridurre il tabagismo e su altri nuovi rischi per la salute.
Secondo i dati Aiom in Italia fuma il 22% degli under 17 e di questi, l’11% consuma più di mezzo pacchetto di sigarette al giorno. Tra i tabagisti abituali, di ogni fascia d’età, oltre il 44% ha iniziato prima dei 18 anni.
Nonostante il calo dei numeri, il fumo rimane uno dei maggiori killer nel Paese. Secondo i dati presentati dall’Aiom, nel 2023 sono state diagnosticate circa 40.000 nuove neoplasie polmonari, con il fumo responsabile di circa il 90% di questi casi. Ogni anno, si contano oltre 93.000 morti attribuibili al tabagismo, tra malattie oncologiche, cardiovascolari e respiratorie. Nonostante le campagne di sensibilizzazione abbiano portato a una leggera riduzione del numero di fumatori negli ultimi anni, il problema è tutt’altro che risolto. Particolarmente preoccupante è l’aumento della mortalità tra le donne, un dato che riflette un consumo di sigarette in crescita nella popolazione femminile.
Prezzo sigarette nel 2025
Il vizio del fumo è dannoso due volte: per la salute dei fumatori e per le casse del Sistema sanitario nazionale, che in Italia sta già vivendo una profonda crisi. Per questo, l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) insieme alla Fondazione Aiom e Panorama della Sanità, ha presentato una proposta di legge che chiede di aumentare di cinque euro il costo di ogni pacchetto di sigarette.
Il tema è centrale in un Paese come l’Italia che fa della sanità pubblica gratuita uno dei pilastri del proprio ordinamento.
Le difficoltà economiche del Ssn richiedono di tarare quanto dice l’art. 32, comma 1 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. La gratuità e le pari opportunità di trattamento vengono consolidate dall’articolo 3 della Carta secondo cui “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Nella realtà, la maggior parte degli italiani patisce un grosso gap di trattamento rispetto a chi può accedere alle strutture private senza aspettare i tempi della sanità pubblica. Per questo, occorre intervenire in modo da rendere più concreta la tutela, applicando un principio ‘meritocratico’: chi pesa di più sul Ssn, deve fare più sforzi per sostenerlo. Senza correttivi, anche chi si sforza di condurre una vita sana, continuerà a trovarsi in enormi difficoltà davanti alla necessità di cure pubbliche e gratuite (o meglio: sostenute dalle tasse di cittadini e aziende in base alla capacità contributiva).
Secondo le stime, l’aumento di 5 euro per ciascun pacchetto di sigarette potrebbe portare nelle casse del Ssn fino a 13,8 miliardi di euro all’anno, una somma ingente per rafforzare un servizio in crisi e ridurre al contempo il consumo di tabacco, una delle principali cause di tumori e malattie respiratorie.
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Giovani, donne e precari: il divario salariale non lascia...
Nel panorama del mercato del lavoro italiano, le disparità retributive tra uomini e donne, giovani e anziani, continuano a segnare un divario che si estende in modo imprevisto. Nel 2022, l’Italia ha visto un ampliarsi delle disuguaglianze nel panorama retributivo, con una spaccatura che separa uomini e donne, giovani e meno giovani, lavoratori con contratti temporanei e quelli con contratti a tempo indeterminato. Questo quadro, che emerge dalle analisi dell’Istat, rivela non solo le disuguaglianze salariali di genere, ma anche come la generazione di appartenenza e la tipologia contrattuale influenzino profondamente il reddito. Nonostante i segnali di ripresa dell’occupazione, il divario tra salari e produttività alimenta un paradosso che continua a crescere, e che mostra un’Italia dove chi lavora, talvolta, guadagna meno e produce di più.
