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Nuovi asili nido in arrivo, soprattutto al Sud. Valditara stanzia altri 40,8 mln per “sostenere le famiglie italiane”

asilo nido infanzia

40,8 milioni di euro per 64 nuovi asili. Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha firmato ieri un decreto per finanziare le nuove strutture, il tutto nell’ambito del PNRR. Il 55% della cifra, precisa il Ministero, andrà al Mezzogiorno. “Investire negli asili nido è una scelta strategica per il futuro del nostro Paese”, ha spiegato Valditara.

La decisione del ministro si inserisce nel contesto italiano, caratterizzato da poche strutture e costi alle stelle ma in miglioramento.

In crescita i posti per i bambini 0-2 anni

Come riporta Openpolis, infatti, tra il 2021 e il 2022 è cresciuta l’offerta di posti in asili nido e servizi prima infanzia, passata da 28 a 30 posti ogni 100 bambini con meno di 3 anni residenti in Italia. Mancano perciò 3 punti per raggiungere l’obiettivo stabilito nel 2002 dal Consiglio europeo di Barcellona per gli Stati membri per quanto riguarda la diffusione di nidi, servizi e scuole per l’infanzia, ovvero offrire un posto negli asili nido per almeno il 33% di bambini sotto i 3 anni e per il 90% di quelli tra 3 e 5 anni. In seguito, tra l’altro, il Consiglio dell’Ue del febbraio 2021 ha aggiornato l’obiettivo al 45% per la fascia 0-3 anni e al 96% in quella 3-5 anni.

La crescita dei posti è dovuta a un duplice effetto: quello del calo della domanda, causata dalla importante diminuzione delle nascite nel nostro Paese, una tendenza che si osserva ormai da anni, e dall’effettivo aumento dell’offerta.

Aumenta l’offerta ma rimangono forti differenze tra regioni

Quanto al primo aspetto, basti pensare che nel 2022 i residenti in Italia con età compresa tra 0 e 2 anni erano 1,2 milioni, in calo del 9% rispetto al 2019 e del 24% rispetto al 2013, il primo anno considerato da Istat nella serie storica.

Quanto invece al secondo fattore, se è vero che l’offerta è cresciuta va anche sottolineato che i 30 posti a bambino in asili nido e servizi prima infanzia registrati nel 2022 sono la media di situazioni molto diverse tra le regioni italiane, con una carenza di servizi particolarmente accentuata al Sud.

Undici regioni superano l’obiettivo europeo del 33%, dodici se consideriamo il Piemonte a cui manca un soffio (32,7%). Tra queste, Umbria (46,5%), Emilia-Romagna (43,1%) e Valle d’Aosta (43%) sono particolarmente virtuose. Dall’altro lato della classifica troviamo invece tutte le regioni del Sud, con situazioni di particolare carenza in Calabria (15,7%), Sicilia (13,9%) e Campania (13,2%).

Il Piano Asili Nido 2024

In questo contesto si inseriscono le iniziative del governo Meloni, a partire dal nuovo Piano Asili Nido 2024, approvato lo scorso maggio nell’ambito del PNRR (Missione 4 – Istruzione e Ricerca). Obiettivo specifico dell’iniziativa governativa è quello di ridurre i divari territoriali nei servizi per l’infanzia e supportare le famiglie, favorendo inoltre la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

Con un finanziamento di 734,9 milioni di euro, il Piano prevede la realizzazione di 838 nuovi interventi in 845 Comuni beneficiari, che si aggiungono ai 2.228 interventi precedentemente autorizzati. In questo modo, si dovrebbero creare circa 31.600 nuovi posti negli asili nido per bambini di età compresa tra 0 e 2 anni, con il fine ultimo di raggiungere il target finale previsto dal PNRR (150.480 nuovi posti).

Valditara: “Rafforzare i servizi per l’infanzia significa anche dare un sostegno alle famiglie italiane”

In questa direzione vanno anche i 40,8 milioni di euro per 64 nuovi asili stanziati ieri dal ministro Valditara. Che ha chiarito: “Ogni risorsa residua viene immediatamente reinvestita per creare nuovi posti nella fascia 0-2 anni, affinché si migliori l’offerta educativa sin dalla prima infanzia e si garantiscano a tutti i bambini, al di là dei territori di appartenenza, le stesse opportunità. Rafforzare i servizi per l’infanzia significa anche dare un sostegno alle famiglie italiane e in particolare alle mamme lavoratrici. Questa è la direzione di un Governo e di un Ministero che credono nel valore della persona”.

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Cancro: in Europa ogni minuto 5 diagnosi, ma in Italia va...

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Dottore Giornata Mondiale Cancro

Ogni minuto, cinque persone nell’Unione Europea ricevono una diagnosi di cancro e due muoiono a causa della malattia. Le statistiche sono impietose: i tassi di mortalità per cancro sono del 67% più alti tra gli uomini rispetto alle donne e colpiscono maggiormente le persone con un livello di istruzione più basso. E l’impatto della malattia è destinato a crescere. Tra il 2023 e il 2050, la spesa sanitaria per il cancro nell’Ue dovrebbe aumentare del 59%, mentre la riduzione della speranza di vita associata alla malattia è stimata in quasi due anni. Questi dati, riportati nei Country Cancer Profiles preparati dall’OCSE e dalla Commissione Europea, pongono l’accento sull’urgenza di potenziare la prevenzione e la diagnosi precoce. Oggi, in occasione della Giornata Mondiale contro il Cancro, promossa dalla Union for International Cancer Control (Uicc), è più che mai necessario riflettere su queste sfide e sull’importanza di interventi tempestivi e mirati.

L’Italia e il cancro, tra sfide e progressi

L’Italia si distingue in questo scenario con un risultato positivo: nell’ultimo decennio il tasso di mortalità per cancro nel nostro Paese è diminuito del 15%, attestandosi al di sotto della media europea. Questa riduzione testimonia i progressi compiuti nel contrasto alla malattia e si inserisce in un quadro più ampio di miglioramento della qualità delle cure oncologiche a livello europeo. Secondo le proiezioni del Sistema Europeo d’Informazione sul Cancro (European Cancer Information System – ECIS), nel 2022 si prevedevano in Italia 407.240 nuovi casi di tumore, con una leggera prevalenza tra gli uomini (52%) rispetto alle donne (48%). Il tasso di incidenza standardizzato per età risultava inferiore del 2% alla media Ue per gli uomini, ma superiore del 4% per le donne.

I tumori al seno, al colon-retto, ai polmoni e alla prostata rappresentavano quasi la metà dell’incidenza complessiva. Il cancro alla prostata è stato il principale tra gli uomini (18% dei casi), seguito da quello del colon-retto (14%) e del polmone (13%). Per le donne, il tumore al seno è stato il più comune (31%), seguito da quello al colon-retto (12%), al polmone (8%) e all’utero (5%). Tuttavia, l’ECIS stima che i casi di cancro in Italia aumenteranno del 18% tra il 2022 e il 2040, principalmente a causa dell’invecchiamento demografico.

La mortalità per cancro in Italia

Dopo le malattie cardiovascolari, il cancro rappresenta la seconda causa principale di morte in Italia, con oltre il 23% di tutti i decessi registrati nel 2021. Pur presentando un tasso di incidenza in linea con la media Ue il tasso di mortalità per cancro standardizzato per età è relativamente basso: con 222 decessi per 100.000 abitanti, l’Italia si attesta al di sotto della media Ue di 235 decessi per 100.000 abitanti. Tra il 2011 e il 2021, il tasso di mortalità per cancro nel nostro Paese è diminuito del 15%, superando il calo medio del 12% registrato nell’Ue.

Questa riduzione è stata particolarmente evidente tra gli uomini (-20%), riflettendo i progressi nella diagnosi precoce e nel trattamento, oltre che nella riduzione di fattori di rischio comportamentali come il fumo. La mortalità per cancro ai polmoni, per esempio, è diminuita di quasi un terzo tra gli uomini italiani nell’ultimo decennio, superando la media Ue. Tuttavia, il divario di genere resta evidente: i tassi di mortalità per cancro sono più elevati tra gli uomini, sebbene il gap sia inferiore rispetto alla media Ue.

Disparità socioeconomiche nella lotta al cancro

Come in altri Paesi europei, in Italia i tassi di mortalità per cancro sono più elevati tra le persone con livelli inferiori di istruzione. Il divario è particolarmente marcato tra gli uomini: rispetto ai laureati, i diplomati delle scuole superiori hanno un tasso di mortalità superiore del 26%, mentre chi ha un’istruzione primaria o inferiore registra un tasso più alto del 75%. Il cancro ai polmoni è il tumore più associato a queste disparità, rappresentando oltre un terzo dei decessi tra le persone con un livello di istruzione più basso.