Il Gender Pay Gap
Ogni anno l’Istat ci fornisce un report che è come un termometro del nostro mercato del lavoro. E se c’è una cosa che emerge chiaramente è che la parità salariale tra uomini e donne è ancora un obiettivo lontano. Nel 2022, la retribuzione media oraria tra le donne si è fermata a 15,9 euro, ben 0,5 euro in meno rispetto alla media generale, che si attesta a 16,4 euro. E gli uomini? Loro si fermano a 16,8 euro, guadagnando circa 0,4 euro in più. Ma il divario non si ferma qui: i laureati vedono un gap che tocca il 16,6%, e tra i dirigenti il divario è addirittura del 30,8%. Non è un caso che le professioni più alte siano quelle con la più bassa presenza femminile.
C’è da chiedersi: perché? La risposta, seppur semplice, è complessa. Le donne continuano a essere concentrate in settori con retribuzioni più basse e in posizioni decisionali meno influenti. Dall’istruzione all’assistenza sociale, passando per il settore sanitario, molte delle professioni più femminilizzate non sono certo quelle che pagano meglio. La disparità non riguarda solo l’importo finale della busta paga, ma anche la distribuzione dei ruoli ai vertici aziendali, dove la presenza maschile resta predominante.
Per fortuna, in alcuni settori, la disparità salariale è meno marcata. Nel comparto pubblico, ad esempio, il differenziale scende al 5,2%, con le donne che, in molti casi, raggiungono retribuzioni orarie più alte rispetto alle colleghe del settore privato. Ma se passiamo all’altro lato della medaglia, quello delle professioni altamente specializzate, la situazione si fa meno rosea. Tra i dirigenti, per esempio, le donne guadagnano circa 15 euro in meno ogni ora, con una distanza che si fa più profonda man mano che si sale nella gerarchia. Non si può fare a meno di pensare a quanto questa realtà tradisca il principio di meritocrazia tanto caro alle politiche aziendali.
Generazioni a confronto
Passando dalla divisione di genere a quella generazionale, scopriamo che il giovane lavoratore italiano è un’altra vittima di una struttura salariale che premia l’esperienza, ma forse troppo. La retribuzione oraria media degli under 30 è infatti inferiore del 36,4% rispetto a quella degli over 50, con un gap che raggiunge il 38,5% per gli uomini e il 33,3% per le donne. A meno di non essere un genio del coding o una mente creativa nell’ambito del marketing, essere giovani in Italia sembra sinonimo di salari bassi e contratti precari.
A parità di condizioni, i giovani non solo guadagnano meno, ma hanno anche maggiori difficoltà a entrare nel mercato del lavoro in modo stabile. Contratti a tempo determinato, stage non retribuiti e lavori sottopagati sono all’ordine del giorno. Eppure, la crescita occupazionale in Italia è ai massimi storici, come racconta l’Istat. Si parla di un tasso di disoccupazione al minimo storico (5,7%), ma questo non corrisponde a una crescita della produttività, che ha subito una flessione del 2,5% nell’ultimo anno. È come se l’occupazione fosse cresciuta “a vuoto”, senza un vero incremento della produzione.
Molti giovani, infatti, si trovano costretti ad accettare condizioni lavorative che non rispecchiano il loro potenziale, spingendo la produttività del lavoro a livelli molto bassi. La “perdita” in termini di salario per i giovani italiani è evidente, e la loro produttività non migliora se non in relazione ad un aumento effettivo dei salari. In altre parole, avere un lavoro oggi non è più un privilegio che ti permette di crescere: è una necessità che ti spinge a fare di più, ma senza un ritorno equo.
Un mercato che punisce il contratto a tempo determinato
Un altro dato che emerge dal report dell’Istat e che merita attenzione è quello che riguarda il tipo di contratto. I lavoratori con un contratto a tempo determinato guadagnano mediamente il 24,6% in meno rispetto a quelli a tempo indeterminato. Un dato che fa riflettere, soprattutto se consideriamo che i contratti precari colpiscono in modo più intenso le donne, le quali percepiscono, in media, una retribuzione inferiore del 15,6% rispetto ai colleghi uomini con un contratto stabile.