Questi dati confermano le evidenze del progetto EU-CanIneq, che analizza le disuguaglianze socioeconomiche nelle cure oncologiche in tutta l’Ue. Tra il 2015 e il 2019, gli uomini italiani con il livello di istruzione più basso hanno registrato un tasso di mortalità per cancro superiore del 63% rispetto a quelli con istruzione più elevata. Per le donne, il divario è stato del 9%, tra i più contenuti in Europa. Questo suggerisce che, sebbene in Italia le donne siano generalmente meno colpite da disparità socioeconomiche rispetto agli uomini, resta fondamentale garantire un accesso equo alle cure per tutti.

La prevenzione resta la chiave

Secondo le stime europee, una strategia di prevenzione efficace potrebbe ridurre significativamente l’incidenza del cancro nei prossimi decenni, agendo su fattori di rischio noti come il fumo, il consumo di alcol, l’obesità e l’inquinamento atmosferico. Tuttavia, alcuni dati destano preoccupazione: in oltre due terzi dei Paesi Ue, più della metà degli adulti è in sovrappeso e il 70% non pratica sufficiente attività fisica. Ancora più allarmante è il calo delle adesioni ai programmi di screening: in metà dei Paesi Ue, i tassi di screening per il tumore al seno sono diminuiti, e i controlli per il tumore alla cervice uterina sono calati nei due terzi degli Stati membri.

L’Italia deve dunque affrontare una doppia sfida: mantenere i progressi ottenuti nella riduzione della mortalità oncologica e migliorare ulteriormente le strategie di prevenzione. Gli investimenti in centri specializzati, team multidisciplinari e linee guida cliniche uniformi rappresentano strumenti fondamentali in questa direzione. Allo stesso tempo, il potenziamento delle infrastrutture digitali per la raccolta e l’analisi dei dati potrà contribuire a migliorare la qualità delle cure e a individuare aree critiche su cui intervenire.

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Aborto, Trump vuole tornare nella Geneva Consensus...

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Donald Trump

Donald Trump, aborto: ci risiamo. Negli scorsi giorni, il presidente Usa ha annunciato l’intenzione di rientrare nella Geneva Consensus Declaration, il patto internazionale anti-aborto lanciato durante il primo mandato del tycoon. Questa mossa, comunicata dal segretario di Stato Marco Rubio, rappresenta un’inversione di rotta rispetto alle politiche adottate dall’amministrazione Biden, che aveva ritirato gli Stati Uniti dall’accordo.

Geneva Consensus Declaration, cosa è

La Geneva Consensus Declaration è stata istituita nell’ottobre 2020 con l’obiettivo di affermare che non esiste un diritto internazionale all’aborto e che i Paesi non sono obbligati a finanziare o supportare le procedure abortive. L’accordo è stato inizialmente sottoscritto da 32 nazioni, tra cui Stati Uniti, Brasile, Egitto, Ungheria, Indonesia e Uganda. Successivamente, il numero di firmatari è salito a 34.

Il documento riflette la visione conservatrice dei diritti riproduttivi e della struttura familiare più volte rilanciata dal leader Repubblicano. Questi i quattro obiettivi principali espressi nel testo:

  1. Garantire significativi progressi nella salute e nello sviluppo delle donne;
  2. Proteggere la vita in tutte le sue fasi;
  3. Dichiarare il diritto sovrano di ogni nazione di stabilire le proprie leggi a tutela della vita, senza pressioni esterne;
  4. Difendere la famiglia come fondamento di una società sana.

Trump, l’aborto e la reazione delle donne americane

Il rientro degli Stati Uniti nella Geneva Consensus Declaration avviene in un momento in cui il dibattito sull’aborto è particolarmente acceso negli Stati Uniti. Nel 2022, con il caso Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, la Corte Suprema ha annullato la storica sentenza Roe v. Wade, che garantiva il diritto costituzionale all’aborto, permettendo ai singoli Stati americani di imporre restrizioni significative o vietare completamente la procedura. Dopo quella decisione, diversi Stati a guida repubblicana hanno introdotto leggi che limitano severamente l’accesso all’aborto.

Il tema era stato al centro dello scontro tra Donald Trump e Kamala Harris nel primo e unico confronto televisivo tra i due candidati alla Casa Bianca: per il tycoon la sentenza del 2022 è merito “del genio, del cuore e della forza di sei giudici della Corte Suprema” che sono riusciti a trasferire la decisione sul diritto di aborto ai singoli Stati concludendo una battaglia durata cinquantadue anni (la sentenza Roe v. Wade è del 1973). Per l’allora vicepresidente Kamala Harris, invece, la dinamica è stata più controversa: “Donald Trump ha scelto personalmente tre membri della Corte Suprema degli Stati Uniti con l’intenzione che avrebbero annullato le protezioni di Roe v. Wade. E hanno fatto esattamente quello che lui intendeva”.