Tuttavia, anche in questo caso, ci sono delle variabili che complicano ulteriormente la situazione. Se il lavoratore con un contratto a tempo determinato si trova a operare in settori ad alta intensità di lavoro, come la ristorazione o l’ospitalità, il gap salariale diventa ancora più ampio. Mentre le retribuzioni più alte si registrano nelle attività finanziarie e assicurative (ben 25,9 euro l’ora), quelle più basse sono legate ai settori con una forte presenza di contratti precari, dove la retribuzione media è di 10,9 euro l’ora.
Il risultato? La creazione di un sistema di disuguaglianza che penalizza chi è già in una posizione vulnerabile. I lavoratori precari, di solito i più giovani e le donne, sono costretti a operare in settori meno redditizi e con maggiore incertezza, con salari che non solo sono inferiori, ma che non consentono neanche una vita dignitosa. Come se la crescente precarietà non fosse sufficiente, il settore pubblico si salva, paradossalmente, grazie a un sistema che offre maggiore stabilità economica, ma che, a lungo andare, non cambia molto per chi, appunto, non è ancora entrato in questo mercato.
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Sei un genitore elicottero?
Essere genitori è, senza dubbio, una delle missioni più complesse e delicate che si possano affrontare. Il desiderio di proteggere i propri figli, di guidarli nelle scelte e di aiutarli a superare le difficoltà è naturale. Tuttavia, quando questo desiderio si trasforma in un controllo asfissiante, il rischio di compromettere lo sviluppo emotivo e sociale dei bambini diventa concreto. Questo fenomeno, noto come “genitorialità elicottero”, è oggetto di studi che ne evidenziano gli effetti negativi a lungo termine.
Genitori elicottero, chi sono?
Il termine “genitori elicottero” descrive quegli adulti che sorvolano costantemente sulla vita dei figli, pronti a intervenire in ogni momento per risolvere problemi, prendere decisioni e prevenire ogni possibile insuccesso. Questa modalità educativa, spesso motivata dalle migliori intenzioni, può manifestarsi già nei primi anni di vita del bambino.
Uno studio condotto dalla University of Minnesota ha analizzato il comportamento di 422 coppie genitore-figlio, osservando come si relazionavano in un ambiente di gioco. I genitori elicottero tendevano a dirigere ogni aspetto dell’attività ludica: suggerivano con quale giocattolo giocare, spiegavano come usarlo e controllavano persino il modo in cui veniva riposto al termine. Questo livello di supervisione, sebbene appaia innocuo o addirittura utile, ha rivelato implicazioni significative sullo sviluppo del bambino.
Le conseguenze del controllo eccessivo
I risultati dello studio sono illuminanti: i bambini che già a due anni subivano un controllo genitoriale eccessivo mostravano difficoltà nel regolare le proprie emozioni a cinque anni. A dieci anni, inoltre, presentavano competenze sociali meno sviluppate, maggiore incidenza di problemi emotivi e difficoltà nell’adattamento scolastico.
Queste conclusioni sono supportate da ulteriori ricerche pubblicate su “APA PsycArticles”, che analizzano il ruolo della regolazione emotiva e del controllo inibitorio nello sviluppo dei bambini. Secondo tali studi, un approccio genitoriale ipercontrollante può interferire con l’acquisizione di abilità fondamentali per la gestione delle emozioni e per la produttività accademica. Questi effetti si protraggono fino alla preadolescenza, compromettendo la capacità del bambino di affrontare le sfide in modo autonomo.
Le ragioni dietro questa tendenza possono essere molteplici. Spesso, i genitori elicottero agiscono mossi dalla paura di fallire nel loro ruolo o dal desiderio di offrire ai figli un vantaggio competitivo in un mondo percepito come sempre più complesso e competitivo. Altre volte, questa modalità può derivare dall’insicurezza o dall’influenza di modelli culturali che enfatizzano il controllo totale come sinonimo di buon genitore.
Lasciare spazio ai figli
La lezione da trarre da questi studi è chiara: è fondamentale lasciare ai bambini lo spazio per esplorare, sbagliare e imparare dai propri errori. Come suggerisce la ricerca, è importante che i genitori imparino a trattenersi dall’intervenire immediatamente e osservino come i loro figli affrontano le situazioni. Questo non significa abbandonarli a loro stessi, ma offrire un supporto equilibrato e rispettoso della loro autonomia.
Consentire ai bambini di sviluppare abilità di autoregolazione è essenziale per il loro benessere a lungo termine. In un mondo che richiede sempre più flessibilità, resilienza e capacità di adattamento, la libertà di sperimentare e di affrontare le sfide in modo indipendente è un dono prezioso che ogni genitore dovrebbe offrire.
I genitori elicottero, pur mossi da nobili intenzioni, rischiano di ostacolare lo sviluppo dei propri figli, limitandone la capacità di affrontare la vita con sicurezza e autonomia. La sfida, dunque, è trovare un equilibrio tra protezione e libertà, riconoscendo che il miglior sostegno che possiamo offrire ai nostri figli è la fiducia nelle loro capacità. Come dice un antico proverbio: “Dai a un bambino le radici per crescere e le ali per volare”.
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Carnevale 2025, maschere e tradizioni da non perdere
Il Carnevale è alle porte, e il 2025 promette di regalarci una stagione di festa indimenticabile. Tra coriandoli che danzano nell’aria, maschere misteriose che celano sorrisi e carri allegorici che incantano i più piccoli (ma non solo), il Carnevale si conferma l’evento più frizzante dell’anno. Da giovedì grasso, il 27 febbraio, fino al martedì grasso, il 4 marzo, il calendario sarà scandito da eventi unici, culminando con il Carnevale Ambrosiano, che prolungherà i festeggiamenti fino all’8 marzo.
Ma da dove nasce questa tradizione così colorata? E come si festeggia oggi, nelle diverse regioni d’Italia? Con radici antichissime e un calendario che segue il ritmo della Quaresima, il Carnevale è un’occasione per immergersi in un mondo di allegria e folklore.
Le origini del Carnevale
Il Carnevale affonda le sue radici in epoche antichissime, attraversando secoli e culture per diventare la festa gioiosa e colorata che conosciamo oggi. Le sue origini risalgono ai rituali pagani legati al ciclo della natura e al passaggio delle stagioni. Tra le più influenti troviamo le antiche feste romane come i Saturnalia e i Lupercalia, celebrazioni in cui l’ordine sociale si capovolgeva e si dava spazio a eccessi, scherzi e momenti di liberazione collettiva. Durante i Saturnalia, ad esempio, i ruoli sociali venivano temporaneamente ribaltati: i servi potevano comportarsi da padroni, mentre il caos gioioso prendeva il posto della rigidità quotidiana.
Con l’avvento del cristianesimo, il Carnevale venne progressivamente assorbito nella tradizione religiosa, assumendo un significato nuovo. La festa iniziò a rappresentare l’ultimo periodo di svago e abbondanza prima dell’austerità della Quaresima, il tempo di penitenza e digiuno che precede la Pasqua. Non a caso, il termine “Carnevale” deriva dal latino carnem levare, ovvero “eliminare la carne”, a indicare il banchetto finale prima dell’astinenza quaresimale.
Durante il Medioevo, il Carnevale divenne una celebrazione popolare di grande rilievo, con cortei, spettacoli teatrali, balli in maschera e sfilate che coinvolgevano ogni strato della società. Mascherarsi aveva un significato simbolico: celando l’identità, si abbattevano le barriere sociali e si viveva una temporanea uguaglianza. Da questa tradizione derivano le maschere iconiche che oggi caratterizzano il Carnevale.