Per la candidata repubblicana le conseguenze per le donne sono state devastanti: “Ora, in più di 20 Stati, ci sono divieti sull’aborto voluti da Trump, che rendono criminale per un medico o un’infermiera fornire assistenza sanitaria. In uno Stato, si prevede l’ergastolo per i medici”.

Nonostante il successo della candidata democratica in quel dibattito televisivo, Trump ha stravinto le elezioni americane. La reazione delle donne americane è stata immediata: subito dopo il trionfo elettorale del tycoon, in America c’è stato il boom della vendita di pillole abortive. Aid Access, tra i principali fornitori di mifepristone negli Stati Uniti, ha dichiarato di aver ricevuto circa 10.000 ordini del farmaco nelle 24 ore successive alla vittoria elettorale di Trump: un numero che è quasi venti volte maggiore rispetto alle 600 richieste giornaliere abituali.

Il dato si consolida con le informazioni riportate da Just the Pill, un’organizzazione no-profit che prescrive la pillola tramite consulti di telemedicina, che ha visto aumentare le richieste a 125 ordini in pochi giorni. Tra le donne che vi hanno fatto richiesta, alcune non sono neppure in gravidanza ma preferiscono fare una scorta, nel timore che il farmaco diventi inaccessibile nell’immediato futuro.

Altre decisioni anti-aborto

Oltre al rientro nella Geneva Consensus Declaration, l’amministrazione Trump ha adottato ulteriori misure per rafforzare la sua posizione anti-aborto. Tra queste, il congelamento degli aiuti esteri, ad eccezione di quelli destinati a Israele ed Egitto, e la reintroduzione della “Mexico City Policy”, che vieta il finanziamento federale alle organizzazioni non governative internazionali che forniscono o promuovono servizi abortivi.

Trump contro l’aborto, gli effetti sulla salute e sui rapporti internazionali

Le reazioni a queste iniziative sono state polarizzate.

I gruppi anti-abortisti hanno accolto con favore le misure, vedendole come passi significativi nella protezione della vita nascente. Al contrario, i sostenitori dei diritti riproduttivi e numerose organizzazioni internazionali hanno espresso preoccupazione per le possibili conseguenze negative sulla salute delle donne, sia negli Stati Uniti che a livello globale. La reintroduzione della “Mexico City Policy”, ad esempio, potrebbe portare alla chiusura di cliniche che offrono servizi essenziali per la salute riproduttiva in Paesi in via di sviluppo, aumentando il rischio di aborti non sicuri e complicazioni correlate.

Inoltre, la decisione di rientrare nella Geneva Consensus Declaration potrebbe isolare ulteriormente gli Stati Uniti dagli storici alleati degli Usa, molti dei quali sostengono il diritto all’aborto come parte integrante dei diritti umani. La dichiarazione è stata firmata principalmente da nazioni con governi conservatori o autoritari, il che potrebbe influenzare la percezione internazionale degli Stati Uniti riguardo ai diritti delle donne e alle politiche sanitarie.

Il rapporto con l’Ue

Il deterioramento dei rapporti con l’Unione europea non arriva a sorpresa. Già la nomina di J.D. Vance come vicepresidente, aveva fatto presagire che Trump sarebbe tornato ad affermare le posizioni antiabortiste con ancora più decisione rispetto al primo mandato.

Per approfondire: La scelta di Vance preoccupa l’Ue su tre fronti: Ucraina, commercio e diritti civili

Intanto, l’11 aprile 2024, gli eurodeputati hanno chiesto al Consiglio di inserire il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Una decisione non vincolante con cui l’Ue ha ribadito la propria posizione progressista in materia di diritti civili. Con la risoluzione, gli eurodeputati (336 favorevoli, 163 contrari e 39 astenuti) hanno invitato ai Paesi membri a depenalizzare completamente l’aborto in linea con le linee guida dell’Oms del 2022 e a combattere gli ostacoli all’aborto. In particolare, si invitano Polonia e Malta ad abrogare le leggi e le altre misure nazionali che ne limitano il diritto. Nelle valutazioni dell’Europarlamento emergono criticità anche sull’Italia, e sulle posizioni assunte dal governo Meloni (molto vicina a Trump) in materia di aborto.