Le date del Carnevale 2025
Il Carnevale è una festa che si celebra in date differenti ogni anno, in quanto dipende dalla data della domenica di Pasqua. La sua posizione nel calendario varia in base al ciclo lunare e alle regolazioni della Chiesa. Per determinare quando cadrà il Carnevale, infatti, è necessario partire proprio dalla data di Pasqua e sottrarre sei settimane: le prime cinque sono quelle che compongono il periodo di Quaresima, mentre la sesta settimana è quella che ospita il Carnevale, in particolare gli ultimi giorni di festa. Nel 2025, la domenica di Pasqua sarà il 20 aprile. Pertanto, considerando che la Quaresima inizia con il Mercoledì delle Ceneri, che nel 2025 è il 5 marzo, il Carnevale avrà il suo culmine nei giorni che precedono immediatamente questa data.
Le date fondamentali del Carnevale 2025 saranno quindi:
- Giovedì grasso: il 27 febbraio 2025 segna l’inizio dei festeggiamenti intensi del Carnevale;
- Martedì grasso: il 4 marzo 2025 è l’ultimo giorno di Carnevale, quello che conclude le festività prima del periodo di penitenza della Quaresima.
Tuttavia, esiste una peculiarità importante per alcune zone d’Italia, come Milano e i territori sotto la diocesi ambrosiana, dove la tradizione del Carnevale si prolunga oltre il Martedì Grasso. Il Carnevale Ambrosiano, infatti, viene celebrato fino al sabato che precede la prima domenica di Quaresima, che nel 2025 sarà l’8 marzo. Questa tradizione, che risale al Medioevo, ha come motivo l’orientamento liturgico diverso della Chiesa Ambrosiana, che sposta il periodo di inizio della Quaresima rispetto alla maggior parte del resto del paese. Pertanto, a Milano e nelle aree circostanti, i festeggiamenti del Carnevale si concluderanno ufficialmente solo il sabato 8 marzo, mantenendo una vivacità che distingue la città da altre regioni italiane.
Maschere e tradizioni locali
Il Carnevale, una delle festività più amate e celebri in Italia e nel mondo, affonda le sue radici in secoli di storia, ma è soprattutto simbolo di libertà espressiva e di rottura temporanea delle convenzioni sociali. Le maschere, emblemi di questa festività, permettono a chi le indossa di sfuggire alla propria identità quotidiana per abbracciare un universo di gioco, satira e celebrazione. Ogni maschera, ogni tradizione, ogni usanza raccontano storie e radici locali, trasformando il Carnevale in una miriade di festeggiamenti unici che si diffondono nelle varie regioni italiane.
Ogni angolo d’Italia vanta maschere tipiche che narrano storie antiche e legate al territorio. Tra le più iconiche, Arlecchino, originario della Lombardia, con il suo inconfondibile costume a rombi, è una delle figure più celebri del Carnevale italiano. Astuto e agile, Arlecchino incarna la figura del servo che, con un’ironia pungente, sfida l’autorità. In Liguria, il Carnevale di Savona celebra Balarin, una maschera che trae ispirazione dalla tradizione contadina e rappresenta il contrasto tra povertà e ricchezza. A sud, in Campania, la maschera di Pulcinella è l’emblema della saggezza popolare e della spontaneità, sempre pronto a ironizzare sulle proprie disgrazie e a sfidare le autorità con un sorriso.
Venezia, invece, rappresenta il Carnevale per eccellenza, dove l’eleganza delle maschere si fonde con un’atmosfera di mistero. Il Carnevale di Venezia è noto per le sue maschere sofisticate che celano l’identità dei partecipanti, per il celebre Ballo delle Maschere e per la Regata delle Mascherate sul Canal Grande, uno degli eventi più attesi dell’anno. Ogni anno, la città accoglie centinaia di turisti provenienti da ogni parte del mondo, pronti a immergersi in un tripudio di colori e tradizione.
A Viareggio, la festività assume toni di allegria e satira, con i suoi enormi carri allegorici che sfilano lungo le strade, in un’esplosione di colori e spettacoli. Qui la maschera simbolo è Burlamacco, che rappresenta l’anima popolare del Carnevale e diventa protagonista di parate e competizioni tra gruppi mascherati, che spesso traggono ispirazione da temi politici e sociali. A Ivrea, invece, la tradizione prende una piega più guerriera, con la celebre Battaglia delle Arance, simbolo di una ribellione popolare in cui i partecipanti, suddivisi in squadre, si lanciano arance l’uno contro l’altro, come atto di lotta contro l’oppressione. Le maschere, in questo caso, sono fondamentali per distinguere i diversi gruppi, ognuno dei quali indossa costumi vivaci.
Un altro Carnevale di grande prestigio è quello di Foiano della Chiana, il più antico d’Italia, dal 9 febbraio al 9 marzo 2025 con la sua 486esima edizione. In questo borgo medievale della Toscana, il Carnevale è una festa che si distingue per la bellezza delle coreografie e per l’imponente realizzazione dei carri allegorici in cartapesta, frutto del lavoro di abili maestri.
Anche il Carnevale cremasco, giunto alla sua 37esima edizione, continua a stupire con la sua allegria e la sua capacità di unire le tradizioni con l’intrattenimento moderno. Le parate dei carri allegorici, che si svolgeranno dal 16 febbraio al 9 marzo, richiamano ogni domenica più di 20mila visitatori provenienti da tutta Italia, e la festa culmina con la proclamazione del carro vincitore.
Non meno affascinante è il Carnevale di Sammichele di Bari, riconosciuto dal Ministero della Cultura come “Carnevale Storico d’Italia”: il paese celebra la tradizione con i Festini e le compagnie di maschere, tra cui la figura dell’uomo corto, “l’omene curte,” che segue attentamente gli eventi durante le serate. Il Carnevale di Sammichele è un’autentica festa popolare che accoglie visitatori provenienti da ogni parte, portando con sé la tradizione di un Carnevale che affonda le radici nelle antiche pratiche pastorali.
Anche, il Carnevale lucano di Tricarico, in provincia di Matera, affonda nella tradizione agro-pastorale, con maschere simboliche come quelle della mucca e del toro, che evocano la transumanza delle mandrie. La festa inizia con l’accensione di un falò e il suono dei campanacci, che risvegliano il paese, e prosegue con rituali spirituali e folkloristici che arricchiscono ogni angolo del paese, creando un’atmosfera suggestiva e coinvolgente.
In molte di queste tradizioni, le maschere non sono solo simboli di anonimato e trasgressione, ma anche veicoli di significati più profondi, come la critica sociale, la riscoperta della fantasia e il gioco dell’identità. In altre parole, le maschere consentono a grandi e piccini di esprimere il loro lato più libero e disinibito, in un periodo dell’anno in cui le regole si allentano, ma sempre all’insegna della gioia collettiva.
Insomma, il Carnevale rappresenta una straordinaria occasione di inclusione e condivisione, in cui il divertimento si declina per rispondere ai gusti e alle esigenze di ogni generazione. Dalle sfilate colorate dei carri allegorici che incantano i più piccoli, agli spettacoli teatrali e musicali pensati per gli adulti, fino ai laboratori creativi che coinvolgono famiglie e anziani, ogni occasione celebra la gioia collettiva. Non è solo una festa: è un momento di ritrovo che unisce le comunità locali, esaltando la tradizione e l’innovazione in un’atmosfera di armonia e partecipazione. Attraverso giochi, danze e maschere, il Carnevale si trasforma in un ponte che collega generazioni diverse, rendendo ciascuno protagonista di un’esperienza unica e memorabile.