Melania Trump pro aborto

Non solo alleati storici dell’America, la decisione di Trump non sarà piaciuta neanche a sua moglie Melania Trump che, prima delle elezioni d’Oltreoceano, aveva invitato le donne a sentirsi libere di decidere sul proprio corpo: “È fondamentale garantire che le donne abbiano autonomia nel decidere se avere figli, in base alle proprie convinzioni, libere da qualsiasi intervento o pressione da parte del governo”, ha scritto la First Lady nel suo libro di memorie.

“Perché qualcuno diverso dalla donna stessa dovrebbe avere il potere di determinare cosa fare con il proprio corpo? Il diritto fondamentale di una donna alla libertà individuale, alla propria vita, le garantisce l’autorità di interrompere la gravidanza se lo desidera”, ha scritto ancora Melania Trump secondo cui “Limitare il diritto di una donna a scegliere se interrompere una gravidanza indesiderata equivale a negarle il controllo sul proprio corpo. Ho portato questa convinzione con me per tutta la mia vita adulta”.

Precedenti storici e politiche correlate

La Geneva Consensus Declaration non è l’unica iniziativa dell’amministrazione Trump volta a limitare l’accesso all’aborto. Durante il suo primo mandato, Trump ha implementato diverse politiche con l’obiettivo di ridurre il supporto federale per le procedure abortive. Tra le mosse più significative c’è stata la reintroduzione e l’espansione della “Mexico City Policy”, nota anche come “Global Gag Rule”, istituita dall’amministrazione Reagan nel 1984. La misura vieta di utilizzare fondi federali per finanziare organizzazioni non governative internazionali che forniscono servizi abortivi o che promuovono l’aborto come metodo di pianificazione familiare.

La politica è stata revocata e reintrodotta da successive amministrazioni, a seconda dell’orientamento politico del presidente in carica. Sotto la presidenza del tycoon, la politica è stata ampliata per includere quasi tutti i programmi di assistenza sanitaria globale finanziati dagli Stati Uniti, influenzando miliardi di dollari in aiuti e numerose organizzazioni sanitarie in tutto il mondo.

Un’altra misura significativa è stata la modifica del Titolo X, il programma federale di pianificazione familiare. Nel 2019, l’amministrazione Trump ha introdotto una regola che proibiva ai fornitori di servizi sanitari finanziati dal Titolo X di riferire le pazienti a servizi abortivi. Questa modifica ha portato diverse organizzazioni, tra cui Planned Parenthood, a rinunciare ai fondi del Titolo X piuttosto che conformarsi alla nuova regola, riducendo l’accesso ai servizi di pianificazione familiare per molte donne a basso reddito.

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Tre (o più genitori) per un figlio, la gametogenesi in...

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Fecondazione Canva

Tre genitori per un figlio? Lo studio rilanciato dall’organo di sorveglianza della fertilità nel Regno Unito nelle scorse settimane è di quelli sconvolgenti: utilizzare gameti in vitro provenienti da genitori multipli per avere un bambino. La tecnica potrebbe trasformare radicalmente il modo in cui concepiamo la famiglia e solleva un enorme dibattito morale.

La ricerca inglese sull’utilizzo di gameti in vitro provenienti da genitori multipli si basa su una tecnica chiamata in vitro gametogenesis (Ivg). Questa tecnologia permette di creare gameti (ovuli e spermatozoi) a partire da cellule staminali pluripotenti, che possono essere derivate da cellule adulte, come quelle della pelle. L’Ivg è stata sperimentata con successo su animali, come i topi, creando cuccioli con due padri genetici o due madri genetiche, ma non sugli esseri umani.

I topi nati tramite gametogenesi in vitro hanno una salute generale migliore e un normale sviluppo postnatale. Vari studi, tra cui quelli degli scienziati giapponesi Katsuhiko Hayashi e Mitinori Saitou, hanno evidenziato come i cuccioli nati attraverso Ivg abbiano avuto tassi di sopravvivenza e crescita comparabili a quelli dei topi nati tramite metodi naturaIi.

Da un punto di vista scientifico, questo approccio, che si ispira a precedenti interventi di terapia mitocondriale, mira a consentire il contributo genetico da più di due individui per prevenire malattie ereditarie e aumentare la diversità genetica delle future generazioni.

Gameti in vitro, di cosa si tratta

La procedura, attualmente in fase sperimentale, si basa sulla produzione in vitro di gameti attraverso avanzate tecniche di coltura cellulare. I ricercatori hanno infatti individuato un protocollo che consente di ottenere cellule germinali funzionali da fonti plurime, con l’obiettivo di “assemblare” un embrione che integri il contributo genetico di più donatori. Tra i vantaggi evidenziati vi è la possibilità di correggere errori genetici in fase embrionale, riducendo così il rischio di trasmissione di malattie ereditarie.

Se sviluppato e validato, questo metodo offrirà nuove opportunità per prevenire malattie ereditarie e, al contempo, aumentare la diversità genetica delle future generazioni attraverso il multiplex parenting, ovvero la possibilità di trasmettere ai bambini il patrimonio genetico di più di due genitori.

Chiaramente, la gametogenesi in vitro consentirebbe anche a coppie dello stesso sesso di avere figli geneticamente legati a entrambi i partner, a differenza di quanto avviene con le tecniche di Pma attuali, dove il nascituro eredita il patrimonio genetico di uno dei due partner e della terza persona coinvolta nella procedura. In determinati casi, l’Ivg potrebbe anche offrire soluzioni a persone infertili o con gravi malattie genetiche, eliminando la necessità di donatori esterni.

In un articolo pubblicato nel Journal of Law and the Biosciences, Sonia M. Suter, professoressa associata presso The George Washington University, ha commentato così il potenziale dell’Ivg: “Questa tecnologia consentirebbe a coppie dello stesso sesso di avere figli biologicamente legati a entrambi i partner; permetterebbe a individui singoli di procreare senza il contributo genetico di un’altra persona; e faciliterebbe la genitorialità ‘multiplex’, dove gruppi di più di due individui potrebbero procreare insieme, producendo bambini geneticamente legati a tutti loro”.

Al contempo, gli esperti hanno evidenziato che una delle principali sfide scientifiche è replicare accuratamente il processo di meiosi e i modelli di imprinting genetico necessari per creare gameti funzionali. Questo è stato descritto come un ostacolo significativo per rendere l’Ivg una tecnologia sicura e applicabile agli esseri umani.

Implicazioni mediche e demografiche

L’introduzione dei gameti in vitro da genitori multipli ha implicazioni che vanno ben oltre la sola sfera medica. Dal punto di vista demografico, questa innovazione potrebbe contribuire a un allargamento del concetto di famiglia, che nel corso della storia è mutato più volte senza mai arrivare a tanto.

“L’Ivg ha il potenziale di sconvolgere uno degli elementi più tradizionali della cultura umana: la nostra comprensione di cosa sia la genitorialità e come avvenga. È fondamentale che il diritto e l’etica medica affrontino le implicazioni di vasta portata di questa nuova tecnologia”, ha dichiarato il professor Glenn Cohen, professore presso la Harvard Law School.

L’eventuale riduzione delle patologie ereditarie potrebbe avere ripercussioni positive sul sistema sanitario, riducendo il carico di malattie ereditarie e, di conseguenza, i costi a lungo termine per le comunità. Tuttavia, le implicazioni etiche e legali sono molteplici: la definizione dei diritti dei donatori, il riconoscimento legale dei diversi contributi genetici, la regolamentazione della tecnica e soprattutto la ‘giustezza morale’ di questa tecnica di riproduzione dei gameti in vitro sono tutti elementi che vanno vagliati attentamente.

Gli autori hanno osservato che la “in vitro gametogenesis” potrebbe ampliare enormemente la disponibilità di ovuli e facilitare la ricerca sullo sviluppo biologico umano ma hanno anche lasciato un monito sulla integrità genetica ed epigenetica dei gameti derivati in vitro, che è attualmente inferiore rispetto a quelli naturali. Una barriera significativa da superare prima dell’uso clinico.

Le implicazioni etiche e normative

Il rilancio di questa tecnologia da parte dell’organo di sorveglianza del Regno Unito apre un dibattito cruciale. Le autorità e i regolatori dovranno confrontarsi con domande complesse: quali saranno i criteri per l’accesso a questa procedura? Come si tuteleranno i diritti dei genitori multipli e dei donatori? E, soprattutto, quali misure saranno adottate per garantire la sicurezza e l’efficacia della tecnica nel lungo periodo?

In un articolo pubblicato su Harvard Medical School News nel 2017 si evidenziava che l’Iva potrebbe essere utilizzata per prevenire malattie mitocondriali devastanti creando ovuli privi di difetti del Dna mitocondriale. Già allora, però, gli autori avvertivano sui rischi legati alla commercializzazione impropria della tecnologia e alla creazione su larga scala di embrioni per scopi non etici.

